Un interessante studio dell’Università del Delaware, negli USA, pone l’accento sull’importanza di un’idonea infrastruttura per il raggiungimento degli obiettivi inerenti alla produzione di energia eolica offshore.
TAKEAWAY
- Oltre alle lungaggini dell’iter relativo alle autorizzazioni, il settore dell’eolico offshore risente della mancanza di infrastrutture in linea con le aumentate dimensioni delle turbine, necessarie a costruire, assemblare, movimentare e a caricare sulle navi per l’installazione tutti i componenti.
- Quattro le tipologie di strutture funzionali ai progetti eolici offshore, tra cui i piccoli porti per navi da ricognizione, i porti per la produzione (estesi fino a 25 ettari, sia per l’area cantiere che per la fabbrica), i porti di smistamento (i più strategici) e le aree per le operazioni di manutenzione.
- Gli Stati Uniti sono un chiaro esempio di come l’insufficienza numerica e l’inadeguatezza delle infrastrutture per parchi eolici offshore rallenti la crescita del mercato e, insieme, il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione.
Trattare di turbine eoliche (o, in gergo, di “pale eoliche”) destinate ai parchi offshore rimanda immediatamente agli urgenti obiettivi globali di decarbonizzazione e di progressivo abbandono dell’utilizzo dei combustibili fossili, a favore delle fonti di energia rinnovabili, per giungere, nel 2050, al traguardo Net Zero, ossia a economie mondiali sostenibili a “emissioni nette zero”.
Riguardo all’andamento del mercato globale delle rinnovabili, il rapporto 2021 dell’International Energy Agency (IEA) ci restituisce una fotografia dai toni chiari. Buone, in particolare, le previsioni entro il 2026, con +60% di produzione di energia pulita rispetto al 2020 (fino a oltre 4.800 GW) e con India, Europa e Stati Uniti che, insieme, rappresenteranno, l’80% dell’espansione globale del settore.
Zoomando, invece, sul sistema energetico italiano, l’analisi condotta da ENEA per il primo trimestre 2022 è meno felice, rilevando emissioni di CO2 in aumento di oltre l’8% sul primo trimestre 2021, un calo del 29% dell’indice della transizione energetica ISPRED (Sicurezza Prezzi Energia Decarbonizzazione ) e una «contrazione delle rinnovabili, (-0,7 Mtep, -10% tendenziale), nonostante il risultato positivo di solare ed eolico (+11% tendenziale)».
Riguardo, nello specifico, a quest’ultimo, il presidente ANEV (Associazione Nazionale Energia del Vento), Simone Togni, in un’intervista rilasciata a Tech4Future, evidenzia come il potenziale eolico nazionale, al 2030, sia pari a 19,3 GW, «ma siamo ancora indietro nell’installato».
Secondo l’ultima statistica annuale di WindEurope, riportata da ANEV, «Europa e Italia non stanno installando eolico a sufficienza per raggiungere i propri target climatici ed energetici». Più precisamente, «…la UE ha realizzato solo 11 GW di nuovi impianti eolici nel 2021 e installerà 18 GW all’anno tra il 2022 e il 2026 ma, per raggiungere i target europei al 2030, si dovranno installare almeno 30 GW annuali».
Turbine eoliche per installazioni offshore: attenzione alle infrastrutture
Se, in generale – come sottolinea Togni – il settore dell’energia eolica, in Italia, incontra delle difficoltà che riguardano, in primis, la macchina delle autorizzazioni (cinque anni e mezzo per giungere alla conclusione dell’iter), con la questione centrale relativa al nodo delle soprintendenze, il segmento dell’eolico offshore (certamente meno maturo rispetto all’onshore), presenta ulteriori problematiche, tra cui quella sulla quale si focalizza lo studio a cura del College of Earth Ocean and Environment e del Center for Research on Wind, entrambi dell’University of Delaware, in USA – descritto in un articolo dal titolo “Marshaling ports required to meet US policy targets for offshore wind power” – che fa luce sull’infrastruttura necessaria al raggiungimento degli obiettivi in tema di energia eolica offshore.
Gli autori partono da una considerazione ben precisa, che ha a che vedere con l’evoluzione, negli ultimi anni, delle dimensioni delle turbine eoliche e dei loro componenti che, a loro volta:
«… determinano le dimensione dell’infrastruttura correlata, necessaria a costruire e ad assemblare tutti gli elementi, a caricarli sulle navi deputate all’installazione in mare aperto e a tenerne in deposito alcuni per tutta la durata del progetto»
L’esempio che viene citato è quello di Vindeby, uno dei primi progetti di eolico offshore – installato nel 1991 al largo dell’isola danese di Lolland e in funzione fino al 2017 – consistente di in «undici turbine montate sul fondo del mare, in acque poco profonde vicino alla costa, ognuna delle quali ha prodotto 0,45 MW di potenza, con la torre che raggiungeva i 37 metri dalla linea di galleggiamento al mozzo e la lunghezza della pala di 17 metri»
All’epoca, le turbine vennero prodotte in fabbriche attive nell’eolico onshore, movimentate tramite trasporto convenzionale e smistate da un porto convenzionale utilizzando navi non specializzate.
Dal 2017, anno che ha visto la chiusura del parco eolico offshore danese, ad oggi, con un nuovo progetto da 800 MW a 1,2 GW di potenza (oltre 160 volte la potenza di Vindeby) e circa 83 pale da 107 metri e 55 tonnellate ciascuna, che necessitano di una gru d’alto mare per essere movimentate.
«Data l’evoluzione della tecnologia delle turbine – spiega il team – le specifiche originali dell’infrastruttura che erano sufficienti alla costruzione di Vindeby, sono inadeguate a un moderno progetto di eolico offshore. Oggi, un’installazione da 1 GW ha bisogno di un porto in grado di ricevere, immagazzinare, spostare, assemblare, caricare su una nave di installazione e dispiegare in mare 83 turbine di oltre cento metri, nell’arco di 18-24 mesi».
Quali tipi di porti eolici offshore?
Nello studio in tema di turbine eoliche destinate a parchi offshore, gli autori rimarcano l’importanza, per tutto il ciclo di vita del progetto, di quattro tipi di porti.
Tra questi, figurano innanzitutto i piccoli porti per navi da ricognizione, utilizzate per indagini sulla fauna selvatica, la scansioni del fondale marino e sondaggi geotecnici prima della messa a punto del progetto.
Occorrono, poi, i porti per la produzione (fino a 25 ettari, sia per l’area cantiere che per la fabbrica) che, date le dimensioni sempre più grandi di pale e componenti, necessitano di essere ubicati all’interno o direttamente adiacenti al porto in questione, in modo che tutti i componenti finiti posano essere facilmente spostati in banchina e caricati direttamente su una nave da trasporto per il trasferimento, a loro volta, al porto di smistamento.
È in quest’ultimo che verranno raccolti, immagazzinati e preparati prima dell’installazione in mare aperto. «I porti di smistamento possiedono i requisiti spaziali più impegnativi di tutti i tipi di porti per l’eolico offshore. Gli Stati Uniti soffrono di un ritardo di questo settore dovuto proprio alla mancanza di infrastrutture di questo genere. I porti di smistamento esistenti sono piccoli – soprattutto se paragonati a quelli europei – ed esacerbano le inefficienze logistiche, con il conseguente aumenti dei costi. E, aspetto ancora più critico, non saranno utili man mano che le turbine aumenteranno di volume e la tecnologia andrà verso un maggiore assemblaggio in porto» osservano i ricercatori.
I porti per le operazioni di manutenzione hanno, invece, una portata geografica inferiore rispetto agi altri. Solitamente, si avvalgono di alcune imbarcazioni per visite giornaliere alle installazioni in mare aperto.
«Tuttavia, in futuro, con progetti sempre più lontani dalla costa, si passerà a porti O&M più grandi e a una nave per le operazioni di servizio ormeggiata sul sito del progetto per più giorni, con a bordo un equipaggio che assiste uno o più progetti eolici offshore».
Turbine eoliche per progetti offshore: il futuro è maxi
Lo studio dell’University of Delaware prende in esame, in particolare, le infrastrutture degli Stati Uniti, rilevando come i porti di smistamento esistenti nel paese, le aree di assemblaggio per la costruzione e la movimentazione di turbine eoliche offshore siano insufficienti e strutturalmente inadeguate a soddisfare – entro il 2030 – gli impegni fissati dall’Amministrazione Biden. E l’area portuale di smistamento attualmente disponibile sarà in grado di soddisfare meno della metà della domanda prevista entro il 2050.
«La quantità di area di smistamento che abbiamo è troppo piccola e l’area pianificata non sarà sufficiente, creando un deficit significativo che avrà conseguenze sulla crescita dell’industria eolica offshore» notano gli autori.
Esistono, certo, altri siti più grandi nelle vicinanze dei porti, ma non sono stati concepiti per ospitare progetti di eolico offshore: hanno attualmente usi di altro genere oppure si tratta di aree non edificate, che richiedono ingenti investimenti per renderli porti adatti alla costruzione, all’assemblaggio e alla movimentazione delle pale eoliche e dei loro componenti.
Anche se la situazione in Europa – e, più nello specifico, in Italia – è, in questo momento, differente, rimane la criticità rappresentata da turbine dalle taglie maxi, che sembra segnare il futuro del settore.
In ordine di tempo, è dello scorso aprile l’inaugurazione di un parco eolico offshore a Taranto – che fornirà energia al porto della stessa città – per un quantitativo di energia attorno ai 220 MWh annui ed, entro il 2028, sono in programma due progetti eolici offshore nei mari di Sicilia (21 pale eoliche da 12 MW ciascuna) e di Sardegna (42 pale da 12 MW ciascuna), destinati a produrre più di 2.000 GWh/anno di energia elettrica.
In questi ultimi progetti sono già andati aumentando il numero, le lunghezze e il peso delle pale, col relativo adeguamento delle infrastrutture atte a ospitarle. Ma, da qui al 2050, dovrà essere ancora più alta l’attenzione di tecnici, progettisti, costruttori, decisori e Istituzioni riguardo al corretto equilibrio, alla giusta proporzione, tra parchi eolici e spazi per il loro ciclo di vita.