Secondo voi, c’è un modo per capire chi in futuro svilupperà la malattia di Alzheimer? La risposta sembra essere sì, almeno stando agli ultimi traguardi della ricerca scientifica che accende nuove speranze per la lotta a malattie neurologiche degenerative e debilitanti.
Nell’ambito della diagnosi precoce dell’Alzheimer e di altre malattie neurologiche, a far fare un passo avanti alla scienza è un sistema basato su tecniche di Intelligenza Artificiale (IA) che, “semplicemente” osservando gli schemi di scrittura delle persone, riesce a prevedere chi manifesterà la malattia di Alzheimer diversi anni prima che si manifestino i sintomi.
Questa settimana vi parlo infatti dei risultati raggiunti da un team di ricercatori dell’IBM Thomas J. Watson Research Center, recentemente pubblicati sulla rivista scientifica “The Lancet EClinicalMedicine”, che dimostrano in che modo un sistema basato su tecniche di intelligenza artificiale (opportunamente “addestrato” attraverso tecniche di machine learning) sia in grado, con una accuratezza di oltre il 75%, di identificare e raccogliere indizi di cambiamenti nel linguaggio prima dell’inizio di una malattia neurologica come l’Alzheimer.
Lo scopo di questo studio è dimostrare come utilizzando metodi di classificazione attraverso sistemi basati su IA sia possibile prevedere la futura insorgenza della malattia di Alzheimer in soggetti “cognitivamente normali” attraverso l’analisi linguistica automatizzata.
Una priorità chiave nella ricerca sulla malattia di Alzheimer è l’identificazione di strategie di intervento precoce che ridurranno il rischio, ritarderanno l’insorgenza o rallenteranno la progressione della malattia. “I primi interventi possono essere testati e implementati efficacemente solo se è possibile identificare la popolazione che ne trarrà vantaggio”, scrivono i ricercatori Elif Eyigoz, Sachin Mathur, Mar Santamaria, Guillermo Cecchi e Melissa Naylor, nel loro studio. “Sebbene molte variabili siano state associate al rischio di Alzheimer, c’è ancora una grande necessità per lo sviluppo di biomarcatori affidabili per la malattia preclinica. Il declino cognitivo correlato all’invecchiamento si manifesta in quasi tutti gli aspetti della comprensione e della produzione del linguaggio. Anche abilità linguistiche apparentemente banali, come la denominazione di oggetti, coinvolgono ampie reti cerebrali. Di conseguenza, queste capacità linguistiche possono essere facilmente interrotte, il che rende la competenza linguistica un indicatore sensibile di disfunzione mentale”.
Partendo da questa intuizione, i ricercatori hanno coinvolto un’ottantina di persone per eseguire dei test e sviluppare un sistema di diagnosi basato su tecniche di intelligenza artificiale.
Da evidenziare, il lavoro svolto da questo team di ricercatori differisce in modo significativo dalla letteratura corrente sulla previsione dell’insorgenza futura dell’Alzheimer perché la previsione si basa sui dati raccolti da persone cognitivamente sane che, solo dopo circa sette anni, hanno mostrato i primi sintomi della malattia (che il sistema basato su AI ha previsto con una accuratezza di oltre il 75%).
Gli scienziati hanno utilizzato un approccio di apprendimento automatico per gestire una rappresentazione multivariata delle prestazioni linguistiche. Lo scopo, come accennato, era testare in che misura le prestazioni linguistiche in un singolo momento possono essere utilizzate come marker prognostico di conversione in Alzheimer (detto in altri termini, capire se la capacità di scrittura – in particolare quella descrittiva – può diventare un marcatore per fare una diagnosi precoce di una malattia neurologica).
Lo studio è iniziato in realtà prendendo in esame i dati del Framingham Heart Study (un importante studio epidemiologico condotto dal 1948 nella cittadina statunitense di Framingham, con l’obiettivo di stimare il rischio delle patologie cardiovascolari): i partecipanti a questi studi furono sottoposti a diversi test neuropsicologici, tra i quali anche un’attività linguistica (la descrizione di alcune immagini relative ad un accadimento).
I compiti di descrizione sono oggi utilizzati come test per la diagnosi di moltissime malattie legate alla demenza o di disturbi come l’afasia (disturbo del linguaggio che può essere caratterizzato da un’alterazione della comprensione o dell’espressione delle parole o degli equivalenti non verbali delle parole).
Diagnosi precoce dell’Alzheimer, nuove speranze dalla ricerca
Partendo da qui, facendo una valutazione cognitiva dei dati emersi dallo studio del 1948, i ricercatori dell’IBM hanno cercato nuove vie più veloci e più efficaci per fare queste diagnosi, concentrandosi in particolare sulla malattia di Alzheimer, trovando nell’intelligenza artificiale la risposta: passando per la modellazione predittiva, il machine learning e la messa a punto di un sistema di analisi linguistica automatizzata, testato poi su un’ottantina di persone che parteciparono allo studio del ’48 (metà delle quali oggi ha l’Alzheimer).
Il sistema ha permesso di identificare delle sottili differenze nel linguaggio in soggetti che hanno poi sviluppato la malattia. Da qui, l’idea di sviluppare un sistema per la diagnosi precoce basato su test di scrittura da “mettere in pasto” ad un avanzato sistema di analisi.
Il messaggio positivo e di speranza è che, secondo i ricercatori che stanno lavorando a questo studio, la prevenzione dell’Alzheimer è solo l’inizio. Gli schemi linguistici sono distintivi e possono essere sfruttati come “segnali di allarme” per aiutare a diagnosticare precocemente moltissime altre malattie neurologiche.
Per anni, i ricercatori hanno analizzato i cambiamenti del linguaggio e della voce nelle persone che hanno sintomi di malattie neurologiche quali Alzheimer, SLA, Parkinson, demenza frontotemporale, malattia bipolare e schizofrenia, ecc. Secondo il parere del dottor Michael Weiner (riportato in un articolo pubblicato da The New York Times), che ricerca il morbo di Alzheimer presso l’Università della California, San Francisco, il rapporto di IBM apre nuovi orizzonti: «questo è il primo rapporto che ho visto che ha preso in esame persone cognitivamente normali e previsto con una certa precisione che avrebbero avuto problemi anni dopo», ha sottolineato.
La speranza – scrive la giornalista del New York Times, Gina Kolata – è di estendere il lavoro dell’Alzheimer per trovare sottili cambiamenti nell’uso della lingua da parte di persone senza sintomi evidenti ma che svilupperanno altre malattie neurologiche.