The Global Risks Report 2023 del World Economic Forum sui rischi globali percepiti fa un quadro ampio dell’impatto che il cambiamento climatico ha su molteplici sfere e ambiti, analizzando come questi, a loro volta, siano legati tra loro.
Gli impatti del cambiamento climatico e, più in particolare, le minacce alla biodiversità e agli ecosistemi che ne derivano, sono tra i grandi temi al centro del The Global Risks Report 2023 del World Economic Forum (WEF) che, tramite la Global Risks Perception Survey – condotta dal 7 settembre al 5 ottobre 2022 – ha raccolto una serie di dati sui rischi globali percepiti, compresi quelli riferiti all’ambiente e al clima.
In particolare, l’indagine di questa edizione (focalizzata su molteplici tematiche, tra cui, solo per citarne alcune, la sicurezza dei dati e il diritto alla privacy e la salute pubblica globale) ha visto il coinvolgimento di oltre 1.200 esperti in tutto il mondo, comprese autorità in ambito accademico, delle imprese, dei Governi, della comunità internazionale e della società civile.
Ricordiamo che, all’interno del Report, il “rischio globale” viene definito come «la possibilità che si verifichi un evento o una condizione che, se avessero luogo, avrebbero un impatto negativo su una parte significativa del PIL globale, della popolazione o delle risorse naturali». Ma diamo ora uno sguardo a quanto emerso dalla Survey globale in tema di cambiamento climatico e biodiversità.
Perdita di biodiversità e collasso degli ecosistemi: c’è scarsa percezione del loro legame diretto col cambiamento climatico
Si stima che, a causa del cambiamento climatico, la biodiversità – all’interno e tra gli ecosistemi – stia già diminuendo più rapidamente che in qualsiasi altro momento della storia umana: è questo il dato principe posto in evidenza dagli analisti del WEF.
Eppure, diversamente da quanto accade quando si parla di altri rischi ambientali, la perdita di biodiversità e il conseguente collasso degli ecosistemi non vengono immediatamente percepiti da coloro che hanno preso parte al sondaggio come una «preoccupazione urgente a breve termine».
E questo perché sfugge la loro diretta correlazione con gli effetti del cambiamento climatico in corso, avvertendoli come fenomeni a sé stanti e non considerandoli parte di un ampio mosaico i cui pezzi sono correlati.
Basti un esempio di tale correlazione: l’incrocio, nei prossimi dieci anni, tra cambiamento climatico, perdita di biodiversità e fattori quali inquinamento e consumo di risorse naturali, avrà conseguenze molto gravi – a livello globale – sotto il profilo economico e sociale, dal momento che più della metà della produzione economica mondiale dipende dalla natura.
Le conseguenze a cascata riguarderanno, in primis – sottolineano gli autori – il calo dei raccolti e del loro valore nutritivo, un’ulteriore riduzione delle disponibilità di risorse idriche (letale per quelle aree già fragili sotto questo punto di vista), inondazioni sempre più marcate, innalzamento del livello del mare, l’ «erosione dovuta al degrado dei sistemi naturali di protezione dalle inondazioni come le praterie acquifere e le mangrovie costiere» e, infine, un aumento delle malattie trasmesse (direttamente o indirettamente) dagli animali all’uomo.
«Nel mondo animale, le ondate di calore e la siccità dovute al cambiamento climatico stanno già causando eventi di mortalità di massa. Un solo giorno caldo, nel 2014, ha ucciso più di 45.000 volpi volanti in Australia), mentre l’innalzamento del livello del mare e le forti tempeste hanno causato le prime estinzioni di intere specie» si legge nel Report.
Ma, ad essere ritenuti dagli intervistati «i più a rischio nel breve termine» sono il ghiaccio marino artico, le barriere coralline di acqua calda e gli ecosistemi terrestri, seguiti da foreste, alghe ed ecosistemi di alghe.
Cambiamento climatico e perdita di biodiversità: la questione della sicurezza alimentare
In tema di cambiamento climatico e perdita di biodiversità, c’è un altro grosso problema, legato alla disponibilità degli approvvigionamenti alimentari in linea con i principi e le garanzie della sicurezza alimentare.
Accade – fanno notare gli analisti del World Economic Forum – che, in agricoltura, specie nei paesi densamente popolati, le metodologie più naturali, prive di agrofarmaci ottenuti con sintesi chimica, facciano sempre più fatica ad essere commercialmente competitive con le pratiche agricole intensive e incentrate sul rendimento. Il che, unito agli incentivi statali per aumentare la produzione locale e ridurre la dipendenza dalle importazioni, pone il rischio di un impatto negativo sulla conservazione dell’ecosistema, in un circolo vizioso di causa ed effetto:
«La biodiversità contribuisce alla salute e alla resilienza del suolo, delle piante e degli animali, e il suo declino mette a rischio sia i rendimenti della produzione alimentare che il valore e la sicurezza nutrizionale»
commentano gli autori. E la tecnologia potrà fornirà soluzioni – anche se parziali – solo nei paesi che possono permetterselo. Ad esempio, si prevede che «il mercato globale dell’agricoltura verticale crescerà a un tasso annuo del 26% e raggiungerà i 34 miliardi di dollari entro il 2033». E i paesi che, invece non possono permetterselol
Nei paesi in via di sviluppo, la soluzione tesa alla conservazione della biodiversità e dell’ecosistema potrebbe provenire da finanziamenti agevolati più estesi e dalla ristrutturazione del debito nei confronti dei paesi industrializzati.
«Ben 58 paesi in via di sviluppo esposti al cambiamento climatico (in primo logo siccità e desertificazione) e a problemi di sostenibilità alimentare, hanno quasi 500 miliardi di dollari di debito da estinguere nei prossimi quattro anni: ebbene, questa cifra potrebbe essere impiegata in tecnologie e soluzioni volte a farvi fronte» osservano gli analisti del WEF.
Le infrastrutture per l’energia green e i loro impatti (ancora poco noti) sull’ambiente
Un ruolo centrale nella lotta al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità ce l’ha la transizione verso l’energia pulita, che comporta l’abbandono dei combustibili fossili e la conseguente riduzione dell’impronta di carbonio.
Tuttavia, gli esperti coinvolti nella Global Risks Perception Survey 2023 del Word Economc Forum osservano che anche le infrastrutture per le energie rinnovabili nascondono impatti indesiderati sugli ecosistemi in cui vengono installate. Impatti di cui, al momento, non si conosce ancora esattamente la portata, anche per la possibilità limitata di testarle “sul campo”.
In particolare, i parchi fotovoltaici, i parchi eolici su terra e i parchi eolici offshore «potrebbero essere causa di degrado ambientale come la perdita di habitat, l’inquinamento elettromagnetico, l’introduzione di specie non indigene e le modifiche ai modelli migratori degli animali», tutti fenomeni ancora oggetto di studi e di approfondimenti.
Il problema è che, data l’urgenza di soluzioni per la mitigazione dei cambiamenti climatici, in alcuni casi si sta incentivando la diffusione di tecnologie i cui test e i cui protocolli – sono per ragioni di tempo – meno rigorosi.
Un’altra osservazione contenuta nel Report è relativa all’impennata della domanda di metalli (soprattutto nichel e rame) necessari a fare funzionare le tecnologie correlate alle energie rinnovabili (tra cui le batterie per l’alimentazione).
Purtroppo «queste risorse sono spesso concentrate in paesi con una cattiva governance dell’estrazione mineraria, spesso illegale o con normative ambientali e sociali meno rigorose, aumentando così la probabilità di una distruzione più diffusa degli ecosistemi» spiegano gli autori.
Ad esempio, l’estrazione di elementi delle terre rare in Myanmar e nella Repubblica Democratica del Congo ha già causato una diffusa deforestazione, la distruzione dell’habitat di specie in via di estinzione e l’inquinamento delle acque.
Quali possibili soluzioni?
In tema di cambiamento climatico e perdita di biodiversità, oggi si rendono urgenti un’integrazione di sforzi diversi, intervenendo anche con modifiche al sistema alimentare globale e ai modelli di consumo e di produzione.
Il che comporta il riallineamento degli incentivi e l’aggiornamento delle strutture di governance. Ma i primi segnali in questa direzione ci sono, evidenziano gli autori. Tra questi, la Taskforce on Nature-related Financial Disclosures (TNFD), che verrà lanciata entro la fine del 2023 a supporto delle organizzazioni nella valutazione dei rischi delle loro attività sulla natura e l’ambiente.
Nel Report del WEF viene anche ricordata la quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità (COP 15), tenutasi a Montréal dal 7 al 19 dicembre 2022, che ha portato all’accordo Montreal-Kunming, «stabilendo nuovi obiettivi globali per il 2030, come la riforma dei sistemi di sussidi dannosi per l’ambiente e il ripristino del 30% degli ecosistemi degradati del pianeta».
Questi passi significativi confermano che la comunità globale riconosce i rischi del cambiamento climatico ai danni della biodiversità, dell’ecosistema, della produzione alimentare e della generazione di energia e che è consapevole del fatto che gli impatti su questi ambiti differenti non possono essere affrontati isolatamente. Esiste un’interdipendenza tra loro.
«E sebbene la relazione tra clima e natura accresca la probabilità di una serie di cicli di feedback crescenti e potenzialmente irreversibili, può ugualmente essere sfruttata per ampliare l’impatto delle attività di mitigazione del rischio».