Scoperto, all’interno del genoma del pomodoro, il gene SlLOB1, la cui modulazione potrebbe portare alla produzione di frutti sodi, maturi e saporiti senza che questi inizino ad ammorbidirsi prima del tempo.
TAKEAWAY
- I biotecnologi alimentari proseguono con gli studi sul genoma del pomodoro, tra gli ortaggi più diffusi eppure più critici sotto il profilo della resistenza alle aggressioni esterne.
- Lo scorso anno, in laboratorio, è stato messo a punto un genoma di riferimento per il pomodoro selvatico, che ha condotto alla definizione di precise sezioni, al suo interno, tra cui quelle alla base del sapore, delle dimensioni e della maturazione del frutto.
- Lo stesso gruppo di lavoro, un anno dopo, è giunto a un nuovo traguardo, identificando il gene della pianta in grado migliorare la conservazione dei suoi frutti senza intaccarne il sapore.
Proseguono – nell’ambito delle biotecnologie alimentari – gli studi sul genoma del pomodoro, considerato tra gli ortaggi maggiormente soggetti all’aggressione di parassiti e a problematiche da stress ambientale [per approfondimenti, consigliamo la lettura della nostra guida alle biotecnologie, che spiega cosa sono e quali sono le applicazioni – ndr].
È dello scorso anno – a cura dei biotecnologi del Boyce Thompson Institute, in seno alla Cornell Univerity di Ney York – la messa a punto, in laboratorio, di un genoma di riferimento per il pomodoro selvatico (detto anche “solanum pimpinellifolium”), che ha condotto alla definizione di precise sezioni, al suo interno, «alla base del sapore, delle dimensioni e della maturazione del frutto, della tolleranza allo stress e della resistenza alle malattie».
Studio che ha gettato le basi per interventi futuri su tali sezioni. In particolare, tra gli obiettivi del team di ricerca USA, «riuscire a reinserire all’interno del pomodoro attualmente coltivato (il cui nome botanico è solanum lycopersicum) i geni del pomodoro selvatico andati persi quando è stato addomesticato ed è iniziata la sua coltivazione».
Quello del Boyce Thompson Institute non è certo il primo esempio di sequenziamento del DNA di questa pianta. Tuttavia, la sua peculiarità è quella di essere stato realizzato per mezzo di tecnologie di ingegneria genetica particolarmente evolute, che hanno consentito un sequenziamento in grado di leggere frammenti di DNA molto lunghi. Che cosa significa, nel concreto? Che, attraverso questo tipo di sequenziamento, è stato possibile identificare varianti strutturali quali inserzioni, delezioni, inversioni o duplicazioni di grossi pezzi di DNA del solanum pimpinellifolium, responsabili di numerosi tratti del pomodoro attuale.
Biotecnologie e genoma del pomodoro: rilevato il fattore di trascrizione SlLOB1
In tema di biotecnologie e genoma del pomodoro, lo stesso gruppo di lavoro del Boyce Thompson Institute – sempre guidato dal biotecnologo Jim Giovannoni – un anno dopo è giunto a un nuovo traguardo, ossia a identificare il gene della pianta capace di migliorare la conservazione dei suoi frutti senza intaccarne il sapore.
Più nel dettaglio, questo gene sarebbe responsabile della regolazione del livello di “ammorbidimento” del frutto della pianta del pomodoro, indipendentemente dal suo grado di maturazione.
La ricerca, resa nota in un articolo pubblicato sulla testata scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences il 17 agosto 2021, parte da un assunto di base: il frutto del pomodoro attualmente coltivato diventa più morbido via via che matura, ma accade che – se condotto dai campi ai punti vendita quando è maturo al punto giusto – durante il trasporto questo subisca dei danni alla struttura, ammaccandosi o addirittura subendo un processo che lo porta a diventare marcio.
Per ovviare a questo rischio, gli agricoltori raccolgono i frutti prima che questi giungano a maturazione, conservandoli – una volta raccolti – a una certa temperatura e trasportandoli quando sono ancora acerbi. Ma tale metodo ha un risvolto che impatta in modo negativo sull’intero processo di maturazione del frutto, che porta a pomodori sani, privi di ammaccature, ma senza sapore.
Dunque, i ricercatori si sono focalizzati sulla ricerca – all’interno del genoma del pomodoro coltivato – di quei geni coinvolti nell’ammorbidimento dei frutti, ma non nel loro processo di maturazione, identificando, in particolare, il fattore di trascrizione SlLOB1, «che regola un’ampia gamma di geni correlati alla parete cellulare e ai processi di addolcimento della frutta». Sottolinea Jim Giovannoni:
«Finora, quasi tutti i fattori di trascrizione che il mio laboratorio ha identificato nel pomodoro sono coinvolti nel controllo globale della maturazione. SlLOB1, invece, regola principalmente i geni coinvolti nell’ammorbidimento della parete cellulare e in altri cambiamenti strutturali del frutto. La sua modulazione potrebbe produrre pomodori maturi – e, quindi, saporiti – che non hanno iniziato ad ammorbidirsi, aumentandone la durata»
Gli effetti dell’inibizione e della sovraespressione del gene identificato
Un altro aspetto saliente di questa nuova ricerca del team del professor Giovannoni in tema di biotecnologie e genoma del pomodoro, sta nell’essersi concentrata nello studio della “locule” del frutto, ovvero il tessuto gelatinoso che circonda i semi, parte spesso scartata in laboratorio dai ricercatori, in quanto – spiega il biotecnologo – considerata distinta dal frutto. «E invece le prime indicazioni di maturazione del pomodoro avvengono proprio nel locule, anche prima che il frutto inizi a cambiare colore o a produrre etilene, l’ormone presente in molte specie vegetali e responsabile della loro maturazione».
Quello che è stato osservato in laboratorio è che, nelle piante di pomodoro vive – osserva Giovannoni – l’inibizione dell’espressione di SlLOB1 provoca un ammorbidimento ritardato e frutti più sodi, mentre la sovraespressione di questo gene accelera il processo di ammorbidimento.
Il team, inoltre, ha dimostrato che l’inibizione dell’espressione di SlLOB1 non ha alcun effetto sul processo di maturazione, in quanto – durante l’esperimento – i pomodori maturavano seguendo i loro tempi naturali. Il che significa che i livelli di zuccheri e di acidi della frutta restano inalterati e che, dunque, «dal punto di vista del sapore, i frutti rimangono invariati. Ciò che cambia, con l’inibizione del gene identificato, è la consistenza dei frutti, che restano più sodi più a lungo, ammorbidendosi con più lentezza».
Un’ulteriore scoperta da parte dei biotecnologi del Boyce Thompson Institute ha riguardato un altro cambiamento correlato all’ammorbidimento ritardato indotto dall’inibizione dell’espressione di SlLOB1 e cioè il colore rosso più scuro del frutto, dovuto a livelli più alti di pigmenti di beta-carotene e di licopene presenti proprio all’interno del tessuto gelatinoso che circonda i semi.
Pigmenti – questi – che, oltre a modificare naturalmente il colore, donano al frutto una più elevata proprietà nutrizionale, in quanto l’organismo umano trasforma il beta-carotene in vitamina A.
Dunque, la scoperta del gene SlLOB1, oltre ad aumentare le probabilità che, in futuro, i pomodori acquistati in negozio rimangano sodi più a lungo e regalino il giusto mix di sapore e morbidezza quando vengono mangiati, potrebbe essere responsabile di un frutto più nutriente.
Tra i prossimi obiettivi del gruppo di ricerca di Jim Giovannoni, l’introduzione del gene SlLOB1 in una specifica varietà di pomodoro denominata “cimelio”, ad oggi – seppur dalle riconosciute qualità e dall’ottimo sapore – considerata ancora non adatta alla produzione commerciale proprio a causa proprio della sua scarsa conservabilità.