Impiegati per la diagnostica medica, i biosensori trovano spazio e potenziali campi di applicazione anche in settori industriali avanzati, grazie alla combinazione con tecniche di intelligenza artificiale

I biosensori già oggi trovano impiego nella diagnosi biomedica. Tuttavia, in prospettiva, possono permettere un ulteriore passo avanti verso una medicina più personalizzata ed efficace. Il loro uso è prezioso anche in campo ambientale, nel controllo degli alimenti, nella scoperta di farmaci e nel futuro, la combinazione virtuosa con tecniche di intelligenza artificiale si prevede farà fare un salto di qualità. La combinazione virtuosa tra AI e IoT trova nei biosensori un utile collegamento e permetterà di ottimizzare il percorso di cura, migliorando anche la gestione della sanità e la qualità delle cure. Non solo: contribuirà a ridurre la spesa pubblica nell’UE per la sanità, che già nel 2021 ammontava a 1.179 miliardi di euro, pari all’8,1% del Pil. L’approccio tecnologico e data driven potrà portare ulteriori benefici nel migliorare la qualità delle cure, efficientando i costi.

Le potenzialità e le opportunità, concrete e in sviluppo, generate dai biosensori generano un crescente interesse economico: secondo un recente studio di Growth Plus Reports, il mercato mondiale dei biosensori, valutato 25,9 miliardi di dollari nel 2022, si prevede raggiungerà i 53,26 miliardi di dollari entro il 2031.

Ci sono poi le ricerche più avanzate che vedono un’applicazione decisamente futuribile dei biosensori: la possibilità di far funzionare robot e macchine attraverso la forza della mente. C’è già un progetto allo studio, come vedremo.

Takeaway

I biosensori trovano il principale campo di applicazione in medicina, utili per la diagnostica, per l’assistenza sanitaria a distanza e persino per lo sviluppo di nuovi farmaci
Uno dei campi applicativi più promettenti, anche se ancora sperimentali, riguarda la diagnosi precoce di patologie gravi. Inoltre, possono essere adottati nel campo della prevenzione ambientale
Nel futuro, anche grazie all’impiego combinato di AI e IoT, le potenzialità dei biosensori si allargheranno a nuovi campi applicativi: c’è chi studia la possibilità di usarli per azionare i robot con la sola forza della mente, coadiuvati dall’augmented reality

Biosensori: cosa sono e quando sono nati

I biosensori sono dispositivi che misurano reazioni biologiche o chimiche, generando segnali proporzionali alla concentrazione di una sostanza nella reazione. I biosensori sono impiegati in applicazioni diagnostiche, il monitoraggio delle funzioni vitali, la scoperta di farmaci e il rilevamento di inquinanti. Inoltre, possono permettere di individuare microrganismi potenziali cause di malattie, presenti nei fluidi corporei (sangue, urina, saliva, sudore).

I biosensori sono costituiti, di solito da: biorecettore, trasduttore, elettronica e display. A questi si aggiunge l’analita, ovvero una sostanza che deve essere rilevata dal biosensore (il glucosio, per esempio). Il biorecettore è una molecola che riconosce specificamente l’analita. Esempi di biorecettori sono costituiti da enzimi, cellule, DNA e anticorpi. Il processo di generazione del segnale in seguito all’interazione del biorecettore con l’analita è definito bioriconoscimento. Il trasduttore è un elemento che converte una forma di energia in un’altra. In un biosensore il ruolo del trasduttore è quello di convertire l’evento di bioriconoscimento in un segnale misurabile, mediante il processo di segnalazione. La parte elettronica elabora il segnale trasdotto e lo prepara per la visualizzazione. I segnali elaborati vengono messi in evidenza dal display.

I biosensori, come concetto, nascono nei primi decenni del Novecento, ma occorre attendere il 1956 per il primo biosensore per il rilevamento dell’ossigeno, messo a punto dal biochimico statunitense Leland Clark. Lo stesso scienziato, negli anni Sessanta, è stato l’ideatore del primo elettrodo enzimatico amperometrico per rilevare il glucosio. Solo negli anni Settanta si arrivò al primo biosensore a scala commerciale.

La funzione dei biosensori, in campo medico…

I biosensori sono in grado di rilevare campioni biologici, rappresentando utili strumenti per comprendere la funzione, la composizione e la struttura delle molecole biochimiche. Vengono spesso applicati per rilevare proteine e peptidi, offrendo così un’ampia gamma di applicazioni biomediche. Trovano spazio anche nella medicina legale. Tuttavia è nella diagnostica medica che possono offrire un importante contributo. A tale proposito uno degli ambiti di utilizzo potenzialmente più interessanti è rappresentato dalla diagnosi precoce di malattie neurodegenerative e dei tumori. Oggi la diagnosi della malattia di Alzheimer è ancora un compito complesso e svolto con tecniche costose. Da tempo la ricerca concentra l’attenzione sulle potenzialità di impiego dei biosensori come alternative promettenti per una diagnosi semplice, rapida e a basso costo. È bene chiarirlo: c’è ancora molto su cui lavorare e studiare per arrivare a possibilità concrete. Intanto però la ricerca prosegue. Proprio quest’anno un team di ricercatori dell’Università di Bologna ha ideato e messo a punto un biosensore capace di monitorare il processo di adesione cellulare a livello delle singole cellule. Nello studio, pubblicato su Nature Communication, si legge che:

«Lo strumento potrebbe trovare diverse applicazioni in campo biomedico, permettendo ad esempio di osservare il ruolo di singole cellule nel processo di formazione dei tumori oppure durante la fase di guarigione delle ferite».

… e ambientale

Oltre a rivelarsi utili in campo medico, i biosensori possono essere preziosi in campo ambientale. Una recente ricerca svolta dal CNR e dall’Università di Bari ha portato alla realizzazione di un

biosensore elettronico in grado di rilevare in modo rapido e accurato la presenza dei batteri di Xylella fastidiosa, responsabile dell’abbattimento e della morte di circa 21 milioni di ulivi in Puglia.

Un’ulteriore, preziosa funzione ecologica può essere svolta dai biosensori per rilevare i livelli tossici di fluoruro nell’acqua, molto usato per scopi agricoli e industriali, ma i cui effetti sono deleteri per la salute umana. Un team di scienziati della Northwestern University ha lavorato, invece, all’implementazione di un test accurato, economico e facile da usare per rilevare i livelli tossici di fluoruro nell’acqua. In tutto il mondo, si stima che decine di milioni di persone vivano in aree in cui l’approvvigionamento idrico è contaminato da livelli tossici di fluoruro, una sostanza incolore, inodore e insapore. La portata del problema è stata difficile da misurare a causa del costo elevato o della complessità delle opzioni di test disponibili.

Utile all’ambiente, ma anche per scopi biomedici è, invece, il nuovo biosensore messo a punto da alcuni ricercatori della Penn State per rintracciare la presenza di manganese, uno ione metallico essenziale per la vita. Il sensore potrebbe avere ampie applicazioni nella biotecnologia per far progredire la comprensione della fotosintesi e anche in neurobiologia. Potrebbe essere applicato persino nei processi come la separazione dei componenti del metallo di transizione (manganese, cobalto e nichel) nel riciclaggio delle batterie agli ioni di litio.

L’impiego dell’intelligenza artificiale

L’utilità dei biosensori può aumentare, combinata con tecniche di intelligenza artificiale. Il punto di incontro sono i dati: i biosensori, anche sotto forma di dispositivi indossabili, misurano segnali elettrofisiologici ed elettrochimici dal corpo. Le attività elettriche generate da vari processi biologici nel corpo (cardiaco, muscolare, elettrodermica) possono essere colte da dispositivi diagnostici come i wearable device, e forniscono informazioni vitali sulle proprie condizioni di salute. Oltre agli smartwatch e ai fitness tracker, grazie all’evoluzione nell’elettronica è possibile contare anche su elementi per il biorilevamento, sotto forma di dispositivi a contatto pelle. Una volta generati i dati, vanno raccolti e analizzati. A questo punto entrano in gioco tecniche di machine learning e deep learning. Nel campo dell’interazione uomo-computer, ML è impiegata per percepire i segnali elettromiografici ed ECG, DL è applicata ai dati elettrocardiografici per interventi di data denoising, per rilevare anomalie cardiache e persino per analizzare l’attività cerebrale.

Nonostante i crescenti progressi, ci sono ancora numerosi ostacoli significativi da superare prima che i biosensori AI per applicazioni basate su Internet of Things siano commercialmente maturi. In ogni caso la strada è tracciata e nel futuro si potranno vedere usati biosensori AI, anche grazie alle nanotecnologie.

I biosensori del futuro

Già oggi si segnala l’uso combinato di intelligenza artificiale e nanotecnologie nell’affinare i biosensori. Un recente esempio è fornito dal lavoro di alcuni scienziati della Monash University che hanno sviluppato un nuovo dispositivo, dall’aspetto di un cerotto ultrasottile, in grado di monitorare 11 segnali vitali. L’équipe ha sviluppato una rete neurale basata su frequenza/ampiezza chiamata Deep Hybrid-Spectro, in grado di monitorare automaticamente più dati biometrici da un singolo segnale e nel futuro lavorerà per programmare i sensori utilizzando algoritmi ancora più sofisticati in modo da personalizzarli.

Un nuovo skinpatch ultrasottile con nanotecnologia in grado di monitorare 11 segnali della salute umana è stato sviluppato dai ricercatori della Monash University [credits Monash University:  https://www.monash.edu/news/articles/artificial-intelligence-powers-second-skin-like-wearable-tech]
Un nuovo skinpatch ultrasottile con nanotecnologia in grado di monitorare 11 segnali della salute umana è stato sviluppato dai ricercatori della Monash University [credits Monash University: https://www.monash.edu/news/articles/artificial-intelligence-powers-second-skin-like-wearable-tech]

Come ha spiegato il professor Wenlong Cheng, docente di ingegneria chimica e biologica e coordinatore del team che ha messo a punto la tecnologia, in grado di combinare elettronica “soft”, AI e nanotecnologia, la scoperta:

“apre a nuove prospettive per monitorare i parametri vitali, ma anche lavorare sulla robotica della percezione e colmare le interazioni tra intelligenza naturale e artificiale”.

Ancora più avveniristica è la ricerca condotta da un pool di ricercatori della University of Technology Sydney. Hanno sviluppato biosensori in grado di far funzionare robot e macchine, esclusivamente attraverso il controllo del pensiero.

L’avanzata interfaccia cervello-computer è stata sviluppata in collaborazione con l’Esercito australiano e col Defence Innovation Hub.

I biodispositivi vengono posizionati sul cuoio capelluto, pronti a rilevare le onde cerebrali dalla corteccia visiva. Il dispositivo di realtà aumentata indossato dall’utente, permette di captare le onde cerebrali dell’operatore mediante il biosensore e di convogliarle a un decodificatore che traduce il segnale in comandi.

La tecnologia è stata recentemente dimostrata dall’esercito australiano, dove i soldati hanno azionato un robot quadrupede, utilizzando l’interfaccia cervello-macchina. Il dispositivo ha consentito il comando a mani libere del cane robotico con una precisione fino al 94%.

Oltre alle applicazioni militari, la tecnologia ha un potenziale significativo in settori come la manifattura avanzata, l’aerospaziale e la sanità.

Scritto da:

Andrea Ballocchi

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