Dall’University of South Australia, una nuova nanotecnologia va a potenziare l’antibiotico comunemente utilizzato nel trattamento delle infezioni polmonari croniche da fibrosi cistica, riuscendo a penetrare la barriera della resistenza agli agenti antibatterici.

TAKEAWAY

  • Proseguono le ricerche nella direzione di soluzioni per sconfiggere l’antibiotico-resistenza, rischio frequente nelle patologie croniche come la fibrosi cistica, che necessitano di ripetuti cicli di terapie antibatteriche.
  • In un primo importante studio in quella direzione, i nanotecnologi incapsularono l’antibiotico in una nanomolecola capace di penetrare le barriere di resistenza e di muoversi agilmente attraverso lo strato di muco.
  • Una recente ricerca, invece, punta sulla struttura stessa dell’antibiotico, potenziandola per mezzo di un materiale biomimetico nanostrutturato, a base di nanoparticelle di cristalli liquidi lipidici.

Quello che vede correlate nanotecnologie e resistenza antibiotici è tra i temi centrali nell’ambito della ricerca farmacologica che fa capo alla nanomedicina.

Il valore delle nanotecnologie in medicina – lo ricordiamo – risiede nella loro capacità di agire su una scala da 100 a 10.000 volte più piccola di quella della cellula umana.

Per quanto riguarda, nello specifico, la farmacologia, la nanomedicina lavora allo sviluppo di nanoparticelle finalizzate alla miniaturizzazione dei dispositivi di incapsulamento per il rilascio di farmaci mirati e alla messa a punto di nanomolecole in qualità di farmaci (o componenti di farmaci) dalle particolari proprietà.

La resistenza agli antibiotici rimanda, invece, al fenomeno biologico di adattamento di alcuni microrganismi alla presenza di concentrazione di agenti antibatterici. È intrinseca quando è dovuta alla natura del microrganismo stesso e “acquisita” quando il microrganismo in questione, in precedenza sensibile a un particolare antibiotico, sviluppa, in un secondo tempo, resistenza nei suoi confronti.

Quest’ultima circostanza si verifica assai spesso nei casi di quelle patologie croniche particolarmente severe, che necessitano di lunghi e ripetuti cicli di terapia antibiotica. Come nel caso della fibrosi cistica, malattia genetica grave (l’aspettativa di vita media è di circa 40 anni) che, con ben 70.000 casi, risulta la più diffusa al mondo.

Patologia dovuta a un gene alterato chiamato CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator) – che, riducendo la quantità di acqua nelle secrezioni corporee, determina la produzione di muco eccessivamente denso – colpisce soprattutto l’apparato respiratorio e quello digerente.

In particolare, nei polmoni il muco blocca le vie aeree e tende a essere colonizzato da batteri, causando infezioni croniche responsabili, in molti casi, di danni tanto estesi da richiedere il trapianto. Il trattamento consiste in terapie antibiotiche per via inalatoria che, pur non impedendo del tutto la colonizzazione dei batteri, tengono comunque sotto controllo più a lungo le infezioni.

Quello che, però, accade, nel tempo, è che i batteri tendono a sviluppare un biofilm protettivo in grado di bloccare l’azione dei farmaci, sviluppando così un’aggressiva antibiotico-resistenza difficile da aggirare.

Nanotecnologie e resistenza antibiotici: il punto di partenza sono nanomolecole in grado di penetrare i biofilm che bloccano i farmaci

In tema di nanotecnologie e resistenza antibiotici nella fibrosi cistica (abbreviata spesso come FC), un esempio di traguardo raggiunto dalla ricerca proviene da un lavoro del 2018 a cura della Friedrich Schiller University di Jena, in Germania.

Nel dettaglio, il gruppo di studio ha sperimentato una nanomolecola capace di penetrare le barriere di resistenza all’antibiotico e rendere nuovamente efficace la terapia.

Alla base, la tesi secondo la quale i farmaci inalati seguono un percorso complesso all’interno dell’organismo prima di raggiungere gli agenti patogeni e spesso non arrivano a destinazione. Il principio attivo deve, dunque, possedere le dimensioni adatte a raggiungere le vie respiratorie più profonde e, in secondo luogo, deve poter penetrare lo spesso strato di muco dovuto alla malattia stessa, nonché il biofilm sviluppato dai batteri.

Dunque, i ricercatori hanno incapsulato la tobramicina (antibiotico comunemente prescritto per il trattamento delle infezioni polmonari croniche da Pseudomonas aeruginosa, in assoluto le più frequenti nei casi di FC) in una nanomolecola di polimero di poliestere – biocompatibile, biodegradabile e non tossico – che, sperimentata in laboratorio, si è dimostrata capace di viaggiare agilmente attraverso lo strato di muco e la barriera antibiotico-resistente e di distruggere gli agenti patogeni.

Al fine di renderla quasi del tutto invisibile al sistema immunitario e, quindi, al riparo da aggressioni da parte dell’organismo, alla nanomolecola è stato poi aggiunto un rivestimento di polietilenglicolo.

nanotecnologie e resistenza antibiotici
Immagini al microscopio: dopo quattro ore, se l’infezione polmonare non viene curata, uccide tutte le cellule (fascia 1); l’azione dell’antibiotico tobramicina mantiene in vita le cellule, ma non sradica l’infezione (fascia 2); la tobramicina nano-potenziata sradica l’infezione (fascia 3). Credit: University of South Australia.

Nanotecnologie e fibrosi cistica: lo studio dell’University of South Australia

In materia di nanotecnologie e resistenza antibiotici nella FC, l’University of South Australia, ad Adelaide, è andata oltre lo studio dell’Ateneo tedesco, portando avanti una ricerca tesa a potenziare l’efficacia dell’antibiotico tobramicina, i cui risultati sono stati resi noti il 12 maggio 2021 sulla rivista Nano Micro Small.

La nuova nanotecnologia messa a punto utilizza un materiale biomimetico nanostrutturato, a base di nanoparticelle di cristalli liquidi lipidici, testato in laboratorio su un modello di infezione polmonare per mostrare la sua capacità di penetrare attraverso la superficie densa dei batteri e di uccidere l’infezione.

Il team di ricerca – che include il professor Clive Prestidge, il dottor Nicky Thomas e la dottoranda Chelsea Thorn – ha spiegato di avere in questo modo migliorato l’azione della tobramicina ricorrendo, nel dettaglio, a uno specifico materiale (quello biomimetico, appunto) che riproduce alcuni processi osservati nei sistemi biologici, imitandone le proprietà di auto-organizzazione, stereospecificità e di riconoscimento molecolare.

La ricerca va in una direzione precisa: sradicare le infezioni da Pseudomonas aeruginosa, pericolose per i malati di fibrosi cistica, aggirandone l’antibiotico-resistenza (si vedano le immagini al microscopio riportate sopra).

Riguardo alla tobramicina – osserva dottor Nicky Thomas – c’è da aggiungere che agisce, certo, inibendo la sintesi dei batteri ma, ad alte concentrazioni, causa danni alla membrana cellulare. E, poiché si tratta di un antibiotico dipendente dalla “concentrazione”, è fondamentale raggiungere dosi elevate. Conclude il ricercatore:

La nostra tecnologia è potenzialmente in grado di rendere più potenti ed efficienti le prestazioni della tobramicina, al punto che ne sono sufficienti poche dosi. In questo modo, è possibile abbattere il rischio della tossicità del farmaco aprendo, al tempo stesso, a un trattamento più efficace delle infezioni polmonari croniche e gravi quali quelle che affliggono i malati di fibrosi cistica

La tecnologia è attualmente in fase di sperimentazione preclinica e il gruppo di studio si augura possa venire immessa sul mercato nei prossimi cinque anni.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin