La biotecnologia rimanda alle conoscenze naturalistiche dell’umanità intera. Conoscenze messe, poi, in pratica grazie all’evoluzione, nel corso di millenni e di secoli, della scienza e della tecnica. Due gli impieghi storici: alimentazione e cura della salute.
Ma di strada la ricerca ne ha fatta e, oggi, i campi di applicazione sono molteplici, con un numero di imprese biotech aumentato in modo significativo nel corso dell’ultimo decennio, che vede Lombardia, Lazio e Toscana in cima alla classifica delle regioni con il fatturato più alto.
Cosa sono le biotecnologie
Il termine “biotecnologia” vede l’unione dei sostantivi “biologia” e “tecnologia”, dove il primo designa lo studio e la conoscenza (logos) degli esseri viventi (bios) e il secondo (technè) l’applicazione e l’utilizzo di strumenti tecnici.
Compare per la prima volta in un libro di testo nel 1917, per mano di un ingegnere ungherese che lo utilizza – senza consapevolezza del suo significato, in quanto, all’epoca, si trattava di un neologismo – riferendosi alla lavorazione di alcuni prodotti agricoli.
Tra le prime definizioni ufficiali di “biotecnologia”, quella dell’European Federation of Biotecnnology (EFB) nel 1982, la quale fa riferimento all’uso integrato di microbiologia, biochimica, genetica e ingegneria chimica, “allo scopo di ottenere applicazioni di microrganismi e di altri sistemi cellulari per la produzione di composti di vario interesse o per terapie cliniche”.
Fra le molte definizioni successive, la più moderna e completa, oggi, è quella contenuta nella Convenzione sulla Diversità Biologica o CBD – Convention on Biological Diversity, trattato internazionale adottato a Nairobi nel 1992 e aperto alla firma dei Paesi nello stesso anno, durante il Summit Mondiale dei Capi di Stato di Rio de Janeiro. Secondo tale definizione, la biotecnologia – o, al plurale, le biotecnologie, a indicare la pluralità delle tecnologie sviluppate e i relativi ambiti di applicazione – è:
Biotecnologie tradizionali e innovative
Le conquiste della biologia nell’ambito delle ricerche sul DNA e i successi dell’ingegneria genetica inducono a distinguere tra biotecnologie tradizionali (o convenzionali) e biotecnologie innovative (o avanzate). La distinzione, più che in relazione alla logica passato/presente, è legata fatto che le biotecnologie tradizionali vertono principalmente sulle scoperte, mentre le biotecnologie innovative riguardano invenzioni, creazioni di strumenti e di oggetti precedentemente non esistenti.
Le biotecnologie tradizionali includono tutte quelle tecnologie produttive utilizzate da millenni e si riferiscono, in particolare, all’utilizzo di organismi viventi quali batteri, lieviti, cellule vegetali o animali. Sono esempi di biotecnologie tradizionali il latte trasformato in formaggio e il succo d’uva trasformato in vino, per citarne alcuni. Ma il loro uso risale a quando non si aveva alcuna cognizione né della biologia, né tanto meno della biotecnologia.
Altri esempi di biotecnologie tradizionali sono la produzione delle prime bibite alcoliche nel 6000 a.C., la produzione del pane e della birra nel 4000 a.C. e la produzione di formaggio e yogurt nel 3000 a.C. E la lista continua.
Occorrerà giungere alla metà dell’Ottocento, quando il chimico e biologo francese Louis Pasteur comprese la causa delle fermentazioni, individuando i batteri e i lieviti responsabili di alcuni processi nella trasformazione di sostanze alimentari, per arrivare alla produzione metodologica standardizzata di birra, vino, aceto.
Le biotecnologie avanzate, invece, poggiano sulle moderne scoperte dell’ingegneria genetica e della biologia molecolare. Il loro vastissimo ventaglio di applicazioni è riconducibile, secondo l’OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, a quattro macro aree:
- farmacologia, medicina e diagnostica
- agricoltura, veterinaria e zootecnia
- bioindustria
- ambiente
Biotecnologie innovative
Le biotecnologie innovative risalgono alla metà del secolo scorso quando, nel 1928, il medico britannico Frederick Griffith, sperimentando un vaccino contro lo streptococco responsabile della polmonite, osservò che questi microrganismi sono in grado di acquisire e mantenere “materiale ereditario” derivante da altri batteri e di trasformarsi. Da quel momento, in tutto il mondo i ricercatori si impegnarono a identificare cosa ci fosse alla base di quel misterioso “fattore trasformazione”.
Griffith è considerato il padre dell’ingegneria genetica: scienziato di grande intuizione, in quegli anni non poteva sapere che quel materiale ereditario era, in realtà, costituito dal DNA. La scoperta vera e propria avvenne nel 1944. E nel 1953 fu scoperta la struttura del DNA e il suo meccanismo di replicazione. La nascita dell’ingegneria genetica è, infine, cosa dei nostri giorni e segnerà una distanza netta tra le biotecnologie tradizionali e quelle innovative.
Biotecnologie innovative: i settori applicativi
Se è vero che l’OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, in tema di biotecnologie innovative distingue quattro macro aree (farmacologia, medicina e diagnostica; agricoltura, veterinaria e zootecnia; bioindustria e ambiente), è altrettanto vero che gli ambiti di applicazione delle biotecnologie sono molteplici, tanto che ogni settore presenta sottobranche e più di una declinazione. Ecco, dunque, una sintesi di tutte le branche delle biotecnologie innovative.
- Biotecnologie mediche (farmaceutiche e veterinarie)
Questo settore è impegnato nella scoperta, estrazione e fabbricazione di principi attivi, nella produzione di vaccini e nello sviluppo di nuove tecniche di analisi e diagnosi delle malattie e delle relative terapie geniche e cellulari. Sono sue sottobranche le “biotecnologie molecolari” e le “biotecnologie cellulari”.
- Biotecnologie agrarie
Si occupano dei processi agricoli – con la messa a punto di prodotti geneticamente modificati, antiossidanti e bioinsetticidi – e della messa a punto di nuove tecniche di coltivazione.
- Biotecnologie alimentari
Studiano gli alimenti, la loro composizione e le loro proprietà – con particolare attenzione alla salute dell’uomo e degli animali – ricercando in essi l’eventuale presenza di contaminanti.
- Biotecnologie industriali
Le applicazioni, in questo settore, prevedono l’utilizzo di enzimi per accelerare le reazioni chimiche e migliorarne la resa.
È il settore impegnato nella salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità, nel biorisanamento e nel riciclaggio dei rifiuti. Le “biotecnologie del suolo” sono una sottobranca attiva nella bonifica dei suoli, in particolare di quelli aridi e desertici.
- Biotecnologie marine
È il settore che applica le conoscenze e le tecniche proprie della biologia molecolare agli organismi marini e di acqua dolce.
- Biotecnologie bioinformatiche e nanobiotecnologie
Sono tese alla realizzazione di banche dati per la conservazione e la ricerca di informazioni biologiche. Questa branca comprende anche le nanotecnologie.
- Biotecnologie legali ed etiche
Sono incentrate sullo studio degli aspetti legali, morali ed etici delle biotecnologie.
- Biotecnologie divulgative
Si occupano di diffondere le conoscenze, le scoperte e le nozioni proprie delle biotecnologie e di fare formazione in questo settore.
L’industria italiana delle biotecnologie innovative
In Italia, il numero delle imprese biotecnologiche è andato aumentando nel corso dell’ultimo decennio. Lombardia (45,3%), Lazio (22,4%) e Toscana (19%) guidano la classifica delle regioni con il più elevato fatturato biotech.
È quanto emerge dal Rapporto 2020 sulle imprese di biotecnologie in Italia, realizzato in collaborazione tra Assobiotec – Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie, facente parte di Federchimica, ed ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.
Altri dati salienti: il comparto biotech del nostro Paese, nel 2019, ha registrato un incremento di tutti i principali indicatori economici, con un numero di imprese che si attesta attorno alle 700 unità e investimenti in Ricerca & Sviluppo che superano i 770 milioni.
Il 49% delle imprese biotech ha come settore di applicazione prevalente quello legato alla salute umana, mentre il 39% ha come attività prevalente la produzione e/o lo sviluppo di prodotti e servizi per applicazioni industriali o ambientali (29,9%) o per applicazioni veterinarie, agricole e zootecniche (8,6%). L’area delle applicazioni in Genomica, Proteomica e Tecnologie Abilitanti (GPTA) risulta, invece, presente nel 12% della popolazione di imprese.
Biotecnologie mediche
Le biotecnologie mediche rappresentano quella branca delle biotecnologie dedita alla scoperta e alla messa a punto di principi attivi, alla produzione di vaccini e allo sviluppo di nuove tecniche di analisi e di diagnosi delle malattie e delle relative terapie geniche e cellulari.
Più nello specifico, vedono l’applicazione della biochimica, della microbiologia e dell’ingegneria genetica per la produzione di beni e servizi in campo medico-farmaceutico, per la diagnosi e la cura delle malattie.
In particolare, in ambito diagnostico, negli ultimi anni – complici i progressi dell’ingegneria genetica – le biotecnologie hanno conseguito traguardi importanti, contribuendo a una diagnosi sempre più precoce e specifica, divenuta di fondamentale importanza per ogni tipo di patologia, ma soprattutto per quelle complesse, per le malattie croniche e per il cancro, il cui insorgere non è necessariamente ascrivibile a un’unica causa scatenante, ma è dovuto alla delicata combinazione di fattori ambientali e genetici.
L’applicazione delle biotecnologie nella diagnostica sta, dunque, portando allo sviluppo di metodiche sempre più accurate e meno invasive per l’identificazione di un particolare stato patologico, orientandosi sempre di più verso la medicina predittiva e personalizzata. L’obiettivo è una più puntuale definizione della diagnosi, avendo così la possibilità di attuare trattamenti medici mirati, ad hoc.
Esempi di biotech mediche
Dopo la diagnostica, è la ricerca di nuove terapie il segmento principe delle biotecnologie mediche. A tale riguardo, ricordiamo l’insulina prodotta per via transgenica attraverso la tecnica del DNA ricombinante (sequenza di DNA ottenuta artificialmente dalla combinazione di materiale genetico di origini differenti), inserendo il gene umano in un batterio – l’Escherichia coli – e ottenendo così quantità di insulina perfettamente identica a quella prodotta dagli esseri umani.
L’insulina, prima della scoperta della produzione per via transgenica, veniva prelevata dal pancreas di suini e bovini e spesso era rigettata dai pazienti, contrariamente a quella prodotta grazie alle biotecnologie mediche che, utilizzando il gene umano, è, invece, assolutamente tollerata.
L’insulina transgenica venne ottenuta per la prima volta nel 1977 da due scienziati statunitensi e commercializzata a partire dal 1982. Fu il primo brevetto depositato per un farmaco ottenuto con le tecniche dell’ingegneria genetica, approvato dalla U.S. Food and Drug Administration, Ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici.
Al successo dell’insulina transgenica seguirono, poi, quello dell’ormone della crescita (somatotropina) per la cura di alcune forme di nanismo, gli interferoni per combattere alcuni virus e fare regredire i tumori e antibiotici e vaccini su scala industriale.
Biotecnologie mediche e terapia genica
Quello della terapia genica – in inglese Gene Therapy – rappresenta il segmento più affascinante delle biotecnologie mediche. Concepita in seguito ai progressi nei campi della biologia molecolare e dell’ingegneria genetica a partire dagli anni ottanta – che portarono al clonaggio e al sequenziamento di vari geni – la terapia genica, in breve sintesi, consiste nel trasferire uno o più geni sani in una cellula malata, con l’obiettivo di curare una patologia provocata dall’assenza o dal difetto di uno o più geni.
Per la terapia dei tumori invece, alcuni geni potranno essere trasferiti nelle cellule tumorali, in modo da causare la morte delle cellule che li ricevono o di bloccare il meccanismo alterato che causa la malattia.
Le ricerche e le sperimentazioni di terapia genica in corso sono, ad oggi, numerose e vedono al centro patologie quali la distrofia muscolare, la fibrosi cistica, l’emofilia, il diabete, le malattie metaboliche, le neoplasie, le malattie cardiovascolari e neurodegenerative. Le aspettative sono alte. Non resta, dunque, che attendere.
Biotecnologie mediche in Italia: i numeri del comparto
Il Rapporto 2020 sulle imprese di biotecnologie in Italia, realizzato in collaborazione tra Assobiotec – Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie, facente parte di Federchimica, ed ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, conferma, anche per il 2019, il primato delle imprese che operano nel settore delle biotecnologie mediche, che sono 344, circa la metà delle imprese biotech italiane (49%).
Il comparto genera una quota importante del fatturato, corrispondente a oltre 9 miliardi (75% del totale), determina la maggior parte degli investimenti complessivi in R&S (91%) e occupa oltre il 75% degli addetti alla Ricerca & Sviluppo biotech in Italia.
Sono ben 375 i progetti di nuovi terapeutici allo studio da parte di imprese biotech a capitale italiano: 131 circa in fase iniziale, 171 in fase di sviluppo preclinico e 73 in sviluppo clinico.
Il comparto italiano delle biotecnologie mediche sta investendo soprattutto su quelle patologie che non trovano ancora risposte terapeutiche adeguate e, in particolare, l’interesse della ricerca è fortemente orientato alla messa a punto di soluzioni terapeutiche in ambito oncologico.
Biotecnologo: chi è e cosa fa
Colui che applica la tecnologia ai processi biologici, per sviluppare prodotti in grado di rappresentare un valore per la vita umana e di esserle “utile”: ecco chi è, in breve sintesi, il biotecnologo, professione considerata emergente fino a qualche anno fa e che, oggi, conta circa 20.000 laureati nel nostro Paese.
Il suo lavoro si svolge prevalentemente all’interno del laboratorio, dove si occupa di analisi chimiche, biologiche e biochimiche su molecole, cellule, tessuti e organismi, per comprendere la struttura dei sistemi biologici e, da lì, sfruttarli per mettere a punto nuove tecnologie.
Le “mission” del biotecnologo includono studiare il comportamento di enzimi e batteri, sviluppare nuovi vaccini, modificare il DNA degli organismi viventi per creare organismi geneticamente modificati (OGM), grazie alle moderne tecniche dell’ingegneria genetica e alla tecnologia del DNA ricombinante.
Ma Davide Ederle, presidente dell’Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani (ANBI), trasferisce la figura del biotecnologo a un’altra dimensione:
“Nell’immaginario collettivo, il biotecnologo è il classico camice bianco con la pipetta in mano. I dati che emergono dalle nostre rilevazioni raccontano, però, un’altra storia. Il biotecnologo è, sì, protagonista nei laboratori, ma la maggior parte ha posato la pipetta per occuparsi, a vario titolo, di innovazione. Che poi è, di fatto, il motivo per cui questa figura professionale è nata: uscire dal laboratorio per trasformare il sapere in un saper fare“
Spiega, poi, Ederle che, oltre la metà dei biotecnologi italiani, non si riconosce più nelle definizioni che contraddistinguono i vari corsi di laurea (biotecnologo agrario, industriale, medico, veterinario, farmaceutico) e così, oggi, abbiamo sempre più biotecnologi che si occupano di gestione della qualità, normativa, consulenza tecnica, ma anche imprenditori, manager, insegnanti.
Non solo, dunque, ricercatori e docenti universitari – che pur non mancano – ma anche tutte quelle professioni che consentono a un risultato scientifico di cambiare la vita delle persone, tramutandosi in nuovi prodotti e servizi.
Insomma, le imprese hanno, sì, bisogno di biotecnologi impegnati nell’ambito della ricerca, ma anche di persone con competenze in grado di trasformare la ricerca in innovazione.
Laurea in biotecnologie: ecco le opportunità professionali che offre
Quello del biotech italiano è un comparto che gode di buona salute: solo nel 2019, ha registrato un incremento di tutti i principali indicatori economici, con un numero di imprese che si attesta attorno alle 700 unità e investimenti in Ricerca & Sviluppo che superano i 770 milioni, come emerge dal Rapporto 2020 sulle imprese di biotecnologie in Italia, realizzato grazie alla collaborazione tra Assobiotec – Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie, facente parte di Federchimica, ed ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.
Dunque, scegliere, dopo la Maturità, un percorso di studi nel campo delle biotecnologie significa vedersi aprire un mercato del lavoro interessante sotto il profilo dei numeri.
Dalle indagini sulla condizione occupazionale dei laureati realizzate dal Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea, risulta che più del 40% dei laureati in biotecnologie viene assunto con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, mentre ottengono un contratto prevalentemente a tempo determinato in media il 20/35% dei laureati.
Sempre secondo AlmaLaurea, dopo la laurea di primo livello, il percorso magistrale biennale più seguito è Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche (59,2%), mentre un 19,0% opta per Biotecnologie industriali.
E, dopo cinque anni dalla laurea, il 79,1% di coloro che hanno scelto il percorso magistrale in Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche è occupato. Anche per chi ha optato per un percorso magistrale in Biotecnologie industriali, l’occupazione risulta buona: è pari al 79,5%.
La maggior parte dei laureati in Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche – si legge nei risultati dell’indagine – lavora nell’ambito della Sanità (28,5%); seguono Istruzione e ricerca (23,1%) e Industria chimica e petrolchimica(17,2%).
Pr quanto concerne Biotecnologie industriali, invece, la maggior parte dei laureati si inserisce nel ramo dell’Industria chimica e petrolchimica (25,6%); seguono Istruzione e ricerca (19,4%) e Sanità (15,8%).
Ma, oltre alle Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche e alle Biotecnologie industriali, i settori professionali ai quali è possibile accedere dopo la laurea – triennale oppure magistrale – sono tanti e vasti e abbracciano tutto il settore della ricerca.
Ricordiamo che le biotecnologie vengono applicate anche all’agricoltura, ambito che studia come modificare la struttura genetica delle specie animali e vegetali e creare organismi geneticamente modificati (OGM) – più resistenti agli agenti patogeni – e come incrementare la produzione agricola e sviluppare nuovi prodotti, tra cui antiparassitari e bioinsetticidi.
Un altro importante settore di applicazione è quello alimentare, in cui il biotecnologo si occupa del controllo qualitàall’interno di industrie e imprese alimentari, verificando la composizione chimica e le caratteristiche nutrizionali delle materie prime e dei prodotti finali e controllando l’eventuale presenza di allergeni, sostanze chimiche e additivi nocivi.
I laureati in biotecnologie trovano occupazione anche nell’industria biochimica ed energetica, dove sviluppano tecnologie a basso impatto ambientale e ad alto rendimento per la produzione di energia e carburante da fonti rinnovabili, ad esempio utilizzando piante e materie prime vegetali per produrre biocombustibili e altri prodotti biologici e biodegradabili.
Biotecnologie agroalimentari
L’applicazione delle biotecnologie in ambito agroalimentare consente all’uomo di intervenire sugli organismi vegetali modificandoli: lo scopo è fare sì che questi si adattino più rapidamente alle mutate condizioni ambientali e metereologiche e ai cambiamenti dell’ecosistema che caratterizzano il nostro tempo, contribuendo a fare fronte alle sfide globali della fame e della malnutrizione.
In che modo? Intervenendo sulla struttura genetica delle specie vegetali per creare organismi geneticamente modificati (OGM) più resistenti agli agenti patogeni, contribuendo così all’incremento della produzione agricola e allo sviluppo di nuovi antiparassitari e bioinsetticidi.
Una delle conquiste delle biotecnologie agroalimentari è data dal metodo del DNA ricombinante, che consente di osservare e analizzare, per mezzo di cellule vegetali in laboratorio, quello che fino a pochi anni fa era possibile osservare solo su colture di centinaia di ettari.
Grazie alle biotecnologie agroalimentari, oggi è possibile migliorare tutto quello che riguarda il rispetto dell’ambiente, l’uso delle risorse disponibili e il modo di fare fronte ad avversità quali parassiti, eccessi termici e carenze idriche.
In particolare, quello della resistenza a determinate malattie e parassiti e a particolari erbicidi, rappresenta un segmento importante delle biotecnologie agroalimentari. Oggi, grazie al biotech, possiamo disporre di mais, riso, frumento, patate, pomodori e avena resi resistenti ad alcune malattie e parassiti, perché trattati con geni particolari.
E di piante in grado di resistere alla siccità o all’eccessiva salinità del terreno e di pomodori resistenti al ghiaccio, grazie all’inserimento del gene per le proteine antigelo estratto dai pesci di acqua fredda. La lista è lunga e comprende anche oli vegetali con meno grassi saturi, frutta e verdure con più vitamine, patate con più amido (che non anneriscono dopo il taglio), colza più ricca di aminoacidi, con l’obiettivo di limitare gli odori della frittura e permettere di fabbricare una plastica biodegradabile, con la prospettiva biotecnologica di arrivare a dei polimeri che consentiranno di fare a meno del petrolio.
Inoltre, tramite l’inserimento di geni anti-gene, si ottengono verdure e frutta (ad esempio, pomodori, meloni e fragole) che rallentano la maturazione e mantengono lo stesso gusto.
Si sta, poi, lavorando anche alle piante autofertilizzanti – per un migliore sfruttamento dei terreni – all’uva senza semi e alle melanzane che danno frutto senza essere fecondate e in qualsiasi stagione.
Le biotecnologie nell’allevamento degli animali
L’obiettivo principe delle applicazioni delle biotecnologie nell’allevamento degli animali è quello di sanare il problema dell’alimentazione a livello mondiale, puntando al miglioramento dell’efficienza produttiva, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo.
Un filone di ricerca importante sta lavorando, in particolare, all’utilizzo dell’ormone somatotropo – l’ormone della crescita – che sta dando risultati interessanti nell’incremento della produzione del latte.
Ulteriori ricerche puntano, invece, all’attivazione in vitro di parte degli ovociti recuperabili dalle ovaie di animali deceduti e all’aspirazione di follicoli e poi, con tecniche di clonazione, all’avvio di riproduzioni e di allevamenti più intensi di quelli attuali.
Altri indirizzi di studio hanno come obiettivo mucche con latte più digeribile, pecore con più quantità e qualità di lana, uova contenenti più albumina – e, quindi, con un maggior valore nutrizionale – e batteri che proteggono per un periodo più lungo gli insaccati.
In ultimo, si pensa di ottenere fermenti lattici sia di elevato valore nutritivo, nel caso fosse necessario un maggiore apporto, sia di basso contenuto calorico, per particolari diete. Ricordiamo che le applicazioni delle biotecnologie nell’allevamento degli animali sono volte anche alla:
- diminuzione dei residui farmacologici negli alimenti per animali
- riduzione del danno ambientale legato all’inquinamento dell’aria, della terra e delle falde acquifere, dove gli allevamenti sono particolarmente concentrati
Tra le ricerche afferenti al primo ambito citato, quelle tese a realizzare microorganismi capaci di influire sulla digeribilità (tramite nuovi enzimi cellulosolitici) e sull’utilizzazione dei mangimi.
I numeri del biotech italiano nell’area agricoltura e zootecnia
Il Rapporto 2020 sulle imprese di biotecnologie in Italia, realizzato grazie alla collaborazione tra Assobiotec – Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie, facente parte di Federchimica, ed ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ci restituisce un panorama delle imprese italiane che operano nell’area agricoltura, veterinaria e zootecnia assai diversificato, con 60 imprese censite (9% del totale), la cui mission risiede nell’uso di tecniche di biologia molecolare per il progresso e l’innovazione di agricoltura, allevamento e alimentazione.
Il fatturato di tali imprese supera gli 850 milioni di euro. Inoltre, l’80% delle realtà prese in esame sono classificabili come piccole o micro imprese, di cui oltre la metà dedicate alla Ricerca & Sviluppo biotech, con un’incidenza degli investimenti sul fatturato che supera il 40%.
Biotech e OGM
In agricoltura, quello delle biotecnologie e degli organismi geneticamente modificati rappresenta un settore in piena espansione, la cui mission è contribuire a fare fronte alle sfide globali della fame, della malnutrizione e dei cambiamenti climatici.
Secondo i dati ISAAA (International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications), le colture biotech nel mondo superano i 190 milioni di ettari, con un incremento, tra il 2017 e il 2019, di 1,9 milioni di ettari. La concentrazione massima si ha in cinque Paesi: Stati Uniti e Brasile ai primi posti – soprattutto per la coltivazione di mais e soia – e, a seguire, Argentina, Canada e India.
Sempre secondo i dati ISAAA, punta di diamante dell’agricoltura biotech sono le coltivazioni di soia che, da sole, coprono il 50% della superficie piantata con OGM a livello mondiale. Seguono i campi di mais (30,7%), cotone (13%) e colza (5,3%). In crescita, papaya, barbabietola, melanzana, mela e patata.
Per quanto riguarda, nello specifico, i Paese europei, la regolamentazione UE in materia agricola e di salute alimentare costituisce un freno all’espansione del biotech. I Paesi europei, però, possono importare prodotti OGM, da destinare principalmente ai mangimi per gli animali di allevamento.
Ma a giugno 2020, per quanto concerne l’Italia, è stato siglato un patto – definito “storico” – tra scienziati e operatori del comparto agricolo per una genetica “green”.’ L’intesa, firmata tra Coldiretti e SIGA (Società Italiana di Genetica Agraria), punta a tutelare la biodiversità dell’agricoltura italiana e a migliorare l’efficienza del nostro modello produttivo. In che modo? Attraverso nuove tecnologie in ambito genetico, raggruppate sotto la denominazione TEA (Tecnologie di Evoluzione Assistita) – tecnologie note anche come “editing del genoma” – in grado di riprodurre in maniera mirata i risultati dei meccanismi alla base dell’evoluzione biologica naturale, senza – aspetto peculiare – l’inserimento di DNA estraneo alla pianta.
Ricordiamo che, in agricoltura, la modifica del genoma porta alla messa a punto di un’ampia gamma di soluzioni per colture sempre più resistenti ai cambiamenti climatici estremi, meno dipendenti da fertilizzanti chimici e capaci di aiutare a preservare le risorse naturali. E le Tecnologie di Evoluzione Assistita – facilitate in molti paesi extra UE – in Europa rappresentano un passo importante verso la regolamentazione dei prodotti agricoli frutto di modificazione genetica e verso un’adeguata collocazione a livello normativo comunitario.
La biosicurezza
Se, da un lato, le biotecnologie rappresentano una frontiera promettente della scienza contemporanea, in grado di fornire una miriade di opportunità in molteplici settori produttivi, dall’altro implicano incognite e possibili rischi per l’ambiente e la salute umana e animale.
Per sfruttarne appieno le potenzialità e limitarne gli effetti indesiderati, sono stati messi a punto strumenti comuni per la biosicurezza, i cui principi di riferimento, a livello internazionale, sono contenuti nel Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza (anno 2000), ratificato lo scorso 25 giugno 2020.
Si tratta di un accordo internazionale che ha l’obiettivo di contribuire ad assicurare un adeguato livello di protezione nel campo del trasferimento, della manipolazione e dell’uso in condizioni di sicurezza degli organismi ottenuti con le moderne biotecnologie.
In particolare, il Protocollo di Cartagena, all’articolo 3, si riferisce agli organismi viventi che possiedono una combinazione inedita di materiale genetico, definendoli come Organismi Viventi Modificati (OVM).
Gli obblighi previsti dal Protocollo di Cartagena sono stati recepiti, in Europa, dalla direttiva 2001/18/CE, che si riferisce a questa stessa tipologia di organismo definendolo come Organismo Geneticamente Modificato (OGM) ovvero “un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura, con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica” (articolo 2, comma 2).
OGM e quadro normativo
In Europa, il riferimento normativo in tema biotech e OGM è la direttiva (UE) 2015/412 (che ha modificato la direttiva 2001/18/CE), la quale prevede un meccanismo in due fasi che consente agli Stati dell’Unione di limitare o vietare la coltivazione di un OGM sul loro territorio.
Nella prima fase, durante la procedura di autorizzazione di un OGM, quando viene diffusa la relazione di valutazione, lo Stato membro che intende limitarne o vietarne la coltivazione su tutto o su una parte del suo territorio, può richiedere l’adeguamento dell’ambito geografico destinato alla coltivazione: qualora il proponente della domanda accetti la modifica dell’ambito geografico, l’autorizzazione alla coltivazione viene emessa sulla base dell’ambito geografico modificato.
Nella seconda fase, dopo l’autorizzazione alla coltivazione dell’OGM, nel caso in cui non sia stata presentata alcuna richiesta di adeguamento dell’ambito geografico o nel caso in cui chi ha presentato la domanda di autorizzazione alla coltivazione non voglia accettare la proposta di modifica dell’ambito geografico, lo Stato membro può adottare misure restrittive per limitare o vietare la coltivazione di tale OGM sul proprio territorio.
Per quanto riguarda, nello specifico, l’Italia, con il decreto 8 novembre 2017, è stato adottato il piano generale per l’attività di vigilanza sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati.
Il piano ha una durata quadriennale ed è attuato attraverso un programma operativo nazionale annuale, sulla base del quale vengono predisposti i programmi operativi regionali annuali delle ispezioni.
Il programma operativo nazionale annuale è condiviso nell’ambito di un Tavolo di coordinamento tra il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministero della Salute, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, entro il 30 novembre di ogni anno.
Inoltre, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, entro il 30 giugno di ogni anno, redige un rapporto annuale con una valutazione complessiva dei risultati dell’attività di vigilanza effettuata e con eventuali indicazioni correttive e lo trasmette ai Ministeri interessati e alla Conferenza unificata, rendendolo pubblico sul sito istituzionale.
Biotecnologie industriali
Le biotecnologie industriali prevedono l’impiego di cellule viventi o di loro componenti per la produzione di beni e di servizi volti a una maggiore sostenibilità ambientale riferita ai sistemi di produzione industriale.
Presentano un ricco ventaglio di applicazioni e il numero di settori in cui possono essere utilizzate è sempre più ampio. In particolare, il loro impiego nella produzione di prodotti chimici è ancora in una fase iniziale, mentre sono molto significative le prospettive delle biotecnologie industriali nel comparto dei polimeri – ovvero delle molecole dall’elevato peso molecolare – in cui il ricorso al processo biotecnologico consente di eliminare, ad esempio, l’uso dell’acido solforico, producendo così meno rifiuti e presentando costi energetici più bassi.
Di grande interesse è lo specifico segmento della sintesi dei polimeri biodegradabili, in cui l’acido polilattico, prodotto già a partire dal 2002 per mezzo della fermentazione dall’amido, presenta proprietà simili ai polimeri convenzionali, ma è completamente biodegradabile.
Per quanto riguarda il comparto dei prodotti di largo consumo, le biotecnologie industriali hanno consentito, ad esempio, di ridurre l’impatto ambientale dei detersivi, sostituendo i fosfati con l’acido citrico, altrettanto efficace, ma completamente biodegradabile, non tossico, di basso costo e prodotto per via fermentativa da fonti rinnovabili. Ricordiamo, poi, che, proprio grazie all’utilizzo di enzimi nei detergenti, è possibile effettuare lavaggi a temperature più basse, con conseguente risparmio energetico.
L’apporto delle biotecnologie industriali al comparto Energia
Sta assumendo un’importanza sempre maggiore la produzione di combustibili per mezzo delle biotecnologie. Ad esempio, la produzione di bioetanolo – ossia etanolo prodotto mediante la fermentazione di prodotti agricoli ricchi di zucchero quali, ad esempio, cereali, canna da zucchero e barbabietola da zucchero e, con la seconda generazione dei processi di produzione, anche con la paglia e altri materiali ricchi di cellulosa – ha un impatto di rilievo sulle disponibilità di combustibili per autotrazione in diversi paesi, quali Brasile, Stati Uniti e alcune nazioni europee.
Il biodiesel è un altro combustibile ottenuto mediante le biotecnologie industriali, prodotto da oli vegetali per mezzo di un processo chimico particolare. Rispetto al bioetanolo, la diffusione del biodiesel sul mercato dei combustibili da autotrazione è più contenuta, ma comunque in evoluzione.
Oltre al bioetanolo e al biodisel, vanno ricordati anche i biogas a elevato potere calorifico – ottenuti con lafermentazione di diversi tipi di biomassa – e l’impiego di microrganismi nel trattamento preventivo di un combustibile finalizzato alla rimozione dei precursori di specie inquinanti (ad esempio lo zolfo) e al miglioramento delle caratteristiche chimico-fisiche rispetto al decorso dei successivi processi di combustione e gassificazione.
Biotecnologie ambientali
Quello delle biotecnologie ambientali è il segmento delle biotecnologie focalizzato sulla salvaguardia e la tutela dell’ambiente e della biodiversità.
Si occupa principalmente della rilevazione e rimozione di inquinanti e contaminanti dagli ambienti dell’ecosistema, di biorisanamento e riciclaggio dei rifiuti – utilizzando enzimi oppure impiegando organismi quali batteri, funghi o piante – nonché della produzione di biocombustibili. Le “biotecnologie del suolo” rappresentano, invece, una sottobranca delle biotecnologie ambientali, dedita, in particolare, alla bonifica del suolo, specie di quelli aridi e desertici.
In breve sintesi, le biotecnologie ambientali poggiano sullo sfruttamento tecnologico di sistemi biologici, finalizzato:
- al risanamento di terreni e depurazione delle acque reflue
- al trattamento dei rifiuti di origine agricola, urbana e industriale mediante processi per una corretta gestione e lo smaltimento in sicurezza, con recupero di materiali
- alla produzione di biocarburanti (bio-idrogeno e bio-alcool) attraverso reazioni fotosintetiche o fermentative
- alla produzione di composti chimici di natura biologica e di biopolimeri/bioplastiche
Riciclaggio dei rifiuti e bioplastiche
Sullo specifico tema del riciclaggio dei rifiuti, in questo momento il focus delle biotecnologie ambientali punta alla trasformazione dei rifiuti in nuove risorse, accelerando il passaggio dell’economia lineare a quella circolare.
Pensiamo, ad esempio, ai dispositivi elettronici che abitualmente consumiamo, al loro breve ciclo di vita e allo smaltimento dei materiali inquinanti (dal costo climatico altissimo) che li compongono, con un riciclo che raggiunge l’esigua soglia del 10%.
Ebbene, le biotecnologie ambientali lavorano all’innalzamento di quella soglia, consentendo di sostituire le fonti fossili e limitando così l’impatto sull’ambiente e sui cambiamenti climatici. E così i rifiuti rientrano in circolo, per dare vita a nuovi materiali e a prodotti ecocostenibili.
In questa direzione vanno gli studi e le ricerche sulla trasformazione degli scarti dalla carta, dall’industria agro-alimentare, dal legno e da alcuni tipi di vegetali. Tra questi ultimi, spicca la canapa, la cui coltivazione non ha bisogno di erbicidi.
Da essa si possono ricavare fibre tessili di pregio – oltre che molto resistenti – da impiegare nell’abbigliamento, nel settore edile e nel packaging. E anche un olio – ricco di Omega 3 e 6 e di proteine – utilizzato non solo nella cosmesi, ma anche nelle attività di restauro del legno, nonché come componente delle bioplastiche e delle resine acriliche.
A proposito di bioplastiche, è ormai un imperativo l’esigenza di trovare sostituti a quello che è tra i materiali più inquinanti e nocivi per l’ambiente. Alla plastica ottenuta da composti di carbonio e idrogeno, ricavati dal petrolio dal metano, fanno da contraltare soluzioni come, ad esempio, i PHA, polimeri poliesteri termoplastici sintetizzati da vari generi di batteri attraverso la fermentazione di zuccheri o lipidi.
Ad oggi, secondo i dati di European Bioplastics, la capacità produttiva mondiale di bioplastiche si aggira attorno ai di 4,16 milioni di tonnellate l’anno.
I principali settori di applicazione sono quelli della raccolta differenziata (sacchi e sacchetti per l’umido usati in migliaia di comuni italiani), dell’imballaggio e del consumo di alimenti (film, posate, catering), del trasporto merci (buste per la spesa, sacchi igienici per primo imballo alimentare) e dell’agricoltura (film e vasetti).
Guardando, nello specifico, all’Italia, nel 2019, in base ai risultati dello studio effettuato da Plastic Consult – società indipendente che svolge studi e analisi di mercato nel settore delle materie plastiche – l’industria delle plastiche biodegradabili e compostabili è rappresentata da 275 aziende, con un fatturato complessivo di 745 milioni di euro.
I volumi complessivi dei manufatti prodotti nel 2019 hanno superato, per la prima volta, le 100.000 tonnellate, destinate agli articoli monouso – tra cui sacchetti dell’umido e film per imballaggio – alle capsule del caffè e a numerose altre applicazioni in via di sviluppo.
Il contributo delle biotecnologie all’abbattimento degli agrofarmaci dannosi per l’ambiente
A proposito di biotecnologie applicate alla salvaguardia dell’ambiente, rimuovendo inquinanti e contaminanti dall’ecosistema, in un’interessante intervista a Roberto Defez – ricercatore presso l’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del CNR di Napoli e membro del Comitato Etico di Fondazione Umberto Veronesi – pubblicata su queste pagine, lo scienziato insiste sull’importanza, in agricoltura, di tutte quelle pratiche tese ad abbattere l’utilizzo degli agrofarmaci ottenuti chimicamente oppure ricorrendo ai metalli pesanti come il rame.
Ricordiamo che, concepiti per rendere le colture più resistenti a parassiti e a insetti che trasmettono malattie, i prodotti fitosanitari ottenuti industrialmente sono responsabili dell’accumulo nel suolo di nitrati – e della loro conseguente acidificazione – del rilascio nelle acque di sostanze inquinanti e del 2,1% delle emissioni globali di gas serra.
Quest’ultimo dato, in particolare, lo ha reso noto – ad agosto 2022 – lo studio “Greenhouse gas emissions from global production and use of nitrogen synthetic fertilisers in agriculture”, a cura dell’Università di Torino e dei Greenpeace Research Laboratories presso l’Università inglese di Exeter.
«L’Italia – fa notare Defez – consuma il 22% di tutti i fungicidi utilizzati in Europa. Ma potrebbe scendere al 2% se venissero compiute scelte che guardano alle biotecnologie con equilibrio, analizzandone tutti gli impatti. Ecco, la scelta è esattamente in questi termini: ci interessa continuare a riempire i nostri campi, le nostre colline, di un metallo pesante come il rame – perché questa è la base dei fungicidi utilizzati in agricoltura – oppure vogliamo evitate l’utilizzo di agrofarmaci inquinanti apportando miglioramenti genetici alle colture, intervenendo con tecnologie di editing genomico come il CRISPR-Cas9, che ci consente di produrre le stesse colture ma semplicemente non aggredibili dai funghi che le devastano?»
Attraverso il sistema di editing genomico CRISPR-Cas9 è possibile tagliare con precisione un DNA bersaglio all’interno del genoma di una cellula animale, umana o vegetale, consentendo di eliminare sequenze di DNA e di sostituirle con altre. Nel dettaglio, quando parliamo di organismi vegetali, le modificazioni di parti della sequenza del DNA rendono possibile lo sviluppo di piante più resistenti agli agenti patogeni.
Contrariamente da quanto accade con gli Organismi Geneticamente Modificati (OGM), si tratta, però, di una tecnica che non si serve dell’inserimento di DNA estraneo mediante geni provenienti da altre specie:
«L’editing genomico – precisa il ricercatore – non aggiunge geni o DNA da altri organismi, ma corregge i difetti di quello della pianta, esattamente come farebbe una mutazione casuale. Le mutazioni casuali, abitualmente, le chiamiamo “biodiversità”. E la desinenza “diversità” significa mutazione. Ecco, con l’editing genomico si aumenta e migliora la biodiversità: un vantaggio per tutti».
DOMANDE E RISPOSTE
Cosa si intende per biotecnologie? Cosa sono le biotecnologie?
Il termine “biotecnologia” deriva dall’unione di “biologia” – ossia lo studio e la conoscenza (logos) degli esseri viventi (bios) – e “tecnologia” – intesa come l’applicazione e l’utilizzo di strumenti tecnici.
Per capire cos’è la biotecnologia, la definizione oggi più accreditata è quella che la identifica come l’applicazione tecnologica che si serve dei sistemi biologici, degli organismi viventi o di derivati di questi, per produrre o modificare prodotti o processi per un fine specifico.
Cosa sono le biotecnologie mediche?
Le biotecnologie mediche sono una branca delle biotecnologie. Sono quelle dedicate alla messa a punto di principi attivi, alla produzione di vaccini e allo sviluppo di nuove tecniche di analisi e di diagnosi delle malattie e delle relative terapie geniche e cellulari. Più nello specifico, vedono l’applicazione della biochimica, della microbiologia e dell’ingegneria genetica per la produzione di beni e servizi in campo medico-farmaceutico, per la diagnosi e la cura delle malattie.
Cosa si può fare con la laurea in biotecnologie?
La maggior parte dei laureati in Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche lavora nell’ambito della Sanità, dell’ Istruzione e Ricerca e dell’Industria chimica e petrolchimica. Per quanto concerne Biotecnologie industriali, invece, la maggior parte dei laureati si inserisce nel ramo dell’Industria chimica e petrolchimica; seguono Istruzione e Ricerca e Sanità.
Secondo AlmaLaurea, dopo la laurea di primo livello, il percorso magistrale biennale più seguito è Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche (59,2%), mentre un 19,0% opta per Biotecnologie industriali. Dopo cinque anni dalla laurea, oltre il 79% di coloro che hanno scelto il percorso magistrale in Biotecnologie (sia in ambito medico, sia in ambito industriale) è occupato.
Oggi sempre più biotecnologi si occupano di gestione della qualità, normativa, consulenza tecnica, ma sono anche imprenditori, manager, insegnanti.
Cosa può fare il biotecnologo? Biotecnologie, gli sbocchi lavorativi
Il lavoro del biotecnologo è un lavoro di ricerca e si svolge prevalentemente all’interno dei laboratori dove si fanno analisi chimiche, biologiche e biochimiche su molecole, cellule, tessuti e organismi, per comprendere la struttura dei sistemi biologici e, da lì, sfruttarli per mettere a punto nuove tecnologie. In realtà, oggi, sempre più biotecnologi si occupano di gestione della qualità, normativa, consulenza tecnica, ma anche imprenditori, manager, insegnanti.
Secondo AlmaLaurea, dopo cinque anni dalla laurea, oltre il 79% di coloro che hanno scelto il percorso magistrale in Biotecnologie (sia in ambito medico, sia in ambito industriale) è occupato.
Cosa fa il biotecnologo farmaceutico?
Il biotecnologo farmaceutico opera nel campo della biotecnologia medica. Quando lavora nell’ambito della ricerca è impegnato nella scoperta, estrazione e fabbricazione di principi attivi, nella produzione di vaccini e nello sviluppo di nuovi farmaci. Quando lavora all’interno delle aziende farmaceutiche, progetta, gestisce, controlla i processi industriali per la produzione e il controllo di qualità di farmaci biotecnologici o innovativi.