A supporto del lavoro degli studiosi di scienze planetarie, lo sviluppo di un software per la messa a punto di modelli AI in grado di mappare automaticamente la morfologia dei pianeti.

Trattare di tecniche di intelligenza artificiale impiegate per mappare i pianeti rimanda all’elaborazione dell’enorme mole di dati video che, a partire dall’ultimo secolo, sono stati acquisiti da diverse tipologie di satelliti orbitali e di navicelle spaziali deputati all’esplorazione dei pianeti terrestri.

Ricordiamo che, nell’ambito delle scienze planetarie, le immagini sono sempre state la risorsa primaria, in particolare per i geologi e gli studiosi di geomorfologia.

Solo per citare alcuni esempi, i dati video raccolti dalla fotocamera High Resolution Imaging Science Experiment (HiRISE), a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter, sono stati utilizzati in numerosi studi sulle proprietà morfologiche delle superfici di Marte e della Luna, compreso il conteggio dei crateri, dei massi e dei pozzi.

Lavori più recenti hanno visto un salto di qualità relativo alle immagini planetarie raccolte, grazie a una definizione più elevata e a una sempre maggiore nitidezza, col vantaggio di poter analizzare la superficie dei pianeti con dettagli senza precedenti. E, parallelamente, sono andati aumentando anche i requisiti di potenza computazionale per elaborare dati così grandi, soprattutto quando si esegue la mappatura delle caratteristiche su larga scala.

«Tuttavia, produrre la mappa della superficie di un pianeta richiede lo svolgimento di compiti multipli e complessi, tra cui l’identificazione, la classificazione e la descrizione delle forme del terreno utilizzando più tipi di dati e di fonti, compresi modelli digitali del suolo, immagini in vari spettri e mappe precedenti» mettono in guardia gli autori del recente studio “DeepLandforms: A Deep Learning Computer Vision Toolset Applied to a Prime Use Case for Mapping Planetary Skylights“, che vede protagonisti la Jacobs University di Brema, l’Osservatorio Astronomico di Padova, il Dipartimento di Geoscienze dell’Università degli Studi di Padova e il Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna.

Alla complessità del compito, si aggiunge, inoltre, il fattore tempo, in quanto le fasi di raccolta dei dati video possono richiedere più intervalli e – in molti casi – un lavoro di pre-elaborazione prima della loro corretta analisi.

Intelligenza artificiale per mappare i pianeti: quali strumenti per supportare il flusso di lavoro?

In questo quadro – spiega il team di studio – le metodologie che si avvalgono di tecniche di computer vision e di algoritmi di deep learning svolgono da tempo un ruolo cruciale, puntando, in particolare, alla classificazione dell’intero contenuto delle immagini a disposizione, alla successiva classificazione di ogni loro pixel e alla conseguente creazione di segmenti di pixel adiacenti, all’individuazione degli oggetti e alla segmentazione dei soli oggetti identificati dal rilevamento. Un lavoro non da poco.

Al punto che – osservano i ricercatori – «geologi e studiosi di geomorfologia che non hanno familiarità con tali metodologie ma sono interessati solo ai flussi di lavoro, possono avere difficoltà a comprendere e a utilizzare complessi approcci di intelligenza artificiale che richiedono una maggiore conoscenza dell’informatica, soprattutto se sono disponibili strumenti completi e pronti all’uso».

Che cosa intendono gli autori – riferendosi alle tecniche di intelligenza artificiale impiegate per mappare i pianeti – con l’espressione “strumenti completi e pronti all’uso”?

Nello studio, in particolare, viene descritto DeepLandforms, un software sviluppato dal team con l’obiettivo di creare un set di strumenti atto a supportare un flusso di lavoro che, a partire da dati video georeferenziati, conduce alla preparazione di tali dati e all’addestramento del modello di visione artificiale per la mappatura automatica delle forme del terreno dei pianeti.

Nello specifico, il set presenta strumenti in grado di ridimensionare, ritagliare e convertire i file di immagini del suolo dei pianeti; di creare etichette di segmentazione, di suddividere automaticamente il set di dati di origine in set di dati secondari, nonché di monitorare l’intero processo.

Mappatura automatica della morfologia dei pianeti

In tema di tecniche di intelligenza artificiale utilizzate per mappare i pianeti, qual è, nel concreto, la funzione del software descritto?

«In fase di test, utilizzando il set di strumenti messo a punto, è stato possibile effettuare tutti i passaggi necessari per addestrare e utilizzare i modelli di deep learning senza la necessità di fare affidamento su strumenti separati» precisa il gruppo di lavoro.

I risultati ottenuti utilizzando la versione preliminare del software nella mappatura delle caratteristiche della superficie di Marte, «suggeriscono come tale strumento possa condurre a molteplici e diverse applicazioni future».

Più nel dettaglio, la mappatura planetaria eseguita durante il test ha consentito al team di preparare il set di dati di base ridimensionando le immagini di origine. Quindi, per mezzo del software, sono state etichettate tutte le immagini per la successiva segmentazione e sono state realizzate sia le sessioni di addestramento con diverse combinazioni di parametri, sia l’analisi delle immagini più recenti utilizzando il modello addestrato.

«Con una quantità esponenziale di set di dati planetari oggi disponibili, si rendono necessari metodi più rapidi, potenti e accessibili a tutti coloro che sono coinvolti nelle analisi dei dati ma che non sono tecnici AI, in modo che un numero sempre maggiore di studiosi della materia possa essere in grado di compiere un flusso continuo di analisi» commentano gli autori.

Tabella che illustra le principali tipologie di pozzi identificabili su Marte, utilizzati anche come classi per etichettare i set di dati impiegati per l’addestramento dei modelli AI (Fonte: “DeepLandforms: A Deep Learning Computer Vision Toolset Applied to a Prime Use Case for Mapping Planetary Skylights“ - Università di Brema, Istituto Nazionale di Astrofisica di Padova, Dipartimento of Geoscience dell’Università degli studi di Padova e Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna).
Principali tipologie di pozzi identificabili su Marte, utilizzati anche come classi per etichettare i set di dati impiegati per l’addestramento dei modelli AI (Fonte: “DeepLandforms: A Deep Learning Computer Vision Toolset Applied to a Prime Use Case for Mapping Planetary Skylights“).

Intelligenza artificiale per mappare i pianeti: la direzione della ricerca futura

Il set di strumenti illustrato dal team di studio potrebbe fungere da precursore nel guidare verso un approccio più semplice, adatto sia agli utenti alle prime armi che agli utenti con un livello di conoscenza avanzato in tema di tecniche di intelligenza artificiale impiegate per mappare i pianeti. Ma non solo.

«Sebbene questo strumento sia alla sua prima versione e sia ancora in fase di sviluppo, potrebbe aiutare, in futuro, a migliorare ulteriormente il processo di mappatura dei pianeti, ad esempio supportando un’analisi più approfondita delle caratteristiche dei pozzi rilevati nei dati video acquisiti» affermano gli autori.

«I meccanismi di formazione dei pozzi sono comunemente legati a processi vulcanici e tettonici, ma sono ancora dibattuti, inoltre non è ancora chiaro se tali meccanismi siano gli stessi su tutti i corpi planetari» proseguono.

Inoltre, alcuni pozzi potrebbero avere accesso a grotte osservate su analoghe aree terrestri e già ipotizzate su Marte e sulla Luna. «La presenza, su altri pianeti, di caverne e di grotte accessibili ha un’enorme importanza per l’esplorazione dello spazio, poiché quei luoghi possono contenere tracce di vita, sia passate che potenzialmente presenti» ipotizzano i ricercatori.

Ebbene, per giungere a queste analisi, in futuro, sarà necessaria una mappatura ancora più accurata, puntuale e su scala globale delle superfici planetarie, al fine di comprendere meglio la distribuzione spaziale di tali morfologie e correlare la loro presenza con altre caratteristiche geologiche e non geologiche.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin