Dall’Università di Cambridge, un metodo che impiega tecniche di deep learning per prevedere, sulla base di dati clinici raccolti per mezzo di wearable device, l’indice VO2max della popolazione, variabile correlata allo stato di salute dell’apparato cuore-polmoni.

TAKEAWAY

  • Uno studio inglese sui modelli di previsione dell’idoneità cardiorespiratoria (espressa nell’indice VO2max) che utilizzano l’intelligenza artificiale applicata ai dispositivi indossabili, si propone la misurazione del benessere cuore-polmoni su larga scala in contesti non clinici.
  • Addestrato per mezzo della vastissima mole di dati raccolti nell’ambito dello studio longitudinale Fenland, la valutazione del modello AI sviluppato ha visto le sue stime di VO2max in linea con quelle rilevate dall’ECG indossabile durante un test da sforzo, dimostrandosi anche in grado di monitorare i cambiamenti dei parametri nel tempo.
  • Tra gli obiettivi della ricerca futura, anche un focus sulle rappresentazioni – da parte del sistema di intelligenza artificiale – di tutti quei dati collegati a patologie cuore-polmoni che sono emersi durante i lavori, ma che sono rimasti a margine, a favore del calcolo del volume massimo di ossigeno consumato per minuto.

Parlare di tecniche di intelligenza artificiale per applicazioni che vedono al centro i wearable device (o dispositivi indossabili) ci porta sul terreno dell’analisi predittiva riferita all’ambito medicale e, più nello specifico, all’idoneità cardiorespiratoria, definita come capacità dell’apparato cuore-polmoni di assumere ossigeno e di utilizzarlo in modo corretto.

L’idoneità cardiorespiratoria viene misurata in VO2max, che sta a indicare il “volume massimo di ossigeno” consumato per minuto durante un esercizio aerobico intenso. Il suo indice dà un’indicazione circa il quadro generale della nostra forma fisica, nonché la presenza del rischio di patologie cardiovascolari.

Nonostante, però, il suo valore prognostico, la misurazione diretta di tale indice non è usuale nei contesti clinici (lo è in ambito agonistico, tra gli atleti professionisti), in quanto necessita di specifiche attrezzature da test da sforzo e di personale altamente specializzato, i cui costi incidono sulla spesa sanitaria.

«Anche la ricerca scientifica sull’idoneità cardiorespiratoria a livello di popolazione, con la messa in evidenza delle differenze a seconda di stile di vita, genere ed etnia, è carente a causa dei limiti imposti dagli aspetti economici connessi alla misurazione diretta del VO2max»

si legge in “Longitudinal cardio-respiratory fitness prediction through wearables in free-living environments”, articolo pubblicato su Nature il 2 dicembre 2022, in cui viene illustrato uno studio – a cura del Department of Computer Science and Technology, dell’Epidemiology Unit e della School of Clinical Medicine dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito – sui modelli di previsione alternativi dell’idoneità cardiorespiratoria che utilizzano tecniche di deep learning. Vediamo di che cosa si tratta.

I dati utilizzati per addestrare l’algoritmo di intelligenza artificiale

Tra i modelli di previsione alternativi dell’idoneità cardiorespiratoria passati in rassegna dal team di studio dell’Univerisity of Cambridge, quelli che non impiegano test da sforzo conducono all’ottenimento di valori di VO2max dalla validità considerata «notevolmente inferiore» specificano gli autori.

Mentre i dispositivi indossabili come i tracker di attività (o acitivity tracker), così come gli smartwatch – tutti, anch’essi, caratterizzati dall’assenza di test da sforzo – arrivano a registrare sia la frequenza cardiaca a riposo che quella in attività (oltre ad altri biosegnali), consentendo, sì, una stima più precisa dell’indice di VO2max, ma i loro metodi «tendono a non essere trasparenti, poiché mancano di convalida scientifica».

Inoltre, «sebbene alcuni dispositivi indossabili siano più sistematici nella metodologia, questi tendono comunque a fare affidamento su misurazioni dettagliate dell’intensità dell’attività fisica, sul monitoraggio della velocità basato su GPS e richiedono agli utenti di raggiungere valori di frequenza cardiaca quasi massimi, il che ne limita l’uso a coloro che non possiedono uno stato di forma fisica ottimale», osservano i ricercatori.

Vi sono, poi, studi che tentano di stimare l’idoneità cardiorespiratoria mediante dati raccolti durante condizioni di vita “libera”, quotidiana, ma questi si riferiscono in genere a campioni su piccola scala e fanno affidamento su dati ricavati dalla semplice attività del tapis roulant.

In questo lavoro in tema di intelligenza artificiale e wearable device – volto a sviluppare un modello AI per prevedere l’indice di VO2max – il team ha, invece, scelto di avvalersi dei dati contenuti in quello che è ritenuto il più ampio e approfondito studio longitudinale in materia, ossia lo studio Fenland, atto a indagare gli effetti indipendenti e interagenti delle influenze ambientali, dello stile di vita e genetiche sullo sviluppo di obesità, diabete di tipo 2 e dei relativi disturbi metabolici nella popolazione del Regno Unito.

Tale studio si compone di due fasi distinte: durante la prima – svoltati tra il 2005 e il 2015 – sono stati raccolti i dati di base da 12.435 partecipanti; la seconda fase (tuttora in corso) è stata avviata nel 2014 e prevede la ripetizione delle misurazioni raccolte durante la prima, insieme alla raccolta di nuove misure.

In particolare, col fine di misurare anche la loro idoneità cardiorespiratoria (dunque, il loro indice di VO2max), ai partecipanti è stato chiesto di indossare, per sei giorni consecutivi, un sensore toracico per registrare frequenza cardiaca e movimento (ECG indossabile Actiheart).

Intelligenza artificiale e wearable device: la rete neurale messa a punto

In tema di intelligenza artificiale e wearable device, definiti i dati da utilizzare per il suo addestramento, i ricercatori hanno lavorato allo sviluppo di una rete neurale artificiale profonda che apprendesse, grazie alla vasta mole di informazioni somministratole, a catturare le relazioni non lineari esistenti tra i dati clinici di input ricavati dallo studio Fenland e i rispettivi risultati registrati dai sensori dell’ECG indossabile. Sulla base di tali correlazioni, la rete apprende a prevedere l’idoneità cardiorespiratoria.

Addestrata la rete, il gruppo di ricerca è passato poi a valutarne le prestazioni, confrontando le sue stime di VO2max con i valori derivati da un test da sforzo ai quali si è sottoposto un sottogruppo di partecipanti (2.675) allo studio Fenland, in un’indagine di follow-up realizzata circa sette anni dopo.

«Nei compiti di stima del VO2max, il nostro modello di intelligenza artificiale ha dimostrato un forte accordo con il VO2max misurato dal test da sforzo nella visita di follow-up longitudinale. Infine, abbiamo valutato ulteriormente il modello iniziale sui nuovi dati di input dello studio Fenland II, dimostrando che è in grado di adattarsi e di monitorare i cambiamenti nel tempo»

spiegano gli autori. Più nel dettaglio, valutando le capacità di inferenza del modello AI per quanto concerne la differenza (delta) tra il VO2max attuale (stimato durante la fase 1 dello studio Fenland) e quello futuro (Fenland II) – per quei partecipanti che sono tornati circa sette anni dopo – «questo ha prodotto risultati che si sono tradotti in una correlazione di 0,57 tra il delta previsto e il delta del VO2max reale» fanno notare.

Le applicazioni del framework di deep learning

Questo lavoro in tema di intelligenza artificiale per l’elaborazione dei dati clinici raccolti mediante wearable device, offre un approccio alla previsione dell’idoneità cardiorespiratoria basato su una tecnica di deep learning che si propone di andare oltre i tradizionali modelli fondati sul non esercizio, sull’assenza di test fisici, che – attualmente – rappresentano lo stato dell’arte in materia, ricorda il team di studio.

Il modello sviluppato è in grado di elaborare informazioni anche settimanalmente e di incrociarle con molteplici dati clinici (peso del soggetto, stile di alimentazione, livelli di colesterolo e di glucosio presenti nel sangue e altre informazioni inerenti al metabolismo) e biomarcatori come la frequenza cardiaca a riposo, «fornendo un approccio personalizzato per la generazione di inferenze circa lo stato di salute cardiorespiratorio».

Un’ulteriore applicazione del modello AI messo a punto riguarda la previsione della potenziale stima di routine del VO2max in contesti clinici, data la forte associazione tra i livelli stimati di funzionalità cardiorespiratoria e lo stato di salute.

Tra i limiti dello studio descritto, i ricercatori dell’Università di Cambridge indicano la validazione del framework confrontando i valori di VO2max stimati dall’algoritmo di intelligenza artificiale con i valori derivati da un test da sforzo la cui intensità è inferiore alla capacità massimale dei soggetti coinvolti.

«Idealmente, andrebbero usati valori VO2max misurati direttamente durante un test da sforzo massimale, per stabilire la “verità di base” utile ai confronti sull’idoneità cardiorespiratoria. I test da sforzo massimali, tuttavia, sono problematici se utilizzati in ampi studi sulla popolazione, perché potrebbero generare problemi cardiaci in alcuni partecipanti e, di conseguenza, indurre bias di selezione» precisano i ricercatori.

Intelligenza artificiale per wearable device: indicazioni per la ricerca futura

In tema di intelligenza artificiale per l’elaborazione dei dati clinici raccolti mediante wearable device, la premessa dello studio descritto è che – data l’idoneità cardiorespiratoria quale variabile predittrice di malattie metaboliche e di mortalità – i moderni dispositivi indossabili possano sempre più acquisire dati dinamici non standardizzati, col fine di migliorare la previsione dell’indice di tale idoneità.

La ricerca futura dovrà seguire la linea tracciata, ad esempio focalizzandosi sulle “rappresentazioni latenti”, eseguite dal sistema di intelligenza artificiale, di tutta una serie di dati (tra cui, iperglicemia, ipercolesterolemia e aritmie cardiache) collegati a patologie cuore-polmoni che sono emerse durante i lavori – sottolinea il team – e che aprono la strada a un monitoraggio consapevole delle funzionalità cardiorespiratoria e a interventi su larga scala.

«Se non puoi misurarlo, non puoi migliorarlo“: ebbene, l’idice di benessere cardiorespiratorio è un indicatore di salute fondamentale, ma fino ad oggi non avevamo i mezzi per calcolarlo su larga scala. I nostri risultati potrebbero avere implicazioni significative per le politiche sanitarie della popolazione» concludono gli autori.

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