La ricerca scientifica nel campo della genetica fa meno rumore dei titoli sensazionalistici che lanciano la notizia di due roditori maschi diventati papà. Ma è sotto quel rumore che dovremmo invece concentrare la nostra attenzione, perché  dietro a veloci articoli che lasciano immaginare che possano essere generati topini da due roditori maschi (alimentando paure e fantasie), c’è una scoperta che ha fatto crollare barriere scientifiche finora insormontabili. Ed è questa la vera notizia, quella che ci suggerisce che da oggi potremo sfruttare quanto scoperto per alcune patologie legate alla fertilità e, soprattutto, che potremo esplorare territori di ricerca “oltre frontiera”.

In futuro ci aspettano nuove scoperte scientifiche, anche potenzialmente impattanti su un ampio target di utenti del sistema sanitario, ma non sappiamo ancora quali. La scienza è così, e la medicina non è immune alla regola, anche se spesso è particolarmente difficile accettarlo. Non regala certezze, avanza tra idee, tentativi, sperimentazioni. Per capire allora qual è, realmente, la notizia, ci affidiamo ad una guida esperta, quella di  Ilaria Decimo, professoressa associata di farmacologia presso l’Università di Verona.


Una scoperta rivoluzionaria nella genetica – Dietro i titoli sensazionalistici che parlano di due topi “neo-papà” c’è una scoperta scientifica di grande rilievo: l’identificazione di 20 nuove regioni di imprinting genetico che, se modificate, permettono la formazione di embrioni vitali a partire da due gameti maschili. Questo apre nuove possibilità di ricerca sulla fertilità e sulle malattie legate ai geni dell’imprinting.
Non è ancora una realtà per l’uomo – Sebbene il risultato sia un importante passo avanti, siamo ancora nella fase di ricerca di base. Il protocollo è stato testato solo sui topi, e non è detto che possa essere replicato nell’uomo. Serviranno anni di studi per verificare se le stesse regioni genetiche sono rilevanti anche nella biologia umana.
Un impatto ancora tutto da definire – Questa scoperta potrebbe avere implicazioni per la medicina riproduttiva e le terapie genetiche, ma il suo effettivo impatto è ancora incerto. La scienza procede per tentativi e sperimentazioni, e prima di poter parlare di applicazioni pratiche dovranno essere superati numerosi ostacoli etici e biologici.

Oltre il clamore: la vera scienza dietro la scoperta dei “topi con due padri”

Partiamo dallo spiegare la notizia, anzi, la fonte originale: uno studio pubblicato sulla rivista Cell Stem Cell dal gruppo di ricerca del Laboratorio di cellule staminali e biologia riproduttiva dell’Istituto di Zoologia dell’Accademia Cinese delle Scienze.

T4F: Che passo avanti abbiamo fatto nella genetica?

Decimo: Per capirlo, serve compierne uno indietro. Per svilupparsi correttamente, l’embrione ha bisogno di geni detti “dell’imprinting” in cui il DNA dei gameti è reso leggibile grazie a dei particolari meccanismi epigenetici. Quando il gamete maschio e il gamete femmina si uniscono, i geni dell’imprinting agiscono in modo sinergico, permettendo all’embrione di svilupparsi. Fino ad oggi, con due gameti maschili questo meccanismo non funzionava, nonostante numerosi tentativi anche di modifiche genetiche. In quest’ultimo lavoro sono state invece individuate 20 regioni di imprinting nuove che, se opportunamente modificate, permettono la formazione di cellule embrionali che partecipano allo sviluppo di embrioni vitali.

T4F: Nessuna presenza “femminile” quindi? Resta una cosa “tra maschi”?

Decimo: Non esattamente, perché si prende lo sperma di un maschio e lo sperma di un altro maschio, li si mette insieme e li si posiziona in una blastociste, embrione normale ai primi stadi di sviluppo, e poi la si deve impiantare comunque in un topo femmina per permettere lo sviluppo dell’embrione.

T4F: Qual è quindi la novità scientifica?

Decimo: L’aver individuato per la prima volta queste regioni contenenti i geni d’imprinting. L’aver identificato e fatto le opportune modifiche genetiche per riuscire a ottenere degli embrioni vitali partendo da due spermi. Ciò dimostra che è possibile riscrivere il programma epigenetico di questo DNA per generare embrioni vitali.

T4F: Che impatto ha sulle persone?

Decimo: Ora è difficile predire quale potrà essere l’applicazione di questa nuova scoperta. Sicuramente nei problemi di fertilità o in alcune patologie che riguardano i geni dell’imprinting, potrà dimostrarsi rilevante, come spiegano gli stessi autori dello studio. Ciò che è fondamentale far capire è che si tratta ancora di ricerca di base, di una “prova di concetto” , come lo era stata la scoperta del primo clone, da cui si originò poi la pecora Dolly anni fa. In quel caso  la clonazione rappresentava la prima prova di reprogramming cellulare che ha poi cambiato completamente il panorama scientifico e medico, introducendo le cellule staminali pluripotenti riprogrammate… ma questo è successo dopo parecchio tempo.

T4F: Per chi fa ricerca nel campo della genetica, perché è importante questo passo avanti, se lo è?

Decimo: Quando si individuano dei modi per superare alcune barriere biologiche, come accaduto stavolta con i geni dell’imprinting, si ha sicuramente un impatto sulla scienza, ma capire quale, nell’immediato, è difficile.

Ora che esiste un protocollo che permette di generare cellule embrionali da due gameti maschili, bisogna studiare ancora per capire quali potranno essere gli sviluppi. Innanzitutto, il primo passo sarà verificare se anche nell’uomo si possa fare: questo lavoro utilizza cellule di topo e non è detto che le stesse regioni genetiche che sono state individuate in questo animale valgano anche per l’uomo. Ci vorranno 5-6 anni, e solo allora si potrà pensare a eventuali applicazioni. Non è per minimizzare, ma vanno date le giuste dimensioni e i giusti tempi alla scoperta.

T4F: E non va dato per certo che una coppia di uomini potrà generare un figlio in “autonomia biologica”?

Decimo: È una possibile prospettiva che emerge da questa proof of concept. In ogni caso, prima di affermarlo, serve andare a fondo. Sembra per esempio che i topi così generati siano meno vitali o abbiano una vita più corta rispetto agli altri. Può darsi quindi che questa tecnica non sia poi così efficiente nel generare animali che siano esattamente uguali a quelli che si generano con gameti femminili e maschili… C’è ancora tanto da fare!


Ilaria Decimo: un ponte tra neuroscienze, biotecnologie e medicina rigenerativa

Ilaria Decimo, professoressa associata di farmacologia presso l’Università di Verona

Ilaria Decimo, professore associato di farmacologia presso l’Universita’ di Verona e direttrice della ricerca e sviluppo di HEMERA Pharma, società di Biotecnologie spin-off dell’Università degli Studi di Milano. Ha conseguito la Laurea in Biotecnologie presso il Max Planck Institute di Colonia, Germania, e un Dottorato di ricerca in Biotecnologie Applicate alle Scienze Biomediche presso l’Università di Verona lavorando nel campo delle neuroscienze. Grazie a un finanziamento Marie Curie dell’Unione Europea, a Leuven (Belgio) presso il centro di ricerca Flamish Institute for Biotechnology (VIB), Decimo ha svolto un’ampia attività di ricerca su patologie neurodegenerative, cellule staminali neurali, metabolismo cellulare e angiogenesi. Al termine di questa esperienza, è rientrata in Italia presso la sezione di Farmacologia del Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica dell’Università di Verona, dove dirige il suo gruppo di ricerca, coinvolto in numerosi progetti nazionali e internazionali. Le principali attività di ricerca hanno come tema lo sviluppo di nuove terapie per la rigenerazione del sistema nervoso centrale tra cui la terapia cellulare, l’utilizzo nuovi di target farmacologici come il metabolismo cellulare e la messa a punto di sistemi cellulari tridimensionali cerebrali chiamati ‘mini-brain’.

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