Con poco più di 20 anni di vita, il neuromarketing rappresenta probabilmente uno degli approcci più innovativi nell’ambito del marketing moderno. Attraverso l’utilizzo di metodologie neuroscientifiche, consente di analizzare e comprendere come le persone reagiscono a stimoli visivi, emotivi e sensoriali. È una disciplina si propone di misurare l’efficacia di messaggi pubblicitari e strategie di comunicazione, valutando l’attenzione, la memoria e la risposta emotiva degli utenti.
Tuttavia, il suo utilizzo e la sua applicazione pratica sono stati finora piuttosto limitati in ragione di costi effettivamente elevati e dalla necessità di condurre ricerche in laboratorio: un processo spesso lungo e poco scalabile. Ma con l’avvento dell’intelligenza artificiale (AI), il neuromarketing ha subito una trasformazione radicale. Grazie agli algoritmi predittivi e alla disponibilità di grandi quantità di dati, l’AI consente di simulare e prevedere le reazioni emotive e visive degli utenti senza la necessità di coinvolgerli fisicamente. Questa evoluzione ha reso il neuromarketing più accessibile e scalabile, aprendo nuove possibilità per l’ottimizzazione delle campagne pubblicitarie e delle strategie di comunicazione.
Takeaway
La nascita del neuromarketing: dalle origini alla rivoluzione scientifica
Il neuromarketing è una disciplina relativamente giovane, nata dall’incontro tra neuroscienze e marketing con l’obiettivo di comprendere meglio le decisioni dei consumatori. Sebbene il termine sia stato coniato nel 2002 dal professore olandese Ale Smidts, l’idea di applicare le scienze cognitive alla comprensione del comportamento d’acquisto ha radici ben più lontane.
L’interesse per il funzionamento della mente umana e il suo impatto sulle scelte è una questione che risale a secoli fa, ma fu con l’avvento della psicologia sperimentale che si posero le basi per il neuromarketing. Hugo Münsterberg, psicologo tedesco considerato il padre della psicologia industriale, intuì l’importanza di comprendere la mente del consumatore già nel 1913. La sua visione era chiara:
«Gli uomini d’affari si renderanno conto che i clienti non sono altro che insiemi di stati mentali e che la mente è un meccanismo che possiamo influenzare con la stessa precisione con cui controlliamo una macchina in una fabbrica.»
Tuttavia, l’applicazione pratica delle neuroscienze al marketing restò a lungo limitata dalle tecnologie disponibili. Fu solo negli anni ‘90 che la ricerca fece un salto di qualità, grazie ai progressi della neuroimaging, come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), che permise di osservare l’attività cerebrale in risposta agli stimoli di marketing.
Uno dei primi studiosi a portare il neuromarketing a un livello pratico fu Gerald Zaltman, professore di marketing presso l’Università di Harvard. Nel 1998, quattro anni prima che il termine “neuromarketing” venisse formalmente coniato, Zaltman brevettò un metodo di ricerca innovativo chiamato ZMET (Zaltman Metaphor Elicitation Technique).
Il suo approccio si basava sull’idea che gran parte delle decisioni d’acquisto avvengano a livello inconscio. ZMET utilizzava immagini selezionate per evocare emozioni profonde e stimolare ricordi e associazioni inconsce nei consumatori. Questo metodo dimostrò che il marketing non poteva più basarsi solo sulle risposte dichiarate dagli utenti, ma doveva esplorare i processi inconsci alla base delle loro scelte.
Zaltman stesso spiegò il concetto con queste parole:
«Molto di ciò che influenza ciò che diciamo e facciamo avviene sotto il livello della consapevolezza. Per questo abbiamo bisogno di nuove tecniche: per accedere alle conoscenze nascoste, a ciò che le persone non sanno di sapere.»
Questa intuizione aprì la strada a un nuovo modo di intendere il marketing, in cui le neuroscienze giocavano un ruolo chiave nella progettazione di strategie più efficaci.
Il primo esperimento di neuromarketing: Pepsi vs Coca-Cola
Uno degli esperimenti più celebri nella storia del neuromarketing fu condotto nel 2003 dal neuroscienziato Read Montague presso il Baylor College of Medicine. Il suo studio prese spunto dalla classica “Pepsi Challenge“ del 1975, un test alla cieca in cui ai partecipanti venivano fatte assaggiare due bevande senza conoscere il marchio. I risultati mostrarono che la maggior parte preferiva il gusto di Pepsi rispetto a quello di Coca-Cola, eppure le vendite continuavano a premiare Coca-Cola.
Montague decise di ripetere l’esperimento, ma con una novità: i partecipanti furono sottoposti a una risonanza magnetica funzionale (fMRI) per monitorare la loro attività cerebrale durante il test.
Quando i soggetti non sapevano quale marca stessero bevendo, la loro risposta cerebrale si attivava nel ventral putamen, un’area del cervello legata al piacere e alla ricompensa, confermando la preferenza per Pepsi. Tuttavia, quando veniva rivelato che stavano bevendo Coca-Cola, si attivava un’area diversa, la corteccia prefrontale mediale, associata ai processi cognitivi complessi e alla memoria.
In altre parole, il marchio Coca-Cola evocava un valore emozionale così forte da modificare la percezione del gusto, spingendo le persone a preferirlo, nonostante la loro reazione sensoriale suggerisse il contrario. Questo esperimento dimostrò l’enorme influenza del branding sulle decisioni inconsce dei consumatori e segnò l’inizio di una nuova era per il neuromarketing.
Oggi il neuromarketing è diventato un settore di ricerca consolidato, adottato da aziende di tutto il mondo per affinare le proprie strategie di comunicazione. L’uso di tecnologie avanzate come EEG (elettroencefalogramma), eye-tracking, analisi delle espressioni facciali e risonanza magnetica permette di raccogliere dati sempre più precisi sulle risposte dei consumatori agli stimoli pubblicitari.
Questi stessi dati consentono ai marketer di comprendere meglio i comportamenti dei consumatori, migliorare il design dei prodotti e ottimizzare le campagne pubblicitarie per massimizzarne l’impatto.
Lo sviluppo dei neuromarketing nell’integrazione tra neuroscienze, AI e big data
Come accennato, il futuro del neuromarketing si gioca oggi su un approccio nuovo, sempre più orientato all’integrazione tra neuroscienze, AI e big data, con l’obiettivo di migliorare l’esperienza del consumatore e rendere la comunicazione commerciale più personalizzata e coinvolgente.
Spiega Giovanni Pola, direttore dell’International Neuromartech Observatory:

«Grazie all’AI, oggi possiamo predire il comportamento umano con un livello di precisione mai visto prima, senza dover portare milioni di persone in laboratorio. Questo cambia completamente il panorama del neuromarketing, rendendolo scalabile e molto più efficiente».
Se è vero che le tecniche tradizionalmente utilizzate negli esperimenti di laboratorio forniscono dati estremamente accurati, sono costose e difficili da implementare su larga scala.
Grazie all’AI, è ora possibile superare questi limiti attraverso:
- Analisi predittiva: L’AI utilizza dati storici per prevedere come gli utenti reagiranno a determinati stimoli, eliminando la necessità di coinvolgere direttamente i soggetti in laboratorio.
- Raccolta dati remota: Tecnologie avanzate consentono di raccogliere dati biometrici e comportamentali da remoto, rendendo il processo più flessibile e scalabile.
- Automazione delle analisi: Algoritmi di machine learning possono analizzare grandi quantità di dati in tempo reale, identificando pattern e tendenze che sarebbero difficili da rilevare manualmente.
- Personalizzazione avanzata: L’AI consente di creare esperienze personalizzate per i consumatori, basandosi su dati raccolti in tempo reale e modelli predittivi.
Giovanni Pola osserva:
«L’intelligenza artificiale sta consentendo di unire il meglio delle neuroscienze alla velocità e all’efficienza del marketing digitale. Questo significa creare un nuovo paradigma in cui i dati emotivi e cognitivi diventano centrali nelle decisioni strategiche».
Tra applicazioni attuali e prospettive future
Il neuromarketing trova applicazione in diversi settori, dalla pubblicità al retail, fino all’intrattenimento e alla formazione.
Nel campo della pubblicità e della comunicazione, questa disciplina consente di analizzare l’efficacia di spot pubblicitari, contenuti digitali e campagne sui social media. Attraverso tecnologie avanzate come il tracciamento oculare e l’analisi delle espressioni facciali, è possibile valutare il coinvolgimento emotivo degli utenti e ottimizzare i messaggi per massimizzare il loro impatto.
Nel settore retail e nel design dei prodotti, le neuroscienze applicate vengono utilizzate per progettare spazi commerciali, packaging e prodotti in grado di catturare l’attenzione e generare un’esperienza emotiva positiva nei consumatori. L’analisi delle reazioni cognitive ed emotive gioca un ruolo fondamentale anche nell’ottimizzazione dell’esperienza utente (UX), migliorando la navigazione su siti web, app e piattaforme digitali, con un impatto diretto sull’engagement e sulle conversioni.
Anche l’industria dell’intrattenimento beneficia delle tecniche di neuromarketing, applicate per testare la risposta del pubblico a film, programmi televisivi e contenuti multimediali. Questi strumenti consentono di individuare le reazioni emotive degli spettatori e di perfezionare i prodotti per ottenere un maggiore coinvolgimento. Infine, emergono nuove applicazioni nel campo della formazione e dell’educazione, dove il neuromarketing viene impiegato per sviluppare metodi di apprendimento più efficaci. Ottimizzando materiali didattici sulla base delle risposte cognitive ed emotive degli studenti, è possibile migliorare la memoria, la comprensione e l’assimilazione dei contenuti.
Ma è guardando al futuro che si colgono le implicazioni più interessanti: le potenzialità del neuromarketing aprono scenari innovativi che potrebbero ridefinire il rapporto tra brand e consumatori. Tra le prospettive più promettenti, la creazione di digital twin rappresenta un’innovazione di grande rilievo. Le simulazioni virtuali, in grado di replicare il comportamento e le reazioni emotive di specifici gruppi di utenti, potrebbero rivoluzionare la ricerca qualitativa, rendendola più economica e accessibile, senza la necessità di test su larga scala condotti in laboratorio.
Parallelamente, si sta assistendo a una transizione dall’economia dell’attenzione a quella dell’intenzione, un nuovo paradigma in cui l’obiettivo non è più solo catturare l’attenzione del consumatore, ma prevedere e influenzare le sue intenzioni di acquisto.
Verso l’economia dell’intenzione
L’economia dell’attenzione e l’economia dell’intenzione rappresentano due modelli distinti di interazione tra consumatori e contenuti digitali. La prima, teorizzata già negli anni ‘70 dal politologo Herbert Alexander Simon e poi consolidata con l’avvento di Internet e dei social media, punta a catturare e trattenere il tempo e l’attenzione degli utenti. In questo modello, i contenuti vengono prodotti in quantità sempre maggiore, spesso privilegiando l’impatto immediato piuttosto che la qualità dell’informazione. L’obiettivo è massimizzare il tempo trascorso dagli utenti su piattaforme digitali, traducendolo in revenue pubblicitarie o conversioni commerciali. Tuttavia, questa logica ha portato a un sovraccarico informativo, in cui gli utenti sono continuamente esposti a contenuti spesso irrilevanti, frammentari o di scarsa qualità, rendendo più difficile distinguere informazioni utili dal rumore di fondo.
A questa dinamica si contrappone il concetto emergente di economia dell’intenzione, che sposta il focus verso la comprensione e alla soddisfazione delle reali esigenze degli utenti. In questo modello, tecnologie come l’intelligenza artificiale giocano un ruolo chiave nel prevedere e rispondere in modo proattivo alle intenzioni dei consumatori. L’obiettivo non è più attirare passivamente l’utente con contenuti generalisti, ma fornirgli informazioni e soluzioni su misura, in base ai suoi bisogni espliciti e impliciti.
In questo scenario, grazie a una comprensione più profonda del vissuto emotivo e percettivo degli utenti, le strategie di marketing potrebbero diventare sempre più personalizzate e proattive, anticipando le esigenze dei consumatori con maggiore precisione.
Infine, il neuromarketing e l’intelligenza artificiale potrebbero giocare un ruolo determinante nel miglioramento etico della comunicazione. L’integrazione di queste tecnologie consente di creare messaggi più significativi, in grado di ridurre l’ansia e la pressione mediatica sugli utenti, contrastando l’eccesso di stimoli a cui sono quotidianamente esposti.
Laura Luongo, project manager dell’International Neuromartech Observatory, spiega:

«Il neuromarketing offre un valore unico: ci consente di dare significato alla comunicazione in un contesto sovraccarico di contenuti, creando messaggi che realmente risuonano con le persone».
Perché un Osservatorio internazionale
Nonostante quanto fin qui detto sulle opportunità offerte dal neuromarketing, il settore è ancora giovane e privo di una regolamentazione chiara. Per questo motivo, l’Associazione Italiana Neuromarketing (AINEM), in collaborazione con l’agenzia GreatPixel, ha fondato l’International Neuromartech Observatory (INO), con l’obiettivo di mappare il panorama del neuromartech e definire standard chiari per garantire la trasparenza, la scientificità e l’etica nell’utilizzo di queste tecnologie.
Spiega Giovanni Pola:
«L’Osservatorio non è solo un progetto di ricerca, ma una piattaforma per garantire trasparenza e responsabilità in un settore in rapida evoluzione. Vogliamo tracciare una roadmap chiara che permetta a tutti gli attori coinvolti di operare con rigore scientifico e rispetto etico».
L’Osservatorio ha infatti l’obiettivo di tracciare una mappatura dettagliata del settore neuromartech, identificando le aziende attive, le tecnologie impiegate, i dataset utilizzati e i metodi di raccolta dei dati. Un aspetto fondamentale del suo operato è garantire la trasparenza, assicurandosi che le informazioni vengano raccolte e gestite in modo etico, nel rispetto della privacy degli utenti e con una riduzione al minimo dei bias presenti nei dataset.
Oltre alla regolamentazione della raccolta dati, l’Osservatorio si dedica alla definizione di standard industriali, sviluppando protocolli tecnici, linee guida etiche e criteri di qualità per assicurare l’affidabilità e la validità delle misurazioni nel campo del neuromarketing. La collaborazione tra aziende e università è un altro pilastro centrale, con la creazione di una piattaforma dedicata alla condivisione di conoscenze, esperienze e best practice, favorendo un dialogo costruttivo tra ricerca accademica e applicazioni pratiche.
Infine, la diffusione delle conoscenze è un obiettivo strategico, perseguito attraverso convegni, seminari ed eventi di divulgazione. L’Osservatorio si impegna a educare sia il pubblico sia gli operatori del settore, fornendo approfondimenti sulle potenzialità e sulle sfide del neuromarketing e dell’intelligenza artificiale applicata al marketing.
Le metodologie adottate dall’Osservatorio
Per garantire una mappatura completa e approfondita del settore, l’International Neuromartech Observatory (INO) ha sviluppato un piano metodologico che combina strumenti qualitativi e quantitativi.
Laura Luongo, project manager del progetto, spiega:
«La mappatura del settore è stata il nostro primo passo. Abbiamo raccolto dati su circa cinquanta aziende che operano a livello nazionale e internazionale, analizzando metriche, tecnologie, e modalità di raccolta dati. Questo lavoro iniziale ci ha permesso di rispondere a un’esigenza latente del mercato, fornendo una visione strutturata e sistematica».
L’Osservatorio adotta diverse metodologie per analizzare il settore neuromartech e definire standard di qualità. I questionari strutturati rappresentano uno degli strumenti principali, inviati alle aziende mappate per approfondire aspetti cruciali come la trasparenza dei dati, la qualità dei dataset e le tecnologie impiegate. Le risposte raccolte consentono di delineare criteri di inclusione e di valutare il livello di conformità agli standard etici e scientifici.
Parallelamente, vengono condotte interviste dirette con i rappresentanti delle aziende del settore, con l’obiettivo di esplorare nel dettaglio le metodologie adottate e verificare l’aderenza a principi di rigore scientifico e integrità operativa. L’analisi comparativa svolge un ruolo chiave, confrontando diverse tecnologie e approcci per determinare l’efficacia e il livello di innovazione dei metodi impiegati.
Le collaborazioni scientifiche con comitati accademici e esperti del settore garantiscono che i risultati ottenuti siano validati e supportati da un solido impianto metodologico. Infine, vengono sviluppati criteri di esclusione per stabilire i requisiti minimi di accesso al panorama neuromartech.
Come sottolinea Luongo,
«abbiamo già identificato due criteri fondamentali e imprescindibili: la trasparenza dei dati e la scientificità delle piattaforme. Questi sono elementi non negoziabili per garantire che il neuromartech operi in modo etico e rigoroso».
Ma c’è anche attenzione a tematiche di etica e trasparenza. Giovanni Pola spiega:
«Nel nostro settore non ci sono rischi particolarmente gravi legati all’adozione delle tecnologie, ma la trasparenza è cruciale. Dobbiamo sapere chi fornisce i dati, come vengono raccolti e se sono rappresentativi. Questo è fondamentale non solo per garantire l’efficacia delle analisi, ma anche per costruire un ecosistema affidabile e sostenibile».
Glimpses of futures
Cerchiamo ora comprendere quali saranno le implicazioni e l’impatto di questo nuovo approccio al neuromarketing non solo sugli attori del settore pubblicitario e commerciale, ma anche e soprattutto sui consumatori, utilizzando la matrice STEPS (Social, Technological, Economic, Political, Sustainability) che ne analizza le prospettive secondo diverse declinazioni.
S – SOCIAL
L’evoluzione del neuromarketing ridefinirà il rapporto tra brand e consumatori, rendendo l’esperienza sempre più personalizzata. Grazie all’integrazione tra neuroscienze e intelligenza artificiale, i marchi potranno adattare in tempo reale contenuti, pubblicità e offerte in base alle reazioni cognitive ed emotive dei singoli individui. Questo porterà a interazioni più coinvolgenti e pertinenti, ma solleverà anche interrogativi etici sulla possibilità di manipolazione e sulla perdita di autonomia decisionale da parte dei consumatori. Sarà fondamentale garantire maggiore trasparenza e regolamentazione per evitare che la personalizzazione diventi invasiva o influenzi in modo eccessivo le scelte d’acquisto.
T – TECHNOLOGICAL
La tecnologia sarà il motore della prossima fase di sviluppo del neuromarketing. L’integrazione tra intelligenza artificiale, monitoraggio biometrico e neuroimaging consentirà di raccogliere dati sempre più approfonditi sul comportamento dei consumatori. I progressi nel machine learning e nell’analisi predittiva elimineranno gran parte dell’incertezza nelle strategie di marketing, permettendo ai brand di anticipare i bisogni dei consumatori con estrema precisione. Tuttavia, l’adozione massiccia di queste tecnologie richiederà normative più stringenti per garantire la protezione della privacy e l’uso etico dei dati. Inoltre, l’avvento dei digital twin, ovvero modelli digitali che simulano il comportamento dei consumatori, potrebbe cambiare il modo in cui vengono sviluppate campagne pubblicitarie e strategie di engagement.
E – ECONOMIC
l passaggio dall’economia dell’attenzione all’economia dell’intenzione avrà un impatto significativo sui modelli di business. Invece di focalizzarsi solo sull’acquisizione dell’attenzione, il marketing si orienterà verso la previsione e la stimolazione delle intenzioni d’acquisto, sfruttando l’intelligenza artificiale per interpretare e anticipare i bisogni dei consumatori. Questo renderà le strategie di vendita più efficaci, riducendo gli sprechi pubblicitari e migliorando la soddisfazione del cliente. Questa trasformazione potrebbe mettere in crisi i modelli economici basati sulla pubblicità tradizionale, spingendo le aziende a ripensare le proprie strategie di monetizzazione e fidelizzazione.
P – POLITICAL
Con il progresso delle tecnologie di neuromarketing, governi e istituzioni dovranno affrontare il tema della regolamentazione per evitare abusi e garantire la tutela dei consumatori. L’uso dei dati biometrici e delle neuroscienze applicate al marketing solleva questioni etiche legate alla trasparenza, alla protezione della privacy e alla manipolazione delle scelte d’acquisto. È probabile che verranno introdotte normative più severe per disciplinare l’uso di queste tecniche, imponendo limiti chiari alla raccolta e all’analisi dei dati neurologici e comportamentali. Inoltre, la diversità nelle regolamentazioni nazionali potrebbe creare disallineamenti nel mercato globale, influenzando il commercio digitale e le strategie internazionali delle aziende.
S – SUSTAINABILITY
Il neuromarketing potrebbe avere un ruolo nel promuovere scelte di consumo più sostenibili ed etiche. L’integrazione dell’intelligenza artificiale permetterà di progettare strategie di marketing che incoraggiano comportamenti responsabili, promuovendo prodotti eco-friendly e riducendo gli sprechi. Inoltre, la maggiore precisione nel targeting consentirà di limitare le campagne pubblicitarie superflue, contribuendo a un uso più efficiente delle risorse. Tuttavia, il vero punto critico sarà garantire che queste tecnologie siano utilizzate non solo per massimizzare le vendite, ma anche per guidare i consumatori verso scelte più consapevoli, in un equilibrio tra crescita economica e responsabilità sociale.