Per affrontare la crescita progressiva delle emissioni di anidride carbonica, si studiano e applicano soluzioni tecnologiche in grado di ridurre il problema. Una delle soluzioni allo studio è la cattura diretta dell’aria, che attira forte interesse, ma anche dubbi

Tra le tecnologie per la cattura e rimozione della CO2 si sta affermando la Direct Air Capture (DAC). Potrà essere utile a rimuovere la sempre più crescente quantità di emissioni di anidride carbonica in atmosfera? Da quanto emerge dalla Global Carbon Budget stilato dalla Exeter University, le emissioni di CO2 fossile aumenteranno dell’1,1% rispetto al 2022, raggiungendo quota 36,8 miliardi di tonnellate.

C’è quindi bisogno di ridurre sensibilmente questi quantitativi crescenti, che contribuiscono alla crisi climatica e al riscaldamento globale

L’Agenzia internazionale dell’Energia (IEA) ha scritto che, per evitare di superare l’obiettivo di 1,5 °C o anche in uno scenario di basso superamento:

“saranno necessari la cattura e lo stoccaggio del carbonio e la rimozione dell’anidride carbonica atmosferica per mitigare e compensare le emissioni residue difficili da abbattere. Occorre realizzare progetti in grado di catturare circa 1,2 Gt di CO2 entro il 2030, contro le circa 0,3 Gt di CO2 attualmente previste per il 2030.”

Anche l’IPCC, il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, ha affermato che la cattura e rimozione di CO2 (CDR) è necessaria per raggiungere l’obiettivo “net zero” entro il 2050 perché potrebbero consentire alle imprese di neutralizzare le emissioni residue di carbonio una volta esauriti tutti gli sforzi di riduzione delle emissioni.

Per riuscirci, sono in molti a credere (e investire) sulle tecnologie DAC. Secondo Statista, la crescita del valore di mercato sarà esponenziale: dai quasi 24 milioni di dollari, valutata nel 2022 si prevede raggiungerà 614 milioni di dollari entro il 2028. Gli Stati Uniti, come vedremo, sono particolarmente attivi: il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha lanciato un programma da 3,5 miliardi di dollari per sostenere la cattura diretta delle emissioni di anidride carbonica nell’aria. La ricerca nel settore è forte e si stanno affermando nuove realtà un po’ in tutto il mondo. Una delle più recenti ha sede in Italia ed è una startup innovativa nata nel 2022. Di recente ha ricevuto un investimento pre-seed superiore a 1,7 milioni di euro per realizzare il proprio business plan quinquennale e partecipare al programma di “Business Creation” erogato da PoliHub nell’ambito del Polo Nazionale di Trasferimento Tecnologico della Sostenibilità.


Le emissioni di anidride carbonica, all’origine della crisi climatica e del global warming, continuano a crescere. Tutte le grandi organizzazioni energetiche e ambientali richiedono di ridurla, per evitare pericolosi effetti collaterali.
Le soluzioni passano dai sistemi di carbon capture and storage (CCS), nonché di cattura e rimozione (CDR). Tra quelle che destano l’interesse più vivo c’è la tecnologia di cattura diretta dell’aria (DAC), su cui si stanno concentrando investimenti cospicui.
Dagli USA all’UE, l’interesse sulle DAC è ubiquo e il sostegno finanziario è sensibile, a livello di fondi d’investimento, ma anche delle Big Tech. Tra le startup più recenti ce n’è anche una italiana. Ma la comunità scientifica solleva più di un dubbio sulla reale convenienza.

Tecnologie per la cattura e rimozione della CO2: come funziona DAC

A proposito di tecnologie per la cattura e rimozione della CO2, il principio di funzionamento della DAC prevede di catturare biossido di carbonio direttamente dall’atmosfera in qualsiasi luogo, “a differenza della tecnologia carbon capture che viene generalmente effettuata nel punto di emissione”, specifica la IEA. Un sistema DAC funziona in sintesi così: aspira aria e cattura mediante un filtro specifico le molecole di anidride carbonica in un ambiente controllato e stoccata. L’aria, priva di CO2 è reimmessa nell’atmosfera. Il biossido di carbonio può essere immagazzinato in modo permanente in formazioni geologiche profonde o usato per svariate applicazioni. Non c’è un’unica tecnologia DAC, ma differenti approcci.

Tecnologie per la cattura e rimozione della CO2 - esempio grafico
Concept grafico cn esempi di alcune tecnologie per la cattura e rimozione della CO2

La stessa Agenzia internazionale dell’energia, nel report dedicato, ricorda che fino al 2022 sono stati commissionati 27 impianti in tutto il mondo, catturando quasi 0,01 Mt di CO2/anno, ma sono stati presentati piani per almeno 130 strutture DAC che attualmente si trovano in varie fasi di sviluppo.

“Se tutti dovessero avanzare (anche quelli solo in fase di progettazione), l’implementazione delle DAC raggiungerebbe il livello richiesto nel 2030 nell’ambito dello scenario Net Zero Emissions by 2050 (NZE), ovvero circa 75 Mt CO2/anno.”

Nella cattura dell’anidride carbonica dall’aria c’è anche una startup italiana

Tra le tecnologie per la cattura e rimozione della CO2, in particolare nel comparto Direct Air Capture, da un anno circa è attiva la startup innovativa CarpeCarbon. Come riportano nel proprio sito:

“La tecnologia innovativa di CarpeCarbon fornisce una soluzione scalabile ed efficiente dal punto di vista energetico per rimuovere grandi quantità di CO2 dall’aria senza competere con la transizione energetica per le risorse e riducendo al contempo i costi energetici”.

Il sistema proprietario viene dichiarato ad alta efficienza energetica. Grazie ad esso:

“è possibile rimuovere la CO2 dall’aria evitando gli elevati fabbisogni energetici delle tradizionali tecnologie DAC, riducendo sia i costi di cattura che gli impatti ambientali. La rimozione della CO2 dall’atmosfera non è un’alternativa alla riduzione delle emissioni o una scusa per ritardare la transizione all’energia pulita, ma è necessaria per raggiungere gli obiettivi di zero emissioni nette in ogni scenario climatico futuro.”

Le realtà mondiali più avanzate sulla DAC

Oltre alla realtà italiana ci sono società a livello mondiale più avanzate, sostenute da diverse realtà pubbliche e private che hanno deciso di investire su questa tecnologia per la cattura e rimozione della CO2.

DAC ha intercettato l’interesse di molti privati, non solo fondi di investimento, ma anche colossi IT come Alphabet, Microsoft, Meta, Amazon. Gli Stati Uniti si dimostrano il Paese più attivo a sostenere gli sforzi di sviluppo delle società che stanno mettendo a punto le loro soluzioni. Ad agosto il Dipartimento dell’Energia (DoE) ha annunciato investimenti fino a 1,2 miliardi di dollari per promuovere lo sviluppo di due impianti di cattura aerea diretta su scala commerciale in Texas e Louisiana che, a regime, promettono di rimuovere dall’atmosfera più di 2 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 ogni anno.

Il progetto Cypress in Louisiana intende arrivare a catturare più di 1 milione di tonnellate di CO2 all’anno e a trasferire il carbonio nel sottosuolo tramite lo stoccaggio geologico. Il progetto promette di essere un volano occupazionale, capace di generare oltre 2.000 posti di lavoro. La tecnologia DAC impiegata è quella messa a punto dalla startup svizzera Climeworks. La stessa ha avviato nel 2021 il primo impianto di rimozione dell’anidride carbonica su larga scala al mondo. Per questo ha collaborato con la società islandese di stoccaggio del carbonio Carbfix per sviluppare un impianto che aspira fino a 4.000 tonnellate di CO2 all’anno.

In Texas, la società petrolifera Occidental punta a catturarne fino a 500mila tonnellate annue mediante il progetto STRATOS. Per realizzarlo può contare sul sostegno finanziario del colosso finanziario BlackRock che investirà 550 milioni di dollari sul progetto che Occidental gestirà attraverso la società controllata 1PointFive. Il nome si rifà esplicitamente all’obiettivo dell’accordo di Parigi: per questo sta sviluppando hub di cattura diretta dell’aria e di sequestro della CO₂ per contribuire a contenere l’aumento della temperatura globale a 1,5°C entro il 2050.

Un’altra grande realtà specializzata in tecnologia DAC è Global Thermostat, società di ricerca già attiva dal 2010, ha messo a punto un processo brevettato di adsorbimento solido che utilizza ventole per soffiare aria attraverso contattori proprietari che si legano alla CO2, poi separata con calore a bassa temperatura. La società statunitense ha presentato in primavera un impianto in Colorado dalla capacità di oltre mille tonnellate di anidride carbonica all’anno, che è la misura-soglia per beneficiare di un credito d’imposta ai sensi dell’Inflation Reduction Act. Presente al varo c’era Nancy Pelosi, speaker emerita della Camera degli Stati Uniti.

Degno di citazione è anche CarbonCapture che progetta e produce sistemi DAC modulari. Attualmente, l’azienda sta sviluppando Project Bison, nel Wyoming, che intende arrivare a catturare e immagazzinare cinque milioni di tonnellate di anidride carbonica atmosferica all’anno entro il 2030. Essa può contare sul sostegno di realtà quali Alphabet, Shopify, Meta, McKinsey Sustainability, Autodesk, H&M Group, JPMorgan Chase e Amazon.

Lo scenario mondiale di sostegno alla cattura diretta della CO2 dall’aria

Sempre a proposito di sostegno degli Stati Uniti alla tecnologia DAC, va ricordato che nel 2022 nell’ambito dell’Inflation Reduction Act avevano aumentato il credito d’imposta 45Q (previsto per il sequestro di CO2 e per l’utilizzo di metodologie CCUS) a 180 USD/t CO2 catturata per lo stoccaggio tramite DAC, con una soglia di cattura di appena 1 kt CO2/anno.

La Commissione Europea – ricorda IEA – mira a immagazzinare fino a 50 Mt CO2 all’anno entro il 2030, anche grazie al contributo di questa tecnologia. La stessa Commissione UE, insieme alla Banca europea per gli investimenti e Breakthrough Energy Catalyst hanno lanciato anche la partnership UE-Catalyst con l’obiettivo di mobilitare circa 820 milioni di euro tra il 2022 e il 2026 per accelerare la diffusione e la commercializzazione di tecnologie innovative a basse emissioni di carbonio in Europa, “essendo la DAC una delle tre tecnologie ammissibili al finanziamento”, si descrive in un articolo scientifico, in cui si ricorda che l’inclusione dei CDR nell’Emission Trading System dell’UE potrebbe anche fornire incentivi adeguati per lo sviluppo del DAC e accelerarne ulteriormente la crescita.

Il Regno Unito ha annunciato di stanziare circa 25 miliardi di dollari per applicazioni CCUS, compreso il DAC. Infine, anche il Giappone ha deciso di investire sulla tecnologia: ha stabilito una tabella di marcia per la cattura dell’anidride carbonica con l’obiettivo di catturare tra 6 e 12 Mt CO2 all’anno entro il 2030; in essa è compresa la DAC.

I dubbi scientifici sulla DAC e sulle tecnologie per la rimozione della CO2

Come abbiamo visto, è forte il sostegno in termini di investimenti sulle tecnologie di cattura diretta dell’aria e delle tecnologie per la cattura e rimozione della CO2. È un sostegno che si rende necessario, sottolinea la stessa IEA, per sopperire ai punti deboli della DAC, primo dei quali è legato ai costi:

“catturare la CO2 dall’aria è l’applicazione più costosa della cattura del carbonio. La CO2 nell’atmosfera è molto più diluita rispetto, ad esempio, ai gas di scarico di una centrale elettrica o di un cementificio. Ciò contribuisce ai maggiori fabbisogni energetici e costi di DAC rispetto a queste applicazioni”.

Inoltre, i tempi di realizzazione degli impianti DAC vanno dai due ai sei anni e la maggior parte degli impianti annunciati fino ad oggi si trovano in una fase embrionale di sviluppo.

Ma sulla tecnologia DAC e sulle tecnologie di rimozione basate sull’ingegneria hanno sollevato i dubbi di un panel delle Nazioni Unite UNFCCC. Lo scorso maggio ha pubblicato un documento riguardante le attività di rimozione della CO2 basato sul meccanismo 4.6 dell’Accordo di Parigi. Esso stabilisce tre approcci affinché le Parti cooperino volontariamente al raggiungimento dei loro obiettivi di riduzione delle emissioni e di adattamento stabiliti nei loro piani nazionali di azione per il clima. Uno di essi è collegato allo specifico meccanismo finalizzato a contribuire alla mitigazione delle emissioni di gas serra e sostenere lo sviluppo sostenibile.

In base a quanto si legge, le attività di rimozione basate sull’ingegneria “sono tecnologicamente ed economicamente non provate, soprattutto su larga scala, e pongono rischi ambientali e sociali sconosciuti”. Lo stesso documento ricorda che allo stato attuale, tali attività rappresentano rimozioni equivalenti a 0,01 Mt CO2 all’anno rispetto ai 2.000 Mt CO2 all’anno rimossi dalle attività terrestri. “Queste attività non contribuiscono allo sviluppo sostenibile” e neppure “a ridurre i costi di mitigazione globale, e quindi non servono nessuno degli obiettivi del meccanismo dell’Articolo 6.4”.

C’è anche chi solleva dubbi riguardanti gli elevati costi energetici per avviare il processo DAC.

Howard Herzog, ingegnere ricercatore senior presso la MIT Energy Initiative, pioniere nella ricerca sulla carbon capture, ha evidenziato che è necessaria molta energia (circa 1200 kilowattora/tonnellata di CO2) per separare l’anidride carbonica dalla grande quantità di aria che un’unità DAC deve elaborare. Inoltre ha elencato tre problemi legati all’accessibilità economica, in un articolo pubblicato sul portale MIT Climate.

Scritto da:

Andrea Ballocchi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin