A fine 2025 entrerà in vigore il regolamento EUDR, che impone la tracciabilità geografica dei prodotti per bloccare l'import di beni legati alla deforestazione. Ma senza un concreto sostegno ai Paesi esportatori extra-UE, il rischio è che la normativa resti solo sulla carta
Sul fronte anti-deforestazione l’Unione Europea sceglie di aspettare, ma il tempo perso potrebbe costare caro. L’entrata in vigore dell’EUDR (European Deforestation Regulation), chiamata a sostituire l’attuale regolamento EUTR (European Timber Regulation), slitta in avanti, ma la decisione europea non è motivata né dal desiderio di attendere chi fatica ad allinearsi, né dalla volontà di dare respiro a chi l’ha appena raggiunta. Piuttosto, è una questione di sostenibilità complessa: economica per i grandi player industriali, tecnologica e operativa per la maggior parte degli Stati membri, ed ecosistemica a livello globale, con forti ripercussioni soprattutto sui Paesi del Sud del mondo.
Takeaway
Anti-deforestazione, l’Europa si ferma
Per comprendere pienamente la portata della questione, tra passi falsi e avanzamenti incerti, è necessario fare innanzitutto un passo indietro, chiarendo contesto, definizioni e dinamiche implicite.
A prima vista, l’introduzione del regolamento europeo EUDR potrebbe apparire come una questione rilevante soltanto per ambientalisti o gruppi che operano per la tutela delle foreste. Tuttavia, basta osservarne più da vicino obiettivi e implicazioni per comprendere che l’impatto di questa normativa si estende ben oltre, andando a toccare quasi tutti i principali settori produttivi dell’economia europea.
Dal punto di vista economico, infatti, la decisione di tracciare e controllare rigorosamente l’origine di qualsiasi materiale derivato dal legno – o legato ad esso, come la carta e i suoi derivati – comporta significative ripercussioni per numerosi business europei che dipendono fortemente dall’importazione di queste materie prime, più o meno trasformate. Si parla di settori strategici quali mobili e arredamento, edilizia, packaging, industria chimica, fino al commercio e alla logistica, che fanno largo uso di carta e cartone anche solo per il confezionamento e la spedizione delle merci.
Dal punto di vista geopolitico, invece, la scelta dell’Europa di contrastare attivamente dinamiche globali di deforestazione impatta principalmente sui Paesi in via di sviluppo, collocati soprattutto in Asia, Sud America e Africa. Proprio quei Paesi che detengono la maggior parte delle risorse forestali mondiali, ma che spesso non possiedono ancora le infrastrutture, le risorse tecniche o il peso economico-politico necessari a proteggerle efficacemente, pur avendone la volontà.


Sigle a confronto: dalla carta alla geolocalizzazione
Tra EUTR ed EUDR esiste una certa assonanza terminologica, ma anche una sostanziale differenza di approccio e impatto, soprattutto per chi è chiamato a implementare concretamente queste normative.
La prima sigla, EUTR (European Timber Regulation), si riferisce a una normativa approvata nel 2010 ed entrata in vigore nel 2013, che riguarda esclusivamente il commercio del legname e dei suoi derivati, compresa la carta. L’EUTR vieta l’immissione sul mercato europeo di prodotti derivanti da attività illegali di sfruttamento forestale, imponendo ai soggetti coinvolti un sistema interno di due diligence basato essenzialmente su una verifica documentale. Sebbene sulla carta la normativa definisca chiaramente i requisiti necessari e stabilisca natura, modalità e frequenza dei controlli a carico dei Paesi membri, in pratica lascia ampio spazio a violazioni e aggiramenti dovuti proprio alla sua natura prevalentemente amministrativa.
Trattandosi della normativa ancora vigente, vale la pena ricordarne almeno i punti principali:
- al primo acquirente (chi immette per primo il prodotto sul mercato UE) è richiesta una rigorosa due diligence interna.
- agli operatori successivi è imposta la tenuta di registri per garantire la tracciabilità dei prodotti lungo tutta la supply chain.
L’EUDR (European Deforestation Regulation), invece, messa in pausa lo scorso settembre poco prima della sua entrata in vigore prevista, è più ambiziosa negli intenti e più rigorosa nelle modalità operative.
A differenza della precedente normativa, l’EUDR aggiunge alla due diligence una forte componente tecnologica: l’obbligo di fornire dati precisi di geolocalizzazione relativi a ogni singolo tratto di foresta da cui sono stati prelevati legno o fibre destinate al mercato europeo. L’obiettivo dichiarato è assicurare una tracciabilità assoluta, impedendo così l’ingresso sul mercato comunitario di prodotti legati a fenomeni di deforestazione illegale ovunque nel mondo.
Chi non sarà in grado di rispettare tali requisiti verrà escluso dal mercato europeo, rischiando sanzioni severe, che possono arrivare almeno al 4% del fatturato totale annuale delle vendite realizzate in Europa nell’anno precedente.
Dinamiche di implementazione: una transizione complessa
Al momento, le imprese di medie e grandi dimensioni hanno circa 9 mesi per adeguarsi ai requisiti imposti dall’EUDR, mentre per le micro e piccole imprese il termine è stato prorogato di ulteriori 6 mesi, fino al 30 giugno 2026. Alla fine del 2024, nel decidere il rinvio dell’entrata in vigore della normativa, l’Unione Europea ha annunciato come tappa intermedia la realizzazione di un sistema informativo per la due diligence, ovvero un registro online per agevolare la gestione delle catene di approvvigionamento. Uno strumento che potrebbe risultare marginale per chi ha una filiera corta, ma strategico per chi ne ha una lunga e articolata, aiutando a mitigare gli impatti operativi della nuova normativa.
Se da un lato alcuni analisti interpretano l’EUDR come un mero strumento di moral suasion, evidenziando la difficoltà reale nell’applicazione immediata di controlli e tecnologie per molti Paesi, altri ne sottolineano il potenziale amplificatore di disuguaglianze già evidenti sul piano globale.
L’introduzione di pratiche avanzate per la tutela delle foreste in Paesi che ancora non riescono a implementare neppure gli standard minimi già esistenti rischia infatti di aggravare ulteriormente la situazione di quegli Stati che, spesso non per mancanza di volontà ma per carenza di mezzi, risorse e competenze specifiche, già faticano a mantenersi al passo.
Per soddisfare i requisiti dell’EUDR serviranno risorse economiche significative, personale formato e competente, infrastrutture tecnologiche avanzate e dati costantemente aggiornati e affidabili. Condizioni non alla portata di tutti, che rischiano così di lasciare indietro chi già oggi affronta le maggiori difficoltà.
I paesi dell’allargamento alla prova dell’EUDR
Per cogliere a fondo la complessità della sfida posta dalle nuove normative europee anti-deforestazione, è utile osservare il contesto dei cosiddetti “Paesi dell’allargamento“, ovvero quegli Stati candidati che aspirano a entrare nell’Unione Europea. Qui emergono chiaramente tutte le difficoltà e le contraddizioni tra le ambizioni normative dell’Europa e le capacità effettive dei Paesi chiamati ad applicarle.
Il caso della Macedonia del Nord
La Macedonia del Nord, Paese candidato all’adesione europea sin dal 2005 e ufficialmente entrato nella fase negoziale nel 2022, rappresenta un esempio emblematico. Nonostante abbia formalmente avviato i preparativi per allinearsi alle normative comunitarie, compresa l’EUDR, resta aperta la questione centrale sulla sua effettiva capacità di implementazione.
«L’avvio formale dei preparativi non implica necessariamente che il Paese abbia realmente valutato la propria preparazione» afferma Sasho Petrovski, presidente del Centro regionale per la silvicoltura e lo sviluppo rurale (REFORD). «Siamo davvero pronti per l’attuazione concreta dell’EUDR?» si chiede, sollecitando al contempo una riflessione pubblica più ampia sul tema. Petrovski evidenzia una criticità già presente e concreta: «Invece di potenziare l’organismo preposto alla vigilanza sul settore forestale, siamo addirittura passati da 20 a soli 12 esperti. Inoltre, non abbiamo ancora individuato chiaramente l’ente responsabile dell’attuazione, che dovrebbe avere una solida esperienza in materia».
Parallelamente, resta molto lavoro da fare anche sul piano normativo. Sarà necessario adattare il quadro giuridico nazionale ai rigorosi requisiti previsti dall’EUDR, che includono l’introduzione obbligatoria di sistemi avanzati di geolocalizzazione e tracciabilità. Ciò richiederà importanti investimenti in formazione tecnica, tecnologie di ultima generazione e aggiornamenti continui, coinvolgendo non solo chi dovrà effettuare le verifiche, ma anche gli operatori economici sottoposti ai nuovi controlli. Le piccole imprese locali, in particolare, dovranno affrontare una sfida significativa per adeguarsi a questi nuovi standard di digitalizzazione.
Malgrado queste complessità, la Macedonia del Nord sembra consapevole delle opportunità economiche, ambientali e sociali che l’EUDR potrebbe aprire nel medio-lungo periodo. Opportunità che vanno ben oltre l’accesso diretto al mercato unico europeo, coinvolgendo anche la sostenibilità e la crescita qualitativa del settore forestale nazionale, con conseguenti nuovi posti di lavoro. Se infatti il Paese non si distingue particolarmente per abbondanza di risorse forestali rispetto ad altri Stati balcanici, può però migliorare significativamente la gestione e l’efficienza della sua filiera del fire wood (legno da ardere), settore chiave per l’economia locale e storicamente il più rilevante per produzione ed esportazioni.

Dal punto di vista ambientale, l’EUDR può rappresentare un’opportunità concreta di rinnovamento, a condizione che vengano colmate al più presto le lacune strutturali e tecnologiche esistenti. In questo senso, l’allargamento dell’UE non rappresenta solo un traguardo politico, ma una preziosa leva di sviluppo e innovazione sostenibile per Paesi come la Macedonia del Nord, che da tempo rimandano passi ormai improrogabili.
Bosnia-Erzegovina, dove la sfida ambientale incontra frammentazione istituzionale e resistenza culturale
Tra i Paesi candidati all’allargamento dell’Unione Europea, la Bosnia-Erzegovina rappresenta un caso particolarmente complesso. Il Paese ha ottenuto ufficialmente lo status di candidato nel 2022, ma sin dal 2008 è impegnato in un lungo percorso di adeguamento della propria legislazione ambientale agli standard europei. Un percorso complesso, reso ancor più difficile dalla frammentazione giuridico-amministrativa che caratterizza il Paese e dalla mancanza di una chiara visione condivisa sulla gestione sostenibile delle risorse naturali.
Tra le iniziative più significative intraprese finora, emerge l’adesione della Bosnia-Erzegovina alla cosiddetta Agenda Verde per i Balcani Occidentali, una piattaforma regionale finalizzata all’allineamento delle politiche ambientali agli standard comunitari. All’apparenza si tratta di un promettente mosaico di buone pratiche, declinate in linee guida per la tutela ambientale che il Paese ha sottoscritto con impegno formale. Tuttavia, il passaggio dall’adesione teorica all’applicazione pratica risulta problematico, come evidenzia proprio il contesto istituzionale bosniaco:
«L’assetto giuridico del nostro Stato è estremamente complesso e frammentato – spiega un documento interno di analisi istituzionale – e questa frammentazione riguarda tutti i settori, non soltanto quello ambientale».
A complicare ulteriormente il quadro normativo e operativo si aggiunge una componente culturale e sociale significativa, come osserva la società civile locale. Sulla questione ambientale, denuncia una forte resistenza culturale interna, aggravata dalla corruzione e dall’irresponsabilità sia di parte della classe politica sia di alcuni investitori stranieri. La testimonianza della realtà quotidiana bosniaca arriva chiaramente dalla voce della cittadinanza stessa. Sanja Milić, giornalista ambientale freelance, sottolinea:
«Non assistiamo soltanto a irresponsabilità politica dall’alto, ma anche a un diffuso disinteresse ambientale “dal basso”. Le foreste sono percepite spesso come risorse da sfruttare rapidamente piuttosto che ecosistemi da gestire responsabilmente».
Le conseguenze pratiche di tale frammentazione e di questo deficit culturale non tardano a manifestarsi: speculazioni, tagli illegali e devastazioni ambientali continuano ad avere ampio margine di azione, rallentando qualsiasi tentativo di modernizzazione o adeguamento normativo.

Al già difficile scenario descritto si somma la rilevanza economica del comparto forestale nazionale. La Bosnia-Erzegovina conta oltre 1.200 imprese attive nel settore del legno e del mobile, molte delle quali sopravvivono principalmente grazie all’export. Per queste aziende, che svolgono un ruolo cruciale nel bilancio economico nazionale, l’adeguamento prima all’EUTR e ora al più stringente EUDR rappresenta una sfida notevole. Un passaggio non solo economico o tecnologico, ma soprattutto culturale e organizzativo, che determinerà la loro stessa capacità competitiva futura sul mercato europeo.
Si tratta di pagine ancora tutte da scrivere, che richiederanno un dialogo aperto e costruttivo tra due attori principali: il governo, che ha definito la filiera del legno un vero e proprio settore industriale prioritario, e la società civile, che guarda con preoccupazione a un’implementazione poco trasparente e inefficace di norme fondamentali per la tutela ambientale.
Proprio la società civile costituisce oggi la più concreta speranza per un cambiamento positivo, grazie all’impegno attivo di numerose ONG locali che non solo si mobilitano contro gli abusi ambientali, ma che hanno imparato a lavorare in rete. Una rete informale ma influente è quella rappresentata da EkoBiH, che raccoglie oltre 40 organizzazioni ambientaliste unite nell’intento comune di tutelare la biodiversità e promuovere pratiche forestali responsabili. Attraverso campagne di sensibilizzazione e battaglie legali, EkoBiH rappresenta attualmente una delle poche forze in grado di esercitare pressione sul governo, offrendo ai cittadini un modello virtuoso di impegno e attivismo. I prossimi mesi diranno se queste energie basteranno a superare resistenze istituzionali e culturali che per troppo tempo hanno frenato la Bosnia-Erzegovina sulla strada della sostenibilità e dell’Europa.
Albania, dove la tutela delle foreste si scontra con la corruzione e la fragilità delle istituzioni
I negoziati per l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea sono formalmente iniziati nel 2022, ma restano ancora aperti diversi capitoli cruciali. Tra questi spiccano le tematiche ambientali, che rappresentano una sfida complessa per un Paese dove la silvicoltura non è soltanto una questione ecologica, ma investe direttamente ambiti socioeconomici e di governance estremamente delicati.
«La gestione forestale non può essere ridotta a un semplice tema ambientale – sottolinea Genci Rakipi, esperto albanese di governance ambientale – ma deve essere affrontata come una questione socio-economica e istituzionale profondamente radicata».

Il settore forestale albanese, infatti, è attraversato da criticità strutturali che rendono particolarmente complesso l’adeguamento agli standard europei previsti dall’EUTR prima e dall’EUDR poi. Accanto allo spopolamento delle aree rurali e alle difficili condizioni socioeconomiche delle comunità locali, a complicare ulteriormente il quadro c’è la fragilità delle istituzioni pubbliche, aggravata da una corruzione diffusa e sistemica. Rakipi evidenzia come l’introduzione, già dal 2016, della moratoria contro il disboscamento illegale abbia generato effetti paradossali:
«Quella moratoria ha semplicemente spinto le attività illegali verso la clandestinità. Gli operatori si sono spostati in aree più remote e meno controllabili, adottando tecniche di taglio ancora più aggressive e distruttive».
Se sul campo i responsabili del disboscamento illegale continuano a operare indisturbati, è soprattutto negli uffici delle amministrazioni locali che il problema si amplifica.
Come osserva ancora Rakipi, la corruzione «non cresce nelle foreste, ma alle scrivanie dei funzionari pubblici», manifestandosi soprattutto nella concessione opaca di permessi, nella registrazione impropria dei terreni, e nella scarsa volontà politica di applicare le norme già vigenti.
La complessità della situazione albanese si manifesta dunque su più livelli, rappresentando non solo una sfida normativa, ma anche strutturale e culturale. L’adeguamento agli standard europei dell’EUTR e del più rigoroso EUDR non è solo questione di allineamento legislativo, ma richiede soprattutto interventi sul piano della governance, della formazione e dell’adozione di tecnologie per la tracciabilità del legname. Misure che richiedono risorse finanziarie e competenze tecniche che il Paese non ha ancora sviluppato appieno, e che tuttavia sono indispensabili per non rischiare l’esclusione dal mercato europeo, scenario dalle gravi conseguenze economiche. Si pensi, infatti, che solo l’Italia assorbe oltre il 50% delle esportazioni albanesi di legno, seguita da Grecia (15%) e Serbia (11%) [fonte: WITS].
Nonostante queste evidenti difficoltà, esistono opportunità concrete per trasformare la tutela forestale da problema a leva di sviluppo. L’ecoturismo e l’agro forestazione, per esempio, rappresentano due direzioni strategiche promettenti. Nel primo caso, si tratterebbe di sostituire lo sfruttamento illegale del legname con la valorizzazione sostenibile delle risorse paesaggistiche del Paese, costruendo modelli di turismo sostenibile che generino nuovi flussi economici a beneficio delle comunità locali. Nel secondo caso, puntare sull’agro forestazione significherebbe offrire nuove forme di reddito rispettose degli ecosistemi locali, contribuendo al contempo alla tutela della biodiversità e allo sviluppo socioeconomico sostenibile.
Tali scenari potrebbero concretizzarsi in maniera più efficace qualora il Paese decidesse di orientarsi verso un modello di gestione forestale basato sulla responsabilizzazione delle comunità locali. Questo cambio di prospettiva – da una gestione frammentata e opaca a una basata sulla responsabilizzazione e il coinvolgimento diretto delle popolazioni locali – potrebbe essere la chiave per rafforzare la sostenibilità ambientale e sociale dell’Albania. Sarebbe un cambiamento forse ambizioso quanto necessario, ma cruciale per permettere al Paese di superare le proprie fragilità strutturali e avvicinarsi con maggiore solidità e credibilità all’obiettivo europeo.
Questo articolo è stato prodotto nell’ambito delle Thematic Networks di PULSE un’iniziativa europea che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.