Prosegue il nostro viaggio alla scoperta dei mattoncini del nostro prossimo Big BANG. Siamo alla N di neuroni. Qui, la convergenza tra le varie discipline che Rudy Bandiera ed io (chi scrive) vi abbiamo raccontato nei video precedenti, trova la sua massima espressione nella neuroingegneria.

L’ingegneria neurale, ormai più nota al grande pubblico come neuroingegneria, sfrutta capacità computazionale e tecniche di ingegneria per capire come funziona l’elaborazione delle informazioni nel sistema nervoso (i nostri neuroni) e trovare nuove soluzioni per riparare, migliorare o sostituire sistemi neurali malati o danneggiati, ricorrendo anche a sistemi artificiali (come sistemi robotici o protesi).

Il nostro futuro passa dalla neuroingegneria

Anche questa volta parliamo di una disciplina che è frutto della convergenza di diversi “saperi” che vanno dalla neuroscienza computazionale alla neurologia clinica, dall’ingegneria elettrica a quella informatica, dalla robotica alla cibernetica, dall’ingegneria dei tessuti neurali alla scienza dei materiali e alle nanotecnologie…

Tanto complessa è la disciplina e sfidanti i progetti che la riguardano, tanto semplice e disarmante il suo principale obiettivo: ripristinare funzioni umane tramite nuove relazioni tra neuroni e dispositivi artificiali.

Da un lato, quindi, c’è lo studio delle reti neurali biologiche (in particolare per comprendere come vengono elaborate le informazioni e come queste diventano “segnali” per compiere determinate azioni), dall’altro lo sviluppo di nuove soluzioni (hardware e software) e nuovi dispositivi artificiali in grado di interagire con meccanismi complessi come lo è il nostro sistema nervoso.

Pensiamo banalmente alle implicazioni legate all’afferrare un bicchiere di carta stracolmo d’acqua. Le informazioni da elaborare riguardano la sensibilità tattile (un bicchiere di carta è diverso da un bicchiere di vetro e richiede una “presa differente” che deve elaborare il nostro cervello), il rischio di far cadere l’acqua dai bordi, il calcolo della fermezza, o della lentezza, o della rapidità con le quali portare il bicchiere alla bozza… Per molti di noi sono gesti banali, che facciamo in modo automatico. Per altri, diventano problemi da superare. Pensiamo a chi non ha mani o braccia e deve utilizzare arti artificiali nella vita quotidiana.

Rimanendo su questo semplice esempio, la neuroingegneria serve per trovare nuove protesi in grado di assicurare tatto, fluidità, agilità di movimento consentendo a chiunque, anche a chi deve indossare arti artificiali, di afferrare un bicchiere di carta stracolmo d’acqua e bere.

L’esempio può sembrare banale e riduttivo, ma se pensiamo più in grande, l’incontro tra neuroscienze e ingegneria diventa quello spazio dove poter immaginare, sperimentare, progettare e rendere alla portata di tutti soluzioni per:

  • riparare danni cerebrali,
  • rigenerare il tessuto del midollo spinale,
  • ripristinare capacità visive o motorie,
  • riparare nervi danneggiati che causano malattie degenerative,
  • aprire la strada a nuove terapie biomolecolari per la rigenerazione neurale…

Il rischio che tutto questo porti allo sfruttamento della scienza e della tecnologia per creare “superuomini” è reale. Ecco perché è importante conoscere quali sono le nuove frontiere delle scienze e delle tecnologie convergenti: sapere e capire quali sono le loro potenzialità, è il primo grande passo che ciascuno di noi può fare per avere voce e peso di fronte ai possibili rischi, senza fermare un progresso che può portare grandissimi benefici a moltissime persone ma, al contempo, promuovendone uno sviluppo etico e responsabile (che per me e Rudy è diventata una vera e propria “missione sociale”).



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Scritto da:

Nicoletta Boldrini

Futures & Foresight Director Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin