Album di famiglia e mosaici mai esistiti, donne farfalla che insperabilmente salveranno il Pianeta, e un Iran libero in cui si vuole ancora sperare. Pur riorganizzando in modo puramente stocastico le immagini del passato, nelle mani di un artista l’intelligenza artificiale generativa può diventare un potente strumento con cui impattare sulla visione collettiva e personale di passato e di futuro.
Affianco ai deep fake, innegabilmente da monitorare, esistono immagini create con la stessa tecnologia ma scopi del tutto diversi e frastagliati, come lo sono solo i desideri e le pulsioni umane. E vanno a comporre progetti che possono essere pienamente considerati appartenenti a una nuova arte autonoma. Abbracciandola come tale, ci regaliamo la possibilità di esplorarla con animo scevro da giudizi castranti, liberi di immaginare anche noi dove ci potrebbe portare e come. E farlo ascoltando alcuni pionieristici protagonisti.
Takeaway
IMMAGINARE IL PASSATO
1. Sfogliare ricordi mai vissuti
Nelle sue “Imagined Images”, Maria Mavropoulou, usa l’AI generativa per creare l’album di famiglia che la vita non le ha mai permesso di avere, a causa di molteplici trasferimenti, a volte forzati, altre per piacere, lasciandole solo storie orali. Oltre 400 fotogrammi che descrivono sette decenni di storie, persone, ambienti e diverse società, attraverso inquadrature imperfette, pose goffe e sorrisi forzati. “Scatti” che rievocano atmosfere dello stesso sapore della polvere che ricopre scrigni di vecchie foto trovate in soffitta. Sfogliandoli, possiamo incontrare un gruppo di bambini seduti davanti a un albero di Natale con loro maestra sullo sfondo, la madre dell’artista in piedi su una spiaggia assolata e sabbiosa, con i suoi due figli piccoli accanto e giocattoli sparsi ovunque, ma anche Maria stessa che, a 7-8 anni, vestita di rosa, soffia le candeline di una torta di compleanno mai realmente assaggiata, tra un trasloco e l’altro. Da piccola non ci ha fatto nemmeno caso, ma crescendo, come lei stessa racconta, “mi sono sentita scollegata: mi mancava qualcosa di importante. Così, appena ho iniziato a sperimentare i primi generatori di AI da testo a immagine, è scattata subito in me la molla. Ho creato il progetto usando prompt che descrivevano momenti familiari, come cene o compleanni, basati su storie aneddotiche su storie di famiglia e ricordi”.
“Imagined Images” ha colmato un vuoto, ricostruendo una versione del passato che sembra emotivamente reale, anche se le immagini non lo sono. Non lo sono, anche perché “pescano” in database di immagini che riflettono in modo persistente uno stile molto “americano” e da stock. “Molto spesso è stato difficile creare fotogrammi che non riflettessero le tradizioni occidentali. Per la laurea di mia madre all’università di Mosca negli anni ’80, per esempio, non sono riuscita a ottenere una sola immagine senza l’abito e il cappello di laurea, che non venivano mai indossati in quel periodo e in quel luogo”.
Aggiungendo ora e luogo nella richiesta, gli output sono migliorati, racconta Mavropoulou, ma ciò che l’ha davvero lasciata senza parole è stato veder spuntare nelle immagini “dettagli inaspettatamente accurati che non avevo mai fornito, come l’uniforme esatta che mia madre indossava al lavoro, la posa di alcuni soggetti, gli stili architettonici… si ritrova l’atmosfera esatta dell’epoca”. Distogliendo l’attenzione dai dettagli, l’artista stessa si è poi resa conto di come il progetto sia diventato “terapeutico”. Le ha infatti in un certo senso permesso di ricostruire una narrazione anche emotiva, invitandola a esplorare scenari “what if”, aggiungendo immagini inesistenti di quei momenti che avrebbe voluto vivere durante l’infanzia. “Da bambina non ho mai avuto una festa di compleanno; quindi, ho generato foto di festeggiamenti che non si sono mai verificati – racconta – mi sono in parte riconciliata con i momenti del mio passato, vivendo una forma di chiusura emotiva. È cambiato anche il legame con mia madre, ascoltando per la prima volta alcuni suoi ricordi”.
Sospesi tra verità e finzione, i fotogrammi di Mavropoulou, seppure autentici nel loro peso emotivo, restano il prodotto dell’interpretazione di una grande quantità di dati da parte dell’intelligenza artificiale. Lei stessa non lo vuole dimenticare e ha coniato apposta il termine “verità statistica”, perché “mentre le foto vere e proprie sono un mezzo per conservare i ricordi, queste sono l’esatto opposto, sono create dai ricordi. I ricordi però non sono solidi, possono cambiare nel tempo, diventano mutevoli, e credo che le immagini prodotte da essi conservino questa qualità”. Questo è ciò che trasforma “Imagined Images” da opera personale e intima a universale creazione che interroga ciascuno di noi sull’autenticità, sulla memoria e sull’identità. “Sfido il tradizionale concetto di verità, confondendo il confine tra realtà e finzione, mostro quanto il passato sia stato costruito attraverso l’editing, la curatela e, ora, l’intelligenza artificiale, evidenziando così il potere terapeutico delle immagini – spiega – reali o immaginarie, aiutano a colmare le lacune emotive, offrendo un modo per guarire, riflettere e reimmaginare storie personali che altrimenti potrebbero risultare incomplete”.
In chi ha perso la connessione visiva con il passato a causa della guerra o dello sfollamento, possono suscitare un senso di guarigione emotiva, aiutando a ripristinare un senso di appartenenza e di identità, e a tramandare una narrazione familiare. “Resta però il rischio di affidarsi a questi ricordi artificiali in modo ingenuo – sottolinea- potenzialmente distorcendo le storie personali e collettive”. Mavropoulou è la prima a percepire una forte necessità di consapevolezza, responsabilità e attenzione, “per non manipolare il nostro senso della storia”. Con la stessa consapevolezza ha portato avanti il progetto, anzi, il desiderio è proprio quello di affrontare questioni etiche sul ruolo dell’AI nel plasmare narrazioni personali e collettive. La “question” principale è “In un mondo in cui i conflitti, gli spostamenti e le ideologie in ascesa stanno ridisegnando la vita delle persone? Cosa significa essere in grado di riscrivere la storia della propria vita con immagini generate dall’AI indistinguibili dalla realtà?”.
Non esiste una risposta pronta e univoca: l’AI, come nuovo mezzo di comunicazione, ha un impatto sulla società che deve ancora essere pienamente esplorato. Dagli artisti, come sempre hanno fatto, dato che la parola stessa “immagine” deriva dal verbo latino imitari, che significa “copiare o imitare”, fornire solo una versione della verità, nel migliore dei casi, anche secondo Aristotele [il termine immagine deriva dal latino imāgō, imāginis, che ha il significato di “ritratto”, “figura”, “apparenza”. L’etimologia del termine è radicata nel verbo latino imitari, che significa “imitare”, suggerendo l’idea di qualcosa che riproduce o rappresenta la realtà – ndr]. E dalla società tutta, consapevole della necessità di mantenere un livello di coesione e agire collettivamente. Perché “ora che un nuovo mezzo di comunicazione è in ascesa, dobbiamo adattarci e ci vorrà un po’ di tempo. Più che del rischio di farsi ingannare dalle foto false, secondo un’artista che ne ha create a centinaia, dovremmo spaventarci di fronte alla tentazione di ignorare quelle vere, per scegliere a quali credere in base alle nostre presunzioni. Ma non sta già accadendo?
2. Viaggiare nello spazio-tempo
Il punto di domanda resta, anche partendo per il “Journey to Italy”, proposto da Roberto Beragnoli attraverso una serie di immagini create con l’AI, evocando sensazioni da scatti rubati e ricordi casuali. Sono anch’esse ricordi artificiali, ma ci accompagnano in un viaggio che si percepisce come familiare e allo stesso tempo surreale, suscitando sensazioni decisamente controverse.
Con la sua opera contemporaneamente onirica e simbolica, ma anche altamente realistica, questo artista torna sui concetti di percezione della realtà e della memoria, ma lo fa su un terreno comune come il viaggio, non più sulla storia familiare dell’artista. I confini tra reale e immaginario rimangono sfumati e, restandovi in bilico, come su un crinale alpino, si può guardare un panorama di doppia vastità. In primo piano c’è il concetto di formazione, storicamente e letterariamente collegato al tema di “Viaggio in Italia”, ma che nell’opera di Beragnoli torna nell’uso dell’AI generativa con cui lui stesso si è confrontato, e nel training di questa tecnologia che “si forma” in continuo, fagocitando immagini di passato.
Non si tratta di un esperimento estemporaneo o di un tentativo di provocazione: “Journey to Italy” è un’opera studiata e voluta, frutto di input raccolti da esperienze precedenti. Basta citarne una per capirne il genere, la prima, quella da cui tutto è nato. Gennaio 2022, a Ravenna si sparge la voce dell’inaspettato ritrovamento di una domus romana completamente ricoperta da mosaici rimasti integri. Fa scalpore, e quando si scopre che è una fake news, fa indignare alcuni, ma fa riflettere tutti sulle immagini create con l’AI generativa da cui tutto è nato. Perché la notizia era tremendamente credibile proprio per “colpa” o “merito” di quelle così prodotte da Beragnoli. È stato lui ad architettare tutto, infatti, in occasione di una sua mostra nella città dei mosaici. Un “test” che gli ha confermato “la potenza di questa tecnologia, capace di produrre immagini che sembrano familiari anche se non sono vere – spiega – da lì ho pensato di usarle per un progetto a cui già stavo pensando, per mostrare quell’Italia che avevo in mente di valorizzare”.
In “Journey to Italy”, ha volutamente scelto di non precisare cosa desiderava nelle immagini all’interno dei prompt, lasciando che, partendo solo da minime indicazioni, la macchina decidesse con la sua casualità. E così ha ottenuto foto molto realistiche: “epoca per epoca, sembrano proprio scattate davvero, sia come qualità di immagine che come stile che oggetti, texture e inquadrature. Ho cercato e ho trovato realismo” spiega. La sua opera diventa quindi anche una riflessione sull’evoluzione del mezzo fotografico: “man mano che cambiano gli anni, evolvono le immagini, ma anche le inquadrature e i soggetti, e l’AI lo fa avvenire fedelmente, sottolineando come negli anni sono cambiate fotografia e tecnologie, stili e supporti”.
Gli appassionati possono guardare anche in questa chiave il progetto di Beragnoli, anche se il suo principale obiettivo resta quello di “creare emozioni sincere e senso di sospensione, nel tempo e nello spazio. Far provare un forte senso di familiarità con le persone che compaiono nelle foto, come se siano persone conosciute”. Per ingannare?
No, per far riflettere sulle emozioni stesse e su come scattano dentro di noi, anche davanti a qualcosa che è stato creato attraverso l’elaborazione dei dati e lo sappiamo. “Siamo perfettamente a conoscenza del fatto che le ha create l’AI, come sappiamo che l’arte, in ogni sua manifestazione, è da sempre finzione, eppure da sempre suscita in noi sensazioni che possono sorprenderci e lasciarci increduli”. La tanto decantata “AI generativa disruptive”, prende quindi educatamente posizione a fianco alle altre espressioni artistiche, dal punto di vista di Beragnoli. Per lui, come artista, rappresenta una nuova possibilità creativa rivoluzionaria e da sperimentare. “Esistono tanti modelli e mi piace conoscerli, non mi infastidisce affatto che sia uno strumento accessibile a tutti. Di certo non trasformerà tutti in artisti, chi lo è, lo resta a prescindere, non ha paura che la democratizzazione possa distruggere o cambiare il mondo dell’arte.
A proposito di chi è artista davvero, dopo la fake news sul mosaico nel ravennate, ecco che Beragnoli torna a ingannarci piacevolmente – ma stavolta dichiaratamente – con “The Most Complete Anthology of the Greatest Non-Existent Artist of the Last 100 Years”. Un nuovo progetto in cui si è divertito a creare artisti che non esistono, con tanto di opere e biografia. È la risposta a una domanda che si è posto e che vuole porci: “se la creatività umana si potesse esprimere senza avere alcuna barriera di realizzabilità, come produrrebbe?” Alcuni esempi sono frammentati nelle pagine di Beragnoli, esempi e idee, a cui si possono aggiungere le risposte di ciascuno di noi, innescando una riflessione collettiva “sul concetto di creatività umana e su cosa l’arte dovrebbe dire e raccontare, dal passato ad oggi”. Una riflessione necessaria per l’umanità, in un’epoca in cui si tende a scaricare le responsabilità del processo creativo alle macchine. E l’artista?
3. Interrogarsi e interrogare
Due come Lorenzo Bacci e Flavio Moriniello, non sono certo disposti a lasciar decidere ad altri cosa creare, che siano persone o tecnologie, AI generativa compresa. Studiata e sperimentata da anni, come artisti e in altre vesti, in “Brave New World Word” l’hanno deliberatamente usata per immagini di riunioni conviviali e incontri offline, in un’epoca di pervasività virtuale. Gli scatti creati non hanno data, sono locandine “memorabilia” di una cultura rave che deve combattere per preservare la propria esistenza. E l’intento non è quello di darle una mano: “il nostro è un progetto metafotografico, non volevamo parlare del soggetto ma dello strumento, dell’AI generativa e di come democratizza l’arte in modo generalizzato perché è facile e accessibile” spiegano.
Desiderano soffermarsi soprattutto sul concetto di immagine: ha valore di documento? Quando?
Lo chiedono allo spettatore, alla società, a chi ne produce tante, in qualità di fotografo e giornalista, a chi ne guarda migliaia al giorno, ipnotizzato dal feed di Instagram. Di fronte a qualsiasi immagine, dovremmo tutti domandarci cosa stiamo vedendo: la realtà?
“Oggi è necessario che tutti capiscano che non si può essere sicuri di sapere cosa si ha di fronte. La nostra opera accende un campanello di allarme e insinua dubbi, invita le persone a porsi domande e a non abboccare – continuano – serve un forte spirito critico di fronte alle informazioni, una bussola interna, per non fidarsi ciecamente di tutto e ragionare con la propria testa”.
La scelta della Polaroid, in tal senso, “alza volontariamente l’asticella”, perché proprio questo supporto fotografico spinge impulsivamente a pensare a foto scattate realmente. “Sono le più insospettabili, hanno un valore anche simbolico, di autenticità dello scatto e dell’immagine, rappresentano per molti l’immagine istantanea, reale, genuina, evocano la fotografia vernacolare” precisano.
Tra arte, musica e fotografia, in Brave New World resta presente anche una riflessione sulla creatività. Cos’è?
Secondo Bacci e Moriniello non consiste nell’avere un’idea improvvisa, come un fulmine, ma in un processo di conoscenza e fatica. Lo mostrano attraverso un’analogia tra la musica elettronica rappresentata nelle polaroid e l’AI generativa usata per produrle. Entrambe si basano su un copiare e mixare continuo: secondo loro il processo creativo funziona proprio in questo modo, e da sempre. L’AI generativa non fa che accentuare una democratizzazione del processo di manipolazione delle immagini sempre in corso. Lo rende accessibile a chiunque e, anche se la vera arte resta nel come la si usa, la consapevolezza di cosa si sta guardando dovrebbe democratizzarsi con lo stesso ritmo.
GENERARE FUTURI
1. Mescolare tradizione e innovazione
Camminando sulla linea del tempo in direzione opposta, si perde quasi ogni traccia del rischio “fake”: impossibile fotografare il futuro, di può solo fingere di farlo, con la fantasia oppure, nel caso dell’AI generativa, rimescolando immagini del passato.
Pur varcando e superando la soglia del presente, quindi, la creazione volta le spalle al futuro, pur pretendendo di offrire scenari di ciò che ancora non è stato. Un’acrobazia che gli artisti possono compiere con audacia e tanti diversi intenti, più o meno candidi e provocativi.
Trovato il “mix perfetto di vite reali, storia e arte”, usando tre modelli unici di AI generativa (You, Tarikh e Honar), l’artista iraniano Farbod Mehr ha dato vita a una giovane donna. L’ha chiamata Nava, che in persiano significa “melodia“, “per simboleggiare la sua essenza armoniosa” spiega lui stesso. Su suo profilo Instagram si sta divertendo a farla viaggiare nel tempo, immaginandola in scenari futuristici dove tradizione e tecnologia si incontrano.
“È un modo divertente per coinvolgere le persone e spingerle a esplorare questioni più profonde sull’identità e l’eredità, in un’epoca di cambiamenti molto rapidi – spiega – Nava rende l’arte un ponte, e un punto di incontro tra tradizione e innovazione, permettendo al passato di condizionare il modo in cui immaginiamo il futuro”.
Come artista, Mojallal-mehr ha scelto di usare “i poteri” dell’AI generativa per collegare il patrimonio tradizionale della propria cultura con il presente, ma non solo. A piè pari salta sul trampolino e si lancia verso il futuro, portandoci tutti con lui, e chiedendoci di immaginare nuove possibilità per il suo Paese nei prossimi decenni. “Offro nuova vita a narrazioni culturali che rischiano di andare perdute, trasmettendo un senso di resilienza e continuità culturale. Voglio raggiungere sia coloro che sentono un forte legame con la cultura iraniana, sia coloro che potrebbero non conoscerla, invitando tutti a vedere nei dettagli un’umanità condivisa e reimmaginare il patrimonio culturale. Assieme a me e a Nava, si può osare sfidare le prospettive convenzionali sulla tradizione”.
Nell’opera di questo artista si vede in real time prender forma una visione collettiva di futuro più inclusiva, che valorizza la storia, ma non ha paura di rimodellarla. “È allo stesso tempo liberatorio e impegnativo, l’AI offre infinite possibilità e mi sta permettendo di collegare passato e futuro in modi che non avrei mai potuto fare senza. È davvero emozionante vedere questi due mondi scontrarsi e creare qualcosa di nuovo” ammette lui stesso, vibrando dell’emozione che lo anima anche internamente, la stessa che lo ha spinto a sperimentare questa tecnologia, pur consapevole di rischi e limiti che porta in sé.
Infatti, ha sviluppato alcuni “trucchi personali”, come per esempio il perfezionare i tre modelli con dati da tre fonti completamente diverse. “Per il primo, ho invitato gli utenti di Instagram a contribuire, aggiungendo un elemento di casualità e un input comunitario, per un altro ho attinto a fotografie storiche di donne iraniane e per il terzo a dei dipinti. Combinando queste prospettive, ho aggirato alcuni dei pregiudizi intrinseci dell’AI, producendo ritratti che sembravano autentici e culturalmente risonanti” racconta. Sembra soddisfatto dei propri esperimenti e prosegue, raccogliendo reazioni “incredibilmente gratificanti”, sia da appartenenti alla comunità iraniana (all’interno dell’Iran e nella diaspora), sia da persone non iraniane. I primi si vedono riflessi in modi che non avevano mai visto prima, gli altri sono curiosi di indagare come l’AI generativa possa giocare un ruolo nel plasmare le narrazioni culturali. Vuole continuare a raggiungere entrambi i target, perché tutti sono necessari se si vuole rivedere l’identità del proprio Paese nel mondo moderno.
Tra chi osserva le immagini che man mano nella bacheca Instagram di Mojallal-mehr formano un mosaico di futuri possibili, va fatta una distinzione di origine culturale ma anche di generazione. “Il suo lavoro fa riferimento al trauma intergenerazionale (ad esempio, Qajar Portraits Revisited: The Rise of Iranian Women) e ad alcuni tabù che al variare dell’età possono essere affrontati diversamente” spiega Raika Khorshidian. Come iraniana, Khorshidian racconta che le generazioni iraniane Z e Alpha “sono molto più aperte, non credono alla propaganda del regime e alla distanza di potere nelle famiglie tradizionali, perché sono cresciute con Internet e i social media, anche se in Iran sono per lo più filtrati”. Restando in questa fascia di età, le reazioni alle opere di Farbod poco variano quindi tra iraniani in Iran o nella diaspora, “permane la forza della sua libertà di parola, di espressione, di scelta dello stile di vita, che non esiste e non esisterà sotto l’attuale regime islamico”.
Tutto cambia di fronte alle reazioni di chi ha più anni di ricordi negli occhi e nel cuore. Quando l’artista reimmagina la Rivoluzione del 1979 iraniana come un festival musicale, secondo Khorshidian, negli iraniani nati tra gli anni ‘50 e il ‘60 “suscita quasi nostalgia o rimpianto, perché la loro qualità di vita era significativamente migliorata e hanno avuto la libertà di scegliere il loro futuro e quello della generazione successiva in uno Stato pacifico. Questa opera li interroga su cosa sarebbe successo se avessero incanalato la loro energia nell’espressione di sé, nella musica e nella danza, invece di essere armati e di cercare ciecamente la soluzione alla loro società nel fanatismo religioso e nel comunismo”.
Grazie a Khorshidian, si può cogliere il potenziale dell’arte di Mojallal-mehr sul pubblico iraniano e osservare coi suoi occhi quello su chi non lo è. Artisti di AI generativa come lui hanno iniziato a cambiare l’immagine globale dell’identità iraniana, individuando saggiamente la necessità di un nuovo e stimolante genere di futurismo persiano che richiede un’immaginazione al di là dei nostri paradigmi esistenti”, spiega. E da iraniana ed esperta spera che questa generazione capisca davvero il potere dell’immagine e dell’immaginazione per sfidare la realtà e muoversi verso un futuro migliore.
2. Pensare al Pianeta
Nel futuro migliore immaginato e ri-creato con l’AI generativa da Ilaria Merola, al centro ci sono il rispetto per l’ambiente e i diritti delle donne, entrambi temi fondamentali per chi, come lei, da sempre frequenta “un ambiente molto maschile e maschilista”. Ancora ci bazzica svolgendo il lavoro di UX designer ma, grazie a questa tecnologia, come artista ha forgiato il concetto di “neural metamorphosis”. “Neural”, per via delle reti neurali, “metamorfosi” per rappresentare un’estetica femminile fortemente legata alla natura. “Il messaggio è che saranno le donne coloro che sapranno guidare e già guidano la trasformazione del mondo verso principi più naturali – racconta – basta farci caso, ed è ciò che già oggi prova ad accadere in molte parti del mondo”.
Ha scelto uno stile futuristico e pop, a tratti fashion, quello che ama anche nella vita di tutti i giorni, e ha fatto leva sulla massima libertà di creazione che l’AI generativa concede, per lasciare che la natura e il genere umano si mescolassero. Lo si vede benissimo in un trailer creato attorno al concetto di “butterfly” in cui una tribù di donne farfalla aiutano il Pianeta a ritrovare il proprio equilibrio dopo che il genere umano si è auto-condannato all’estinzione.
“Anche in questo caso conservo il messaggio ambientale per me fondamentale e che voglio rivolgere a tutti, appositamente. Ho scelto infatti di non guardare a un unico target specifico, ostentando invece con forza la bellezza della natura per sottolineare e ricordare come la stiamo perdendo ogni giorno – chiarisce – desidero sia evidente a tutti, non solo a chi già ne è consapevole” spiega.
L’AI generativa ha moltiplicato le opportunità di farlo in modo prima inimmaginabile. Da sempre con lo sguardo rivolto verso il futuro, attraverso anche libri e film di fantascienza, Merola ha subito visto in questa tecnologia lo strumento per creare ciò a cui non aveva mai potuto dare forma per motivi sia di costo che di tempo e competenze. “Ho iniziato con un breve video di fantascienza per esprimere la mia visione di futuro, unendo crisi climatica e diritti di genere. Ho subito percepito la sensazione di essere libera di esprimere il mio messaggio e i miei valori usando un linguaggio, delle immagini e delle emozioni che avevo in mente da sempre ma a cui mai potevo prima accedere” racconta. Nelle sue parole si respira la gioia di chi ha conquistato la libertà di espressione e di immaginazione, la possibilità di condividere ciò che era ingabbiato nella mente, pulsante e forte. Un messaggio al mondo e alla società che Merola artista vuole inviare sempre più efficacemente. Ora lo sta facendo soprattutto con video generati con l’AI, “perché hanno una potenza narrativa a mio avviso unica” spiega, mostrando due recenti creazioni: il teaser di “Genesis Reborn” (Teaser 2023): e “Plastic Gods” (Short Film 2024). Sperimenta e sogna di integrare anche il video mapping e tecnologie legate al sonoro, la affascinano e la incuriosiscono, le potrebbero offrire ancora nuovi poteri di espressione di futuri possibili.
3. Role model di ogni genere
Se nei dataset di immagini in cui “pescano” i modelli usati da Merola ci sono “un po’ tante donne”, è per via di quelle prodotte da Helen Pink. Con il suo MissJourney, ne ha immesse in rete parecchie, ma non a caso: con la complicità dell’AI generativa ha creato quelle di donne che fanno mestiere considerati “non propriamente da donne”, per le meno a guardare le immagini stock e le mentalità comuni. Astronaute e ingegnere, avvocate e manager, startupper e chirurghi, e così via.
Nato da TedXAmsterdam Women, questo progetto risale a prima del boom legato al lancio di ChatGPT. “Ho voluto mettere subito in evidenza la presenza di bias in internet, bias già esistenti e che l’AI non fa che restituire – spiega Pink – è un progetto pilota che parte dall’osservare come, chiedendo professioni ‘intelligenti’ o ricche, si ottenessero sempre e solo immagini di uomini bianchi. Così abbiamo creato uno strumento che realizzasse solamente di donne, con tutti i diversi lavori che possono fare le donne tanto quanto gli uomini. E non sono donne bellissime, sempre perfette, bianche e magre, ma di ogni forma e origine, età e tipologia”.
L’intento di un progetto così mirato è chiaro da subito: “mostrare che tutto dipende da come è stato sviluppato l’algoritmo, perché non deve permettere il perpetuarsi dei bias. Bisogna sempre approfondire come l’AI è stata sviluppata e quale è il suo limite, per poterla usare poi al meglio” spiega Pink.
Se lo si cerca on line, ora MissJourney non “gira” più, non crea più donne, non immagina più, ma noi possiamo continuare a farlo. Ne ha generate per mesi, è stata una provocazione e ha avuto tempo di innescare reazioni e riflessioni ancora oggi necessarie e vive. “Troppe poche persone si pongono domande e fanno attenzione ai bias dell’AI e il problema andava sottolineato. Sono stereotipi che spesso abbiamo incamerato in modo inconsapevole e nemmeno ci rendiamo conto di averli – racconta Pink – è ‘normale’ oggi non stupirsi minimamente di fronte a un panel di tutti uomini, ma se lo si trova di tutte donne, lo si nota subito”. Già, accade così, per ora, ma non siamo obbligati ad accettarlo in silenzio e l’opera di Pink, invita tutti a non farlo. Donne e uomini.
“Ci sono padri che mi hanno scritto ringraziandomi, per aver offerto loro uno strumento per mostrare alle proprie figlie immagini di donne che svolgono vari lavori, anche quelli che loro sognavano di fare e rischiavano di sentirsi strane a desiderare” racconta Pink, sorridendo soddisfatta nel vedere il “suo” Miss Journey divenire una fabbrica di role model femminili che nella società mancano a livello di frequenza di immagini. Una fabbrica importante non solo per le donne del presente e del futuro, ma per l’intera società. Poter spaziare in immagini diverse, davvero diverse, è un invito e un’opportunità per tutti a “umanizzare la società e mettere al centro il valore delle persone in quanto persone, per la loro autenticità e per ciò che valgono davvero, non basandosi sulla categoria a cui appartengono. Secondo Pink ce n’è un profondo bisogno, in una società come la nostra “molto polarizzata, anche dal punto di vista politico, anche in Europa. Le donne sono lasciate indietro, le politiche di uguaglianza sono assenti, si perde continuamente equità e diversità nelle nostre società e implementare delle strategie inclusive è difficile. Segregati in tanti silos, abbiamo totalmente perso la capacità di guardare la realtà in cui viviamo e renderci conto di come è fatta. Se la abbracciassimo, facendo caso alle persone che abbiamo attorno, ci renderemmo conto che siamo immersi nella diversità”. Serve a questo punto saltare la staccionata e Pink lo fa con noi, per entrare nel merito di chi sviluppa le tecnologie che creano o alimentano bias. Team che, come la maggior parte degli archivi di immagini stock, quasi sempre sono composti da uomini, bianchi, ricchi, giovani. “È a partire da qui, invece, che è fondamentale ci sia diversity di genere e di etnia, perché se la diversità manca nel gruppo di persone che sviluppano le tecnologie, per forza troviamo poi dei bias al loro interno – racconta Pink – confrontandomi spesso con chi sviluppa tecnologia, mi sono resa conto che manca totalmente consapevolezza dell’impatto che le loro scelte hanno sulla società. Non sentono o non si prendono questa responsabilità, si interessano solo al fatto che quanto hanno sviluppato funzioni e faccia il successo dell’azienda. Questo ritengo sia la vera origine dei molti problemi che poi noi vediamo riflessi nella società”. Diversity nei team tech, quindi, e intanto consapevolezza in tutti, di come funzionano gli strumenti AI che usiamo con cui inevitabilmente conviviamo e continueremo a convivere, e di come possiamo e dobbiamo usarli. “Non bisogna andare in panico ma cercare di comprendere il positivo che possono creare”.
COSA STIAMO GENERANDO?
Con la sua indole dichiaratamente sbilanciata verso l’attivismo e la sensibilizzazione, più che sugli aspetti artistici, MissJourney propone e impone una sorta di stretching al nostro pensiero. Ciò che serve prima di dedicarci a quelli di chi ha incontrato questi artisti assieme a me, ma con un diverso bagaglio di esperienza e conoscenza negli occhi e nel petto.
Francesco D’Isa
Filosofo e lui stesso artista AI, Francesco D’Isa, inizia con un “se” importante. “Se non castrate dalle multinazionali, le intelligenze artificiali generative possono offrire molto opportunità e potenzialità anche a chi ha meno competenze” spiega, certo che la democratizzazione che comporta “non farà calare la qualità della vera arte e non impatterà sull’impegno creativo e sul valore degli artisti. Anzi, sono spesso loro i primi ad accedere alla possibilità di creare in un modo ancora diverso, aprendosi a nuova possibilità di esprimere concetti che hanno dentro”.
Spenta così ogni eventuale fiamma di polemica di settore, D’Isa viaggia con me avanti e indietro nel tempo, e nelle opere. Partiamo dal passato, dove l’AI generativa “può aiutare a investigare gli stereotipi che ci appartengono o appartengono a una certa società, facendoli emergere. Ma può anche accadere li reiteri senza che ce ne si accorga: pochi oggi lo fanno e il problema è questo, non la AI in sé”. Secondo il D’Isa-artista e anche il D’Isa-filosofo/docente, “il ruolo degli artisti veri è quello di accorgersi e andare oltre, sperimentare usi diversi e pensati, senza accontentarsi dei primi output che si ottengono. Solo mostrando i bias esistenti e che non si notano facilmente, possono distruggerli, aiutandoci a cambiare la visione personale e collettiva del passato”. Con lui si immagina un artista “potente”, ma che si trova comunque a operare all’interno di una doppia gabbia, quella della cultura in cui è immerso, e quella dei database con cui è stato allenato lo strumento che usa per creare. Come evidente nell’esperienza di Mavropoulou, sono composti da immagini americane, oppure cinesi, e un artista di altre aree si trova costretto a creare partendo da immagini già culturalmente “pre-condizionate”. Tra colleghi, non si condividono condizioni di partenza omogenee. Questo gap permane anche quando si girano i tacchi di 180 gradi, usando l’AI per generare immagini di ciò che non è ancora avvenuto. “Così rivolta, diventa un cannocchiale del tutto unico, che pesca e ricombina immagini del passato per mostrare futuro. C’è quindi un forte rischio che riproponga vecchi bias e anche ‘vecchia’ creatività – spiega D’Isa – il vero artista resta sempre colui che ha il compito di rompere gli schemi e creare visioni diverse, inedite. Per farlo deve inevitabilmente avere piena consapevolezza di come funziona AI generativa e la capacità di riconoscere bias e schemi del passato. Pochi oggi ne hanno davvero”. Il rischio di trovarsi a guardare, o addirittura produrre un “nuovo” che sa di passato rimasticato è alto, ma non si può fare a meno, o forse vale perfino la pena di correrlo.
Eugenio Marongiu
Non si pone più questa domanda, Eugenio Marongiu, perché ormai da anni usa questa tecnologia per cercare nuove soluzioni e nuovi modi di esprimersi. Basta sfogliare il suo profilo Instagram katsukokoisu.ai per accorgersene e notare in che chiave ha scelto di cogliere le opportunità delle immagini così ottenute. “Le utilizzo per creare un futuro in cui inserire nuovi concetti e valori, immaginare e far visualizzare diversi scenari di disastro climatico, oppure economico o sociale, e di diritti negati e ignorati” racconta lui stesso. Lo fa con il suo sorriso pieno, gli occhi luminosi e i baffi folti e fieri, perché l’intento è costruttivo: vuole “mostrare come sta diventando il mondo e risvegliare indignazione”.
Per me l’arte è denuncia da sempre, l’AI mi ha solo offerto una nuova opportunità tecnica”.
La sua verve nel criticare la rappresentazione estetica e gli ideali di bellezza risale a prima ed è ciò che lo spinge sempre ad andare oltre ai primi risultati e ai cliché, per proporre “un nuovo ideale di bellezza per il futuro, dove i difetti e la vecchiaia non sono veri difetti ma, assieme a imperfezione e diversità, sono valori” racconta. Un esempio su tutti, le sue due “anziane gemelle tatuate” che da aprile 2023 a oggi hanno raccolto oltre un milione di like e quasi 12 mila commenti. Alcuni anche molto negativi, “ma non sull’uso dell’AI generativa, bensì sull’immagine in sé. Molti si sono indignati perché ho voluto rappresentare la vecchiaia in modo diverso, non attraverso i loro tranquillizzanti cliché”.
Giorgia Aiello
Guardandosi attorno, lasciando che lo sguardo si soffermi pensoso sulle immagini di ciascuno artista ed entrando nei meccanismi di MissJourney con la precisione di un orologiaio di altri tempi, Giorgia Aiello percepisce in modo trasversale “il desiderio di appropriarsi di nuovi mezzi per farne un uso creativo e immaginifico, senza alcun fine giornalistico, ma anzi evocativo – immaginifico”.
Rievoca l’opera di Mavropoulou e quella di Farbod Mojallal-mehr, simili ma non del tutto. “Nel secondo c’è un lavoro sulla tradizione, anche attraverso strati di mediazione dell’AI usata per recuperarla – fa notare – ma entrambi fanno riflettere sul ruolo dell’immaginazione nella nostra cultura e al suo significato in sé”.
Cita Lev Manovich, ricorda il processo stocastico su cui l’intelligenza artificiale si basa “per generare e trasformare l’entropia in informazione basata sulla predizione. Non immagina nulla di nuovo, ricombina rifacendosi ai mediaset con cui la si allena, crea, ma con restrizioni di cui bisogna tenere conto. I bias esistono già nei mediaset”.
Gli artisti, anche secondo Aiello, hanno il ruolo di andare oltre le capacità ingegneristiche e trovare modi per usare la Generative IA per superare anche questi limiti, ma non solo. “Possono anche aiutare l’Industry AI a svilupparsi nella corretta direzione migliorando gli strumenti che sviluppa”.
E mentre spinge i confini delle ambizioni artistiche sempre più in là, Aiello ricorda come questo passo avanti positivo non deve amplificare la confusione già esistente tra bias ingegneristici e bias umani e culturali. I primi si combattono facendo sviluppare strumenti di gen-AI migliori, gli altri spopolano da sempre nella nostra società e l, per eliminarli, serve ben altro che un tool AI, anche se ben progettato, come piacerebbe a Pink, la creatrice di MissJourney.
Secondo Aiello, proprio questo progetto è un esempio di come gli artisti possano denunciare e mettere in luce il problema ingegneristico “di genere”, ma non deve spingere a farci credere di poter così agire anche sui bias culturali che lo sottendono. Quelli erano, sono e restano radicati nella società che deve evolvere dal punto di vista umano per liberarsene.
“Non bisogna cadere prigionieri di un ‘loop AI’, gli artisti non possono combattere bias culturali creando immagini con un mezzo che ha bias ingegneristici, perché saranno nuove ma nate in un contesto già vincolato e che andranno a loro volta a nutrire” spiega, definendo quello della GenAI “un processo estrattivo, e non solo per un tema di copyright artistico ma anche di lavoratori sfruttati, impatti ambientali e costi energetici”.
Tre capitoli che, più che capitoli, sono nuovi volumi da creare, mantenendo sguardo umano e umano desiderio di scavare a fondo. Presto ma pazientemente e tenacemente.
CONOSCIAMO MEGLIO GLI ESPERTI
Francesco D’Isa
Di formazione filosofo e artista digitale, ha esposto internazionalmente in gallerie e centri d’arte contemporanea. Tra le sue opere più note figurano il romanzo “La Stanza di Therese” (Tunué, 2017) e il saggio filosofico “L’assurda evidenza” (Edizioni Tlon, 2022). Nel 2023 ha pubblicato il graphic novel “Sunyata” con Eris Edizioni, il primo fumetto pubblicato in Italia creato con l’intelligenza artificiale, e nel 2024 il saggio “La rivoluzione algoritmica delle immagini” per Sossella Editore (2024). Direttore editoriale della rivista culturale L’Indiscreto, scrive e disegna per varie riviste, italiane ed estere. Insegna Filosofia e Arte digitale presso università private italiane e internazionali. Profilo Instagram
Eugenio Marongiu
Noto come Katsukoko.ai, è un artista riconosciuto per il suo approccio innovativo alle immagini e ai video generati dall’intelligenza artificiale. In qualità di alpha tester di Sora di OpenAI e di partner creativo di piattaforme come Runway e Luma, Eugenio fonde la visione artistica con la tecnologia avanzata per creare narrazioni che fanno riflettere. Con un passato da fotografo professionista e oltre 340.000 follower su Instagram, esplora temi che spaziano dalle emozioni umane all’estetica futuristica, posizionandosi come voce di spicco nella rivoluzione dell’arte AI. Profilo Instagram
Giorgia Aiello
Professoressa ordinaria in sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università degli Studi di Milano e visiting professor presso l’Università di Leeds nel Regno Unito. Ha conseguito il dottorato presso la University of Washington di Seattle, e ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna per vent’anni prima di rientrare in Italia nel 2021. È stata invitata a tenere conferenze in 14 paesi e a ricoprire il ruolo di visiting scholar presso la New School for Social Engagement di New York, l’Università di Anversa e l’Università di Paris-Nanterre. Si occupa dei problemi e delle potenzialità della comunicazione visiva nei media digitali e nella vita quotidiana, in particolare per quanto riguarda il rapporto tra il capitalismo globale, le identità e le differenze sociali e culturali. Le sue pubblicazioni includono numerosi articoli e saggi sulla fotografia, la visualizzazione dei dati, le immagini dei media, l’immaginario politico, il branding visuale, e gli spazi urbani. È autrice di Communication, Espace, Image (2022, Les Presses du Réel) e coautrice di Visual Communication: Understanding Images in Media Culture (con Katy Parry; 2020, SAGE). Profilo LinkedIn
Raika Khorshidian
Georg Forster Postdoctoral Fellow presso l’Università di Bonn; è una studiosa d’arte, docente e curatrice indipendente. Nel 2023 ha co-organizzato con la prof.ssa Birgit Mersmann il workshop internazionale “Traumi collettivi e fantasie future: The Power of (Visual) Art for Social and Political Transition in Iran”. I temi principali del workshop e del libro editoriale ad accesso libero di prossima pubblicazione (2026) sono stati l’attivismo artistico e la disobbedienza basata sull’arte nel movimento Donne, Vita, Libertà; il ruolo dei social media come mezzo per l’attivismo artistico-politico; gli studi storico-artistici sul cambiamento sociale e la transizione politica, in particolare in relazione alle fantasie future. Profilo LinkedIn
NOTA DELL’AUTRICE
Questo reportage è frutto di un lavoro di squadra che mi ha regalato molto più di un link con il mio nome.
- l’attuale e continua alleanza con Neelabh Kumar, studente della Central Saint Martins (University of the Art London), incontrato grazie a Cecilia Mezzi, lecturer al MA Applied Imagination della stessa struttura, abile e originale ricercatrice, con un focus su storytelling e data, e a Emanuele Del Rosso, coordinatore delle comunicazioni di Display Europe e vicedirettore dell’European Cartoon Award.
- La contaminazione intensa e senza fine con Raika Khorshidian che mi aiuta a guardare e narrare di un Iran “unbias” da quando l’ho incontrata grazie a International Journalists’ Programmes e Alexander von Humboldt Foundation.
Era settembre 2024, era un workshop su AI e migrazioni climatiche, e nessun modello di AI generativa avrebbe mai pensato di creare tutto questo.