Roberto Defez, ricercatore presso l’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del CNR di Napoli e membro del Comitato Etico di Fondazione Umberto Veronesi, ci guida in una riflessione appassionata e puntuale in tema di innovazione riferita alle biotecnologie agroalimentari, sposando un atteggiamento teso all’equilibrio e attento ai timori e alle preoccupazioni dei consumatori.
L’innovazione, l’evoluzione della ricerca, le conquiste in ambito tecnico-scientifico, specie quelle che hanno scandito l’ultimo decennio, possiedono un’ampia zona d’ombra, data dalla paura da parte di chi dovrà, poi, fruire del frutto delle nuove invenzioni. E, in taluni settori, il rischio che tale paura si trasformi in un limite ai cambiamenti positivi, a quelle trasformazioni benefiche che il progresso porta con sé, è sempre più fatto concreto.Osserva Roberto Defez, ricercatore presso l’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del CNR di Napoli – dove dirige il gruppo di ricerca di biotecnologie microbiche – e membro del Comitato Etico di Fondazione Umberto Veronesi:
«Esiste un diffuso sentimento di paura nei confronti dell’innovazione. Sentimento dal quale l’Italia e il resto d’Europa sono estremamente influenzabili. Immaginiamo che, di qualunque innovazione si tratti, questa debba comportare dei pericoli per l’essere umano»
E l’utilizzo delle biotecnologie in agricoltura non sfugge a questo sentire. Per quanto riguarda questo specifico comparto – prosegue il professore – la paura e la preoccupazione del “nuovo” inducono addirittura a omettere, nel dibattito pubblico, tutti quegli impatti positivi correlati, ad esempio, alle colture rese più resistenti agli agenti patogeni per mezzo delle recenti tecniche di ingegneria genetica, tra cui l’abbandono dell’uso di prodotti chimici per la loro protezione, nonché per renderle più fertili, e la riduzione delle emissioni di gas serra che ne conseguirebbe.
La paura, dunque, ci impedisce di guardare in faccia l’innovazione. La guardiamo di sbieco, perdendone la visione di insieme. Al punto che, sotto il profilo della riflessione di carattere etico – sottolinea Defez – c’è soltanto un aspetto che, in questo ambito, viene osservato, analizzato e discusso, ossia quello relativo ai “problemi” causati dall’impiego delle biotecnologie in agricoltura, ignorandone in toto i numerosi benefici. «Il che, in senso metaforico, equivale ad azzerare metà della propria capacità visiva, ad annullare lo sguardo ampio sulla realtà. Perché, semmai, in agricoltura, oggi, quello che andrebbe considerato sono le questioni etiche derivanti dal “non” utilizzare le biotecnologie».
Biotecnologie in agricoltura: l’insegnamento che proviene dal dibattito sugli OGM
In materia di biotecnologie applicate in agricoltura, ci troviamo di fronte a uno scenario in cui, da un alto, vi è una comunità scientifica che comunica poco (e che «spesso balbetta», fa notare lo scienziato), mentre, dall’altro lato, chi diffonde paura tra i non addetti ai lavori possiede un vastissimo campo di ascolto. Perché è proprio la paura la leva che – dal punto di vista psicologico – attrae maggiormente il lettore e l’ascoltatore. Temi rassicuranti, che non allarmano, in realtà scivolano via in maniera estremamente rapida.
«Assistiamo, da sempre, a un inseguimento dei timori dei consumatori, stimolati, infervorati dai media nell’immaginare che esista una natura buona, pulita e “giusta” che non va toccata, che non va modificata, con, addirittura, il ricorso a principi etici riferiti alla produzione di alimenti che, di naturale, non hanno nulla, in quanto tutto quello che mangiamo è selezionato dall’essere umano per alimentare l’essere umano, quindi è l’opposto della selezione naturale. È la selezione fatta dai predatori delle piante».
Il lungo e passato dibattito (oggi dimenticato dai media) sulle colture geneticamente modificate (OGM) dovrebbe averci insegnato che occorre equilibrio nel porre a confronto posizioni diverse sulle tematiche riguardanti gli interventi sul DNA delle colture.
E che va individuato sul nascere ogni nodo e contraddizione (si ricorda che l’UE non ha mai approvato la coltivazione di piante OGM, ma continua ad autorizzarne l’importazione), favorendo una comunicazione che includa tutti gli attori e tutte le diverse posizioni.
L’importanza del ruolo di chi non ha interessi commerciali in materia
Nessuno pensa che qualsiasi tecnologia vada applicata senza compiere analisi approfondite circa i suoi impatti negativi e positivi, precisa Defez. Analisi che devono tenere conto – accogliendole – delle ansie, delle preoccupazioni e delle sensibilità del pubblico, ma facendolo in maniera avulsa dagli interessi attorno alle diverse posizioni, come invece è accaduto in tema OGM, con interessi monumentali creatisi, nel tempo, sia relativi all’utilizzo di colture geneticamente modificate, sia di colture non geneticamente modificate, «con, in gioco, partite economicamente mostruose».
Il confronto privo di equilibrio genera – per l’appunto – situazioni paradossali, come quella che vede «vietare in tutta Europa (compreso il nostro paese) la coltivazione di soia geneticamente modificata resistente a un solo erbicida, mentre assistiamo passivi alla coltivazione di soia non geneticamente modificata, sulla quale vengono applicati dai cinque ai sette erbicidi, uno dei quali è l’erbicida che avremmo potuto usare come unico sulla soia OGM».
Chi – memore di quanto accaduto in passato nell’ambito del dibattito pubblico sugli OGM – dovrebbe tenere la barra dritta e garantire un equilibrio nella gestione della comunicazione in tema di biotecnologie in agricoltura, sono i decisori, ovvero i politici, il mondo della ricerca scientifica pubblica – comprendente le componenti etiche e umanistiche al loro interno – e quanti non hanno interessi commerciali legati all’una o all’altra tecnologia, ribadisce il professore.
Ai comitati etici, in particolare, spetta il compito di valutare tutte le opzioni e di accogliere le paure dei consumatori, «ma per analizzarle in profondità, non per volarci sopra in maniera superficiale. Per accompagnarle, essere da guida al loro superamento, sottolineando le opportunità e i vantaggi delle innovazioni tecnologiche».
Biotecnologie in agricoltura: la ricerca spinge verso l’abbattimento dell’utilizzo di agrofarmaci
L’applicazione delle biotecnologie in agricoltura, oggi, punta ad abbattere l’utilizzo di tutti quegli agrofarmaci dannosi per l’ambiente, perché ottenuti attraverso sintesi chimica oppure ricorrendo ai metalli pesanti come il rame. Obiettivo, questo, che si tradurrebbe nella possibilità – spiega il ricercatore – di produrre riso, pomodori, mele, viti e altri prodotti senza bisogno dell’uso intensivo di fungicidi.
«L’Italia consuma il 22% di tutti i fungicidi utilizzati in Europa. Ma potrebbe scendere al 2% se venissero compiute scelte che guardano alle tecnologie biotech con equilibrio, analizzandone tutti gli impatti. Ecco, la scelta è esattamente in questi termini: ci interessa continuare a riempire i nostri campi, le nostre colline, di un metallo pesante come il rame – perché questa è la base dei fungicidi utilizzati in agricoltura – oppure vogliamo evitate l’utilizzo di agrofarmaci inquinanti apportando miglioramenti genetici alle colture, intervenendo con tecnologie di editing genomico come il CRISPR-Cas9, che ci consente di produrre le stesse colture ma semplicemente non aggredibili dai funghi che le devastano?»
questa è la scelta che andrebbe compiuta – rimarca Defez – portando all’attenzione di noi tutti come, dopo decenni di trattamenti con il rame, i suoli diventano completamente sterili, incapaci di produrre.
Ricordiamo – per concludere – che il sistema di editing genomico CRISPR-Cas9 è in grado di tagliare con precisione un DNA bersaglio all’interno del genoma di una cellula animale, umana o vegetale: il taglio viene eseguito in un punto specifico grazie all’utilizzo di una “guida”, ossia di una breve sequenza di RNA complementare al segmento del gene in questione, e permette di eliminare sequenze di DNA e di sostituirle con altre, andando così a modificare il genoma o a correggere eventuali mutazioni dannose.
In particolare, relativamente agli organismi vegetali, le modificazioni di parti della sequenza del DNA permettono – come accennato – lo sviluppo di varietà di piante più resistenti agli agenti patogeni e alle diverse condizioni ambientali e climatiche, oltre che più ricche di principi nutritivi.
«L’editing genomico non aggiunge geni o DNA da altri organismi, ma corregge i difetti di quello della pianta, esattamente come farebbe una mutazione casuale. Le mutazioni casuali, abitualmente, le chiamiamo “biodiversità”. E la desinenza “diversità” significa mutazione. Ecco, con l’editing genomico si aumenta e migliora la biodiversità: un vantaggio per tutti».