L’ingegneria genetica possiede in sé l’attitudine progettuale. Il termine “ingegneria”, nella locuzione, indica proprio questo: agire sul patrimonio genetico di un organismo vivente progettandolo, modificandolo. Il cuore dell’ingegneria genetica è, dunque, la “manipolazione”, intesa quale strumento per mezzo del quale creare nuove combinazioni di geni e determinare specifiche mutazioni. Vediamo insieme di che cosa si occupa questa affascinante scienza, a quali mondi apre e di quali tecniche si avvale.

Cos’è l’ingegneria genetica e cosa studia

Fu il biologo statunitense Rollin Douglas Hotchkiss, nel 1965, a introdurre la locuzione “ingegneria genetica”, riferendosi a quell’insieme di tecniche con le quali trasferire nella struttura della cellula di un organismo vivente alcune informazioni genetiche non presenti in essa.

E oggi, a distanza di cinquantasei anni, la definizione, divenuta più dettagliata, rimanda a quelle metodiche di laboratorio in grado di isolare e manipolare in vitro molecole di DNA, così da provocare cambiamenti nel genotipo di un determinato organismo. Il cuore dell’ingegneria genetica è, dunque, la “manipolazione”, intesa quale strumento per mezzo del quale creare nuove combinazioni di geni e determinare specifiche mutazioni.

Le più recenti applicazioni di ingegneria genetica riguardano il comparto delle biotecnologie innovative, in cui vengono utilizzati organismi viventi per ottenere sostanze e prodotti utili, ad esempio, in farmacologia e medicina, in agricoltura e zootecnia, in ambito alimentare, energia e ambiente.

Ne sono un esempio le colture microbiche in grado di produrre sostanze come l’insulina, l’interferone, l’ormone della crescita, vaccini, reagenti immunologici ed enzimi industriali. Il primo farmaco ottenuto ingegnerizzando un sistema vivente (batterico) è stata proprio l’insulina, approvata dall’Ente governativo statunitense FDA – Food and Drug Administration nel 1982.

E, ancora, i prodotti biologici ottenuti da fonti naturali, tra cui microrganismi per lo smaltimento dei rifiuti e la depurazione delle acque; microrganismi capaci di degradare inquinanti ambientali; varietà di piante e ortaggi capaci di resistere a diversi (e pericolosi) agenti esterni.

L’ingegneria genetica e la tecnica del DNA ricombinante

L’insieme delle tecniche e delle metodiche alle quali si è accennato – e che consentono di isolare e tagliare sequenze di DNA per trasferirle nel genoma di altre cellule e modificare, così, uno o più geni – è detta “tecnologia del DNA ricombinante”, il “cuore” dell’ingegneria genetica evocato poc’anzi.

Le tecnologie attuali non solo permettono di trasferire DNA – ossia geni – tra individui della stessa specie, ma anche tra specie diverse: ad esempio, è possibile trasferire geni da un batterio a una pianta o, viceversa, da una cellula vegetale a un batterio.

Dal punto di vista dell’operatività da laboratorio, la tecnologia del DNA ricombinante si fonda sull’identificazione del gene, quindi sul taglio e sull’isolamento di questo rispetto alla molecola del DNA. Seguono l’unione del gene a un vettore, a sua volta costituito da DNA, e il suo trasferimento all’interno di una cellula ricevente.

Alla radice di tali operazioni sussistono obiettivi diversi. Può esservi, ad esempio, l’esigenza del miglioramento genetico nell’organismo ricevente oppure quella di utilizzare l’organismo ricevente per clonare il gene introdotto e servirsi della cellula ospite come se fosse una “fabbrica”, una macchina per produrre molecole utili.

E se l’operazione del taglio del DNA talvolta serve solo a studiare più approfonditamente le caratteristiche dei frammenti ottenuti, più spesso è la premessa per la “ricombinazione”, che consiste – appunto – nell’unire molecole di DNA di provenienza diversa.

Attualmente, la maggior parte delle ricerche in tema di DNA ricombinante avvengono in ambito medico e sono volte alla produzione di proteine per scopi terapeutici, tra cui ormoni polipeptidici (ad esempio, insulina e cortisolo), coagulanti e trombolitici, farmaci antinfettivi e antitumorali, immunomodulatori e vaccini

Esempio di applicazione del DNA ricombinante

L’avvento dell’ingegneria genetica ha significato l’ampliamento delle conoscenze scientifiche in molti campi, tra cui quello dello studio delle malattie infettive e dell’immunologia.

In particolare, alla fine degli anni settanta, la tecnica del DNA ricombinante ha segnato l’inizio della nuova era dei vaccini, contribuendo a rispondere alle mutate esigenze che via via emergevano dai vari contesti epidemiologici.

Il primo vaccino ottenuto con la tecnica del DNA ricombinante è quello contro l’epatite B che, nel 2002, ha festeggiato il suo ventesimo compleanno. Per metterlo a punto, non è stato prodotto un DNA virale (che è potenzialmente infettivo), né particelle virali. Il che significa che questo vaccino non può causare l’infezione da virus dell’epatite B.

Ma il suo gene virale è stato clonato in un vettore che, in questo caso, è un organismo unicellulare appartenente al regno dei funghi, ovvero il comune lievito di birra. Un filamento di DNA contenente il gene dell’epatite B (HBsAg – Hepatitis B surface antigen) è stato inserito nel lievito di birra, che quindi ha prodotto l’antigene (la proteina) dell’epatite B.

Un altro esempio di vaccino sviluppato con la tecnica del DNA ricombinante è quello contro la meningite batterica, grazie al quale è stato possibile ridurre l’incidenza della malattia del 90%.

E poi il vaccino contro la pertosse, sviluppato – sempre con la tecnica del DNA ricombinante – ottenendo un ceppo del batterio capace di produrre una tossina mutata della pertosse, del tutto identica a quella del ceppo patogeno, ma priva di tossicità, che viene purificata e impiegata come vaccino.

Rispetto ai vacci tradizionali, costituiti dalle forme morte o attenuate dell’intero agente patogeno, la generazione di vaccini prodotti utilizzando la tecnica del DNA ricombinante è priva di prodotti chimici, dunque non suscita reazioni avverse e può essere prodotta in tempi piuttosto rapidi.

ingegneria genetica e tecnica del DNA ricombinante
Il primo vaccino ottenuto con la tecnica del DNA ricombinante è quello contro l’epatite B, il cui gene virale è stato clonato in un vettore appartenente al regno dei funghi: il lievito di birra.

Ingegneria genetica e biotecnologie

L’ingegneria genetica possiede in sé l’attitudine progettuale. Il termine “ingegneria”, nella locuzione, indica proprio questo: agire sul patrimonio genetico di un organismo vivente progettandolo, modificandolo.

E le biotecnologie innovative – impegnate nel creare nuovi organismi a partire dal trasferimento di geni da un organismo a un altro – si servono dell’ingegneria genetica quale strumento principe.

Ricordiamo, poi, che le biotecnologie sono nate fondendo le competenze proprie della genetica e della biologia molecolare. Decisiva fu la scoperta della struttura del DNA da parte dei biologi James Watson e Francis Crick, nel 1953, i quali identificarono in questa molecola la sede delle informazioni genetiche per la produzione di qualsiasi proteina.

Da quel momento in poi, si giunse a comprendere come il trasferimento dei geni, ovvero di quelle unità che permettono l’ereditarietà di determinate caratteristiche da una specie a un’altra, avviene grazie alla struttura in comune del DNA.

Tuttavia, i geni operano spesso in gruppi che cooperano alla definizione di una o più caratteristiche dell’organismo. Per questo motivo, non si verifica una mescolanza casuale, ma occorre individuare le funzioni di ogni specifico gene e la comprensione delle sue interazioni con gli altri geni, sia dell’organismo donatore, sia del ricevente.

Differenza tra organismi transgenici e Organismi Geneticamente Modificati

L’ingegneria genetica, oltre a isolare e a tagliare sequenze di DNA per trasferirle in altre cellule – come abbiamo visto con la tecnica del DNA ricombinante – permette anche di “alterare” la sequenza di DNA del gene originale e di produrne uno più adatto a rispondere ad esigenze specifiche, come avviene, ad esempio, con gli Organismi Geneticamente Modificati (OGM).

A questo punto, però, è importante rimarcare la sottile differenza tra organismi transgenici e quelli geneticamente modificati, spesso confusi e considerati, erroneamente, la stessa cosa.

Il termine transgenesi si riferisce all’inserimento, nel genoma di un dato organismo, di geni provenienti da un organismo di specie diversa. Sono, invece, definiti OGM quegli organismi a cui sono stati tolti dei geni o in cui il materiale genetico inserito proviene da un organismo della stessa specie.

In base alla definizione di OGM data dalla Direttiva 2001/18/CE, le metodiche di ingegneria genetica volte a creare un organismo geneticamente modificato comprendono: tecniche di ricombinazione del materiale genetico, che comportano la formazione di nuove combinazioni mediante l’utilizzo di un vettore di molecole di DNA, RNA o loro derivati; tecniche che prevedono l’introduzione diretta nell’organismo, tramite macro-iniezione o micro-incapsulamento, di materiale ereditabile; la fusione cellulare oppure tecniche di ibridazione per la costruzione di cellule che presentano nuove combinazioni di materiale genetico, ereditabile utilizzando metodi non naturali.

Gli Organismi Geneticamente Modificati, oggi, vengono utilizzati principalmente in ambito alimentare, dell’agricoltura, della medicina e dell’industria. In particolare, in campo alimentare ne sono un esempio la produzione di enzimi per il trattamento di cibi, per il miglioramento dei processi di fermentazione e delle qualità nutrizionali, tra cui un particolare tipo di riso a elevato contenuto di beta-carotene, il pomodoro a maturazione rallentata, il latte con più alto contenuto di caseina e il latte senza lattosio.

Biotecnologie e miglioramento genetico

Le biotecnologie utilizzano le tecniche dell’ingegneria genetica anche per modificare il patrimonio genetico di vegetali e animali, con l’obiettivo di “migliorare” – nell’ambito dell’agricoltura e dell’allevamento – quelle caratteristiche utili all’uomo.

I metodi finalizzati al miglioramento genetico sono sostanzialmente due: la mutagenesi e l’incrocio. Il primo è, in realtà, un fenomeno presente in tutti gli esseri viventi ed è basato su imprecisioni o errori di replicazione del genoma durante i processi di divisione cellulare. Tali mutazioni vengono, poi, sottoposte a una selezione naturale da parte dell’ambiente e, se risultate vantaggiose, vengono mantenute.

Le mutazioni – che possono interessare una singola base del DNA della pianta o dell’animale o anche intere porzioni di cromosomi – hanno portato, nel tempo, a modifiche visibili all’esterno (e non, quindi, soltanto genetiche) negli esseri viventi, di cui sono un esempio eloquente le diversità tra le varie razze canine.

A differenza della transgenesi, la mutagenesi è un insieme di tecniche che consentono di modificare il genoma di una specie vivente senza inserire DNA estraneo. Le tecniche di mutagenesi, ad esempio, hanno consentito di sviluppare varietà di sementi resistenti a erbicidi selettivi.

Un altro esempio di mutazioni indotte dall’uomo ai fini del miglioramento genetico delle piante coltivate, è rappresentato dalla varietà di frumento duro, divenuto, negli anni ottanta, una delle varietà di punta per la produzione di pasta. E poi la differenza tra mais giallo e mais bianco, riconducibile alla mutazione di un singolo gene della pianta.

L’incrocio è, invece, una tecnica di miglioramento genetico che permette di unire le caratteristiche presenti in due individui diversi, anche non appartenenti alla medesima specie, grazie al rimescolamento dei loro genomi sfruttando la riproduzione sessuale. È con tale tecnica, ad esempio, che sono stati prodotti il mulo e l’ibrido di equino, utili all’uomo nell’ambito dell’agricoltura e dell’allevamento.

ingegneria genetica e OGM
Un esempio di mutazione indotta dall’uomo ai fini del miglioramento genetico delle piante coltivate, è rappresentato dalla differenza tra mais giallo e mais bianco, riconducibile alla mutazione di un singolo gene della pianta.

Genomica e tecnologie genetiche

Se la genetica studia i geni e, più in particolare, la loro variabilità e i principi che ne regolano l’ereditarietà, la genomica è quella branca della genetica che si occupa dello studio della struttura dei geni nel contesto dell’intero genoma, inteso quale corredo di informazioni genetiche i cui componenti sono i cromosomi e i geni.

Dunque, la genetica guarda ai singoli geni, mentre la genomica cerca di fotografarne l’immagine complessiva, esaminando l’insieme dei geni e delle loro caratteristiche, il modo in cui le diverse parti del genoma interagiscono e la sua evoluzione.

La genomica ha origini molto più recenti rispetto alla genetica. Precisamente, nasce negli anni ’80 con il sequenziamento completo del genoma di un virus. Il primo sequenziamento del genoma di un organismo vero e proprio, invece, si ha nel 1995 e si tratta di un batterio.

Si deve alla genomica la completa mappatura del genoma umano, conclusasi nel 2001, in seguito alla quale le conoscenze genetiche hanno iniziato a essere applicate all’ambito medico e alla pratica clinica, portando all’avvento di studi predittivi sull’incidenza di una data patologia su un campione o su un individuo rispetto alla popolazione generale, col fine di definire il rischio di sviluppare quella malattia.

Tra gli obiettivi della genomica, l’allestimento di complete mappe genetiche del DNA degli organismi viventi, da inserire in appositi database dove i diversi genomi vengono comparati.

Ma perché è importante conoscere la sequenza del genoma umano? Innanzitutto per studiare l’evoluzione della specie, la variabilità genetica nell’uomo e identificare le correlazioni esistenti tra le informazioni contenute nel genoma e la predisposizione a eventuali patologie, soprattutto quelle complesse, tra cui quelle neurodegenerative, cardiovascolari e del metabolismo. Cogliere questa correlazione, consente, inoltre, la definizione di trattamenti farmacologici personalizzati.

Le tecnologie di sequenziamento del DNA

Come le biotecnologie, anche la genomica si avvale delle tecniche di ingegneria genetica, tra cui il clonaggio dei geni e il sequenziamento del DNA. In particolare, le tecnologie di sequenziamento di ultima generazione prevedono la rottura dell’intero genoma in piccoli segmenti, il sequenziamento di tali segmenti e, infine, il riassemblaggio delle sequenze utilizzando tecniche di calcolo intensivo, allo scopo di fornire la sequenza delle basi dell’intero genoma o per regioni più limitate.

Attraverso questa tecnologia è possibile identificare variazioni singole o multiple nelle basi del genoma, nonché aree in cui mancano delle basi o in cui le basi sono inserite in un sito sbagliato. A che cosa serve, nel concreto, questa metodica di sequenziamento? Rilevare con precisione variazioni singole, minime e così specifiche, aiuta a diagnosticare eventuali disturbi genetici.

Le tecnologie di sequenziamento di ultima generazione possiedono una sensibilità tale da consentire ai medici di rilevare il DNA del feto analizzando un campione di sangue prelevato dalla madre. E permettono di analizzarlo per stabilire, ad esempio, se il feto è affetto dalla sindrome di Down.

Il lato oscuro di tale tecnologia è dato dall’enorme mole di informazioni generate dall’analisi del genotipo. E questo porta con sé una serie di problematiche che, non di rado, rendono difficile la comprensione e l’interpretazione dei risultati.

Terapia genica ed editing genomico

La terapia genica è un filone di ricerca inaugurato negli anni Ottanta, sull’egida del progresso delle metodiche di ingegneria genetica che, in quegli anni, iniziavano a sperimentare tecniche di clonaggio e di sequenziamento del DNA

L’aspetto rivoluzionario della terapia genica consiste nel trasferimento di uno o più geni sani in una cellula malata, al fine di curare la patologia causata dall’assenza o dal difetto di uno o più geni.

Finora questa terapia ha portato risultati significativi nella cura di alcune malattie genetiche, tra cui alcune forme di immunodeficienze e di talassemia, oltre che di alcuni tipi di tumore. E, ad oggi, grazie alla messa a punto di una nuova tecnica di ingegneria genetica, la terapia genica è ancora più precisa e puntuale.

Stiamo parlando dell’editing genomico, tecnica che permette di intervenire in maniera precisa per trovare e correggere gli errori genetici nel DNA anche a livello di una singola lettera. Una sorta di “correttore” del DNA, insomma, cheinterviene in maniera precisa per individuare e correggere gli errori genetici all’interno del genoma stesso.

La rivoluzione arriva nel 2012, con la scoperta del sistema CRISPR-Cas9, acronimo di Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats-Cas9, ossia – letteralmente – sequenze geniche che si ripetono a intervalli regolari, a cui sono associati dei geni Cas che codificano enzimi capaci di tagliare il DNA.

Si tratta di un sistema presente, in modo naturale, in molti batteri e che consente di modificare qualsiasi tipo di cellula vegetale e animale – uomo incluso – anche a livello di singola lettera.

Dunque, a partire dal 2012, scienziati di tutto il mondo hanno cominciato a studiare le potenziali applicazioni terapeutiche dell’editing genomico in numerosi ambiti, in particolare in quello medico – diagnostico e terapeutico – a cominciare dalle malattie genetiche come distrofia muscolare e fibrosi cistica, per arrivare ai tumori, alle malattie neurologiche come l’Alzheimer e il Parkinson, fino alle malattie infettive come l’AIDS.

ingegneria genetica editing genomico
La tecnica dell’editing genomico è una sorta di “correttore” del DNA, che interviene in maniera precisa per individuare e correggere gli errori genetici all’interno del genoma stesso.

Ingegneria genetica: pro e contro

Manipolare il DNA di organismi viventi, creare incroci, mutazioni e nuove combinazioni di geni, entrare nel genoma per correggerlo: l’uomo ha superato le colonne d’Ercole della biologia? E questo è un bene o un male? Ed è sufficiente partire dall’assunto in base al quale, se le tecniche di ingegneria genetica sono al servizio dell’umanità, sono “buone”?

Il dibattito attorno a queste domande è di proporzioni mondiali e pone, per quanto riguarda, in particolare, l’utilizzo della terapia genica e della tecnica dell’editing genomico in ambito medico, questioni bioetiche.

Iniziamo col dire che le biotecnologie tradizionali includono – senza che, a quell’epoca, se ne avesse alcuna cognizione – tecnologie che da millenni hanno a che fare con la manipolazione di batteri e di lieviti.

Basti pensare che la lievitazione del pane risale al 4000 a.C. e la produzione di formaggio e yogurt al 3000 a.C. E alla metà dell’Ottocento, con Louis Pasteur, si comprese l’origine delle fermentazioni, arrivando a individuare i batteri e i lieviti responsabili di alcuni processi nella trasformazione di sostanze alimentari.

Se guardiamo, oggi, alle biotecnologie innovative in ambito agroalimentare e dell’allevamento degli animali, ci accorgiamo che le “missioni” che si propongono hanno un valore che va oltre la materia e il profitto.

Intervenire sugli organismi vegetali e animali modificandoli – per mezzo di tecniche di ingegneria genetica quali DNA ricombinante, transgenesi, incrocio, clonaggio e, in ultima analisi, tramite l’editing genomico – significa creare organismi più resistenti agli agenti patogeni, più resistenti alle condizioni ambientali e climatiche severe e meno dipendenti da fertilizzanti chimici, contribuendo, in questo modo, al miglioramento dell’efficienza produttiva, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, e a far fronte alle sfide globali della fame e della malnutrizione.

Tra i contro, il fatto che, ad oggi, non si conoscono gli eventuali effetti, sull’essere umano, dei cibi transgenici e dei cibi geneticamente modificati. E sono diverse le preoccupazioni riguardo all’impoverimento dei principi nutritivi contenuti in tali alimenti e alle possibili allergie che ne potrebbero derivare.

Un altro dubbio riguarda l’eventuale alterazione degli equilibri ambientali dovuta alla produzione di OGM, nel caso in cui, ad esempio, in seguito alla presenza di un certo tipo di vegetale geneticamente modificato, si dovesse avere, come conseguenza diretta, la riduzione della varietà delle piante e, conseguentemente, la riduzione di molte specie di insetti che si nutrono dei loro semi, con il risultato di impoverire il patrimonio naturale del pianeta.

Sul tema OGM, la regolamentazione UE in materia agricola e di salute alimentare è molto rigida: nei Paesi europei è vietato coltivare prodotti OGM, se non a scopo sperimentale e di studio. Ne è consentita solo l’importazione, a patto, però, che venga rispettata la normativa che impone la valutazione del rischio, la tracciabilità e l’etichettatura di tutti gli organismi geneticamente modificati in ingresso nei Paesi dell’Unione.

In particolare, il Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza del 2000 – ratificato a giugno del 2020 e recepito, in Europa, dalla direttiva 2001/18/CE – contribuisce ad assicurare un adeguato livello di protezione nel campo del trasferimento, della manipolazione e dell’uso in condizioni di sicurezza degli organismi ottenuti con le moderne biotecnologie.

Le questioni bioetiche legate all’editing genomico

In ambito medico, le terapie avanzate pongono sempre quesiti cruciali. In particolare, dopo l’annuncio, a marzo del 2019, da parte di un biofisico cinese, della nascita di due gemelle con genomi modificati, il mondo della ricerca ha iniziato a interrogarsi sul futuro dell’editing genomico e sui possibili impatti della vicenda su questo campo di studi.

Se, tramite il sistema CRISPR-Cas9, fosse davvero possibile intervenire liberamente sulle cellule germinali, arrivando a modificare caratteristiche somatiche dell’embrione, si porrebbero sul tavolo questioni urgenti relative alle implicazioni etiche, scientifiche, legali e sociali di tale linea.

Ma che cosa è accaduto dopo quell’annuncio? L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha istituito un’apposita commissione – denominata WHO Expert Advisory Committee on Developing Global Standards for Governance and Oversight of Human Genome editing – col fine preciso di formulare un quadro di norme per la governance dell’editing genomico.

E diciotto esperti a livello mondiale, tra scienziati e bioeticisti, con un appello pubblicato su Nature il 13 marzo 2019, hanno invitato tutti i Paesi del mondo ad aderire a una sospensione di almeno cinque anni delle ricerche sulla manipolazione delle cellule germinali per valutare tutte le implicazioni di tali sperimentazioni e mettere a punto un quadro normativo internazionale, con conseguente assunzione di responsabilità da parte della comunità scientifica mondiale.

Tra i firmatari dell’appello, anche Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica e membro del Comitato Scientifico di Osservatorio Terapie Avanzate.

In merito alla questione, una posizione di equilibrata apertura è stata assunta dal Consiglio Etico Tedesco, con un’indagine riguardante i possibili interventi di editing genomico su embrioni umani e cellule germinali.

Quello che è importante sottolineare di tale punto di vista, è il fatto che, allo stato attuale delle conoscenze, gli interventi sulle cellule germinali sono “eticamente irresponsabili”. Ma questo non esclude che, in futuro, previa istituzione di procedure di supervisione sia a livello nazionale che internazionale, e con l’applicazione di misure di sicurezza tali da ridurre al minimo ogni possibile rischio, l’editing genomico su embrioni umani non possa essere considerato legittimo dal punto di vista etico, nel caso in cui si intervenga per eliminare alcune malattie ereditarie o per ridurre i rischi associati a patologie multifattoriali.

Che cosa significa nel concreto? Che quando le procedure saranno sicure ed efficienti, e solo all’interno di un puntuale quadro normativo, sarà possibile intervenire con la tecnica dell’editing genomico per migliorare la salute dei nuovi nati, ad esempio correggendo il gene che causa la fibrosi cistica.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin