I risultati di uno studio congiunto, guidato dall’Università di Copenaghen, fanno luce sulle funzioni molecolari del tutto inedite di una tipologia di CRISPR-Cas finora poco nota e studiata, dimostrando la loro validità nel contrastare la resistenza agli antimicrobici in un ceppo di batteri ad alto rischio per pazienti ospedalizzati e persone fisicamente fragili.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito l’antibiotico resistenza «una delle principali minacce globali alla salute pubblica e allo sviluppo», con una stima di 4,95 milioni di decessi ogni anno, nel mondo, e la previsione, da parte dell’OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (in inglese OECD), di un «doppio aumento della resistenza entro il 2035, rispetto ai livelli del 2005».

Gli indici di resistenza più preoccupanti, rimarca l’OMS nel rapporto 2022 del Global Antimicrobial Resistance and Use Surveillance System, riguardano i microrganismi patogeni cosiddetti ESKAPE – acronimo di Enterococco faecium, Stafilococco aureo, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii, Pseudomonas aeruginosa e il gruppo degli Enterobacter – divenuti, ormai, sempre più insensibili alla maggior parte degli antimicrobici in circolazione.

Se è vero che il motivo del continuo incremento della resistenza antimicrobica è da imputare a un uso massivo – e, in molti, casi, non necessario – degli antibiotici tra la popolazione, sia in riferimento agli organismi umani che animali e vegetali, non è da ignorare la responsabilità delle strutture ospedaliere (che ne utilizzano quotidianamente grossi quantitativi per periodi prolungati) nell’influenzare i profili di tale resistenza.

L’indagine sistematica illustrata in “Antimicrobial resistance bacteria and genes detected in hospital sewage provide valuable information in predicting clinical antimicrobial resistance” (Rivista “Science of The Total Environment”, numero di novembre 2021), condotta da un team di scienziati della Shantou University, in Cina, ha fatto luce sull’ampio impiego dei farmaci antimicrobici in ospedale, secondo gli autori causa dello sviluppo, nell’ultimo ventennio, di nuovi batteri e di nuovi geni antibiotico-resistenti. Ma facciamo un piccolo passo indietro.


I geni della resistenza agli antibiotici si sviluppano durante i processi di trattamento delle acque reflue, quando i batteri che hanno il compito di ripulirle dai rifiuti organici vengono a contatto con gli scarti di farmaci antimicrobici. All’interno del DNA di questi batteri, essi trovano posto nei plasmidi, dai quali vengono trasportati, diffondendosi rapidamente e creando sempre nuovi ceppi di resistenza.
Un team di ricercatori impegnati in una collaborazione internazionale sotto l’egida dell’Ateneo di Copenaghen, ha messo a fuoco le caratteristiche uniche dei sistemi CRISPR-Cas di tipo 4-A3, testandoli in un processo di disattivazione (senza taglio del DNA) dei geni di resistenza antimicrobica trasportati dal batterio della Klebsiella pneumoniae.
In uno scenario futuro, l’applicazione dei sistemi CRISPR-Cas di tipo IV-A3 nell’interrompere la catena della resistenza antimicrobica, dovrà essere garantita in modo totale ed equo – in linea con i principi promossi dall’OMS – anche nei Paesi più fragili sotto il profilo socio-economico, i quali risentono maggiormente degli effetti dell’antibiotico resistenza.

La presenza di batteri resistenti agli antibiotici nei processi di trattamento delle acque reflue

Nel 2019, il lavoro di un gruppo di ricercatori della University of Southern California (“Antibiotic resistance is spreading from wastewater treatment plants” – Science Daily), è tra i primi ad accendere i riflettori sulla correlazione tra antibiotico resistenza e trattamento delle acque reflue, dove per “trattamento” si intendono tutte quelle procedure atte a rimuovere dalle acque reflue il carico organico inquinante e i prodotti di scarto. Ma quali sono i termini di tale correlazione?

In breve sintesi, il nostro corpo, dopo averli assimilati, smaltisce gli scarti dei farmaci antibiotici attraverso feci e urine, che vengono, quindi, trasportate verso gli impianti di trattamento delle acque reflue.

Qui – spiega il team di ricerca – uno dei metodi più comuni è quello del trattamento mediante bioreattore a membrana, «caratterizzato dalla presenza di un sistema di filtrazione e di un processo biologico, in cui batteri microscopici aggrediscono e consumano i rifiuti organiciimbattendosi anche nei resti di antibiotici, nei confronti dei quali sviluppano “geni di resistenzatrasmissibili dalla cellula madre alla cellula figlia e tra cellule vicine attraverso un processo noto come “trasmissione genica orizzontale”».

Col passare del tempo, man mano che questi batteri con DNA resistente agli antibiotici si riproducono e crescono, si forma una sorta di “biomassa”:

«Un tipico impianto di trattamento delle acque reflue produce tonnellate di biomassa di DNA antibiotico-resistente ogni giorno che, terminato il trattamento, viene smaltito in discarica o utilizzato come fertilizzante per colture agricole e zootecniche»

fanno notare gli autori. E, in uno scenario ancora più temibile, piccole quantità di questi batteri resistenti agli antibiotici fuoriescono dall’impianto e raggiungono il corso d’acqua finale, che verrà, poi, in parte, scaricato nei fiumi e nei mari e, in parte, riciclato per l’irrigazione o per ricostituire le acque sotterranee, fonte comune di acqua potabile.

Il caso delle acque reflue ospedaliere

Le acque reflue provenienti dalle strutture ospedaliere e, più in generale, dalle strutture di degenza, sono quelle che contengono i quantitativi maggiori di rifiuti organici invasi da scarti di farmaci antimicrobici assunti dai pazienti, in molti casi, per un arco di tempo assai esteso – puntualizzano gli scienziati della Shantou University, curatori della ricerca citata in apertura – contribuendo, così, al proliferare di significative quantità di batteri e di geni antibiotico-resistenti nelle acque reflue.

In ordine di tempo, i dati più recenti ed esemplificativi sul tema risalgono al 15 gennaio 2024, grazie a uno studio diretto dalla Walailak University, in Tailandia (“Multidrug antibiotic resistance in hospital wastewater as a reflection of antibiotic prescription and infection cases” – Rivista “Science of The Total Environment”), meritevole di aver sondato la questione prelevando campioni di acqua dagli impianti deputati al trattamento delle acque reflue di ben 144 strutture residenziali tailandesi, nella provincia di Nakhon Si Thammarat, di cui 24 campioni provenienti da quattro siti destinati al trattamento delle acque reflue di un ospedale ubicato in quella stessa area (di cui due campioni includevano l’acqua di un canale ricevente, in cui venivano scaricate le acque subito dopo il trattamento), con l’obiettivo di valutarne la presenza di batteri antibiotico-resistenti.

L’esame dei microrganismi patogeni presenti nei campioni analizzati – fa sapere il team – ha rilevato, per l’87,5%, batteri appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae, con Klebsiella pneumoniae come specie predominante (47,9%).

«Mentre, il test di sensibilità antimicrobica ha mostrato che il 57,6% dei batteri isolati era resistente ad amoxicillina/acido clavulanico, cioè l’antibiotico maggiormente utilizzato nell’ospedale preso in esame. Il tasso di resistenza totale prima e dopo il trattamento delle acque è stato rispettivamente del 27,7% e del 28,0%, con un tasso complessivo di resistenza multifarmaco del 33,3%» conclude il gruppo di lavoro.

Dati – questi – preoccupanti, che convalidano le ipotesi di partenza formulate dai ricercatori.

I geni dell’antibiotico resistenza e la loro trasmissione

I geni di resistenza che si sviluppano nei batteri dopo avere incontrato – durante i processi di trattamento delle acque reflue – rifiuti organici contenenti antibiotici, sono «elementi genetici mobili, in grado di viaggiare tra i microrganismi tramite trasferimento genico orizzontale, anche da cellule morte a cellule viventi». Si trovano nei cosiddetti “plasmidi”, elementi extra-cromosomici del DNA che, appunto, trasportano i geni dell’antibiotico resistenza, diffondendoli rapidamente in una popolazione di batteri e tra diverse specie di batteri. Questa è, in sintesi, la “trasmissione genica orizzontale”, responsabile dell’evoluzione di sempre nuovi ceppi di resistenza [fonte: “Antibiotic Resistance Genes” – Science Direct].

Considerata tale dinamica, non diventa solo urgente trovare alternative farmacologiche a sostituzione degli antibiotici divenuti ormai inefficaci. Ma è anche essenziale comprendere il meccanismo della trasmissione genica e scardinarlo, mettendo a punto degli inibitori che agiscano contro. Questo potrebbe essere un nuovo approccio, secondo uno studio a cura della Jawaharlal Nehru University, a Nuova Delhi, descritto in “Antibiotic resistance: a global crisis, problems and solutions” (Rivista “Critical Reviews in Microbiology”, 21 febbraio 2024).

Un’altra prospettiva nella battaglia contro la resistenza antimicrobica – indicano i ricercatori indiani – è quella che tiene conto di fattori specifici all’interno delle cellule ospiti, su cui i geni della resistenza fanno affidamento per la loro sopravvivenza, e combatterli per mezzo di terapie mirate.

Antibiotico resistenza: focus sui sistemi CRISPR-Cas di tipo IV

Tra quelli che indagano le possibili soluzioni all’emergenza globale data dall’antibiotico resistenza, anche un recentissimo lavoro dal titolo “Type IV-A3 CRISPR-Cas systems drive inter-plasmid conflicts by acquiring spacers in trans” – pubblicato sulla rivista “Cell Host and Microbe” e disponibile online dal 15 maggio 2024 – nato da una collaborazione internazionale guidata dall’Università di Copenaghen, il quale si focalizza, in particolare, sulle inedite funzioni di uno dei sistemi CRISPR-Cas e sulla loro efficacia nel contrastare la resistenza antimicrobica in ceppi di batteri clinicamente rilevanti.

Ricordiamo che CRISPR è un acronimo universale che sta per Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats (letteralmente “brevi ripetizioni palindromiche raggruppate e intervallate regolarmente”), a indicare una classe di segmenti di DNA presenti nei batteri, quale loro naturale forma di protezione da attacchi esterni.

Dai primi studi di tale meccanismo di difesa nei batteri, ha preso il via la sperimentazione di tecniche di ingegneria genetica sempre più evolute – per la manipolazione del DNA negli organismi vegetali, animali e umani – che, negli anni, hanno portato alla scoperta, all’interno di una specifica tipologia di batterio detto “streptococcus pyogenes”, di un sistema CRISPR che si avvale della proteina Cas9, la cui funzione è quella di forbice molecolare a difesa dagli agenti patogeni.

Furono poi, nel 2012, le scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna a fare del sistema CRISPR-Cas9 un nuovo strumento di editing genomico, capace – rispetto ai precedenti – di identificare e tagliare in modo più semplice, più preciso e più rapido sequenze di DNA bersaglio all’interno del genoma di una cellula vegetale, animale e umana, eliminandole e sostituendole con altre.

I sistemi CRISPR-Cas sono attualmente classificati in due classi, sei tipi e 33 sottotipi: il sistema CRISPR-Cas di classe 1comprende i tipi I, III e IV e coinvolge più proteine Cas, mentre il sistema di classe 2, che comprende i tipi II (in cui rientra il CRISPR-Cas9), V e VI, utilizza una singola proteina. I sistemi di tipo I, II e V riconoscono e scindono il DNA, il tipo VI prende di mira l’RNA e, infine, il tipo III è in grado di tagliare sia DNA che RNA. Soltanto il tipo IV non include alcuna di queste funzioni.

Tabella che riporta le proprietà dei sei diversi tipi di sistemi CRISPR-Cas [fonte: “Evolution of CRISPR/Cas Systems for Precise Genome Editing” - International Journal of Molecular Science - https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10532350/pdf/ijms-24-14233.pdf].
Proprietà dei sei diversi tipi di sistemi CRISPR-Cas [fonte: “Evolution of CRISPR/Cas Systems for Precise Genome Editing” – International Journal of Molecular Science – https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10532350/pdf/ijms-24-14233.pdf].

Le caratteristiche dei CRISPR-Cas di tipo IV-A3

Tuti i sistemi CRISPR-Cas (a esclusione del tipo IV) – precisano gli autori dello studio danese – proteggendo i batteri dall’invasione di elementi genetici esterni, sono definiti «sistemi immunitari adattativi batterici che prendono di mira etagliano gli acidi nucleici (DNA ed RNA) dei parassiti genetici invasori come i batteriofagi e i virus, i quali possono infettare – e alla fine uccidere – le cellule batteriche». E, a proposito del tipo IV, specificano:

«A differenza degli altri, i CRISPR-Cas di tipo IV sono stati, finora, poco studiati. Ad oggi, sono considerati gli “strani cugini” degli altri Cas, poiché sono gli unici che mancano del modulo di acquisizione della memoria immunitaria e del componente per il taglio del DNA. Proprietà che hanno reso gli altri CRISPR così famosi. Come altri sistemi di classe 4, formano complessi multiproteici e sono suddivisi in sottotipi distinti (da IV-A a IV-E) e in varianti (da IV-A1 a IV-A3), in base alla loro architettura molecolare»

Quello guidato dall’Università di Copenaghen non è certo il primo studio incentrato sulle applicazioni dei sistemi CRISPR nella lotta contro la resistenza agli antimicrobici. È da almeno sei anni che il mondo della ricerca internazionale guarda al potenziale dei CRISPR-Cas come nuova tecnologia in questo ambito.

Tuttavia, i lavori precedenti hanno sempre e solo considerato tipologie di CRISPR-Cas dotate della capacità di tagliare il DNA. Abilità fondamentale per eliminare “fisicamente” singoli ceppi batterici antibiotico-resistenti. Emblematico, a tale riguardo, quanto sottolineato, nel 2022, in “The Application of the CRISPR-Cas System in Antibiotic Resistance” (National Library of Medicine):

«Le capacità di taglio specifiche dei CRISPR-Cas, con le quali colpire gli elementi genetici che trasportano i geni di resistenza, aprono la prospettiva tesa a prevenire e controllare il trasferimento genico orizzontale e a limitare la diffusione della resistenza agli antibiotici»

Sono state, invece, le peculiarità uniche, unite alla particolare associazione con i plasmidi (come vedremo in seguito), a fare dei CRISPR-Cas di tipo 4-A3 l’oggetto di attenzione degli autori del lavoro danese, i quali ne hanno (finalmente) approfondito il ruolo e le funzioni molecolari sottostanti.

Il ruolo dei CRISPR-Cas di tipo IV-A3 nel rendere nuovamente sensibile al trattamento antibiotico un agente patogeno ad alto rischio

Ciò che lo studio citato ha rilevato, è che i sistemi CRISPR-Cas di tipo 4-A3, pur non possedendo le forbici molecolari per intervenire – tagliandolo – sul DNA dei parassiti invasori, ospitano al loro interno una proteina in grado di forzare l’apertura della doppia elica del DNAsrotolandola come una matassa, «una funzione unica, detta “elicasi”, che potrebbe avere importanti applicazioni biotecnologiche», osservano gli autori.

A questa proprietà si aggiunge un’altra importante evidenza riscontrata in laboratorio, ovvero che i sistemi di tipo IV-A3 vengono trasportati dai plasmidi che, come abbiamo visto in precedenza, ospitano geni di antibiotico resistenza sviluppati – dopo avere incontrato rifiuti organici contenenti antibiotici – dai batteri incaricati di fare pulizia durante i processi di trattamento delle acque reflue.

Si tratta di un’ottima accoppiata, in quanto il team ha scoperto che i CRISPR-Cas di tipo 4-A3 tendono ad agire sui plasmidi proprio mediante l’elicasi, arrivando a silenziare le loro funzioni principali, il che significa due cose:

  • impattare sulla trasmissione genica orizzontale, attraverso la quale i plasmidi diffondono i geni dell’antibiotico resistenza, creando sempre nuovi ceppi
  • influire sulla stabilità dei plasmidi bersaglio, spezzando così la catena della diffusione

Ispirati da questa naturale funzione, il gruppo di ricerca ha voluto ricreare in laboratorio lo scenario in cui un sistema CRISPR-Cas di tipo IV-A3 è chiamato a silenziare selettivamente i geni di resistenza antimicrobica trasportati dalbatterio della Klebsiella pneumoniae, ritenuto un ceppo ad alto rischio per i pazienti ospedalizzati.

Quello che è emerso da questo primo esperimento in materia, ha dimostrato che l’attività di silenziamento delle funzioni dei plasmidi si traduce, per quanto riguarda (per ora) il batterio Klebsiella pneumoniae, in una riacquisita sensibilità agli antibiotici.

La scelta di questa tipologia di batterio non è stata casuale, in quanto i CRISPR-Cas di tipo IV-A3 sono particolarmente presenti tra i batteri Klebsiella. E questo apre a importanti implicazioni sulla ricerca futura che, di qua a venire, potrà esplorare sempre più approfonditamente gli ingranaggi della trasmissione genica orizzontale a opera dei plasmidi, per comprendere appieno le dinamiche di diffusione dell’antibiotico resistenza e ostacolarla concretamente.

Glimpses of Futures

Combattere l’antibiotico resistenza servendosi dei più innovativi strumenti di ingegneria genetica, consente di andare dritti al nucleo del problema, ovvero al DNA di quei batteri resistenti agli antimicrobici silenziarne le funzioni cardine, ma senza tagliarne i segmenti.

Ora, con l’obiettivo di anticipare possibili scenari futuri, cerchiamo di analizzare – mediante la matrice STEPS – gli impatti che l’evoluzione dei sistemi CRISPR-Cas di tipo IV-A3 nel contrastare la resistenza agli antibiotici espressa dai più diffusi microrganismi patogeni (non solo dal batterio della Klebsiella pneumoniae), potrebbe avere sotto il profilo sociale, tecnologico, economico, politico e della sostenibilità.

S – SOCIAL: da diversi anni, ormai, è presente l’allarme che vede la resistenza antimicrobica come uno dei nodi cruciali della salute pubblica mondiale, con ripercussioni anche sul mondo animale e vegetale, oltre che sulla sicurezza alimentare. Per quanto concerne, in particolare, l’Europa – dove la stima equivale a più di 35mila decessi ogni anno come conseguenza diretta della resistenza agli antibiotici – a luglio del 2022 la Commissione UE ha definito l’antibiotico resistenza «una delle tre principali minacce prioritarie per la salute nell’Unione». In uno scenario futuro in cui, completati con esito favorevole tutti gli studi di laboratorio e i test sui ceppi di batteri più resistenti (e più ad alto rischio, specie per pazienti ospedalizzati e persone fisicamente fragili), i sistemi CRISPR-Cas di tipo IV-A3 potrebbero davvero rappresentare, accanto alla ricerca di nuove classi di antibiotici, uno strumento in grado di spezzare gli anelli della trasmissione genica orizzontale senza l’intervento delle forbici molecolari (soggette, comunque, al rischio del taglio fuori bersaglio), attraverso la quale si diffondono i geni dell’antibiotico resistenza, creando continuamente nuovi ceppi e nuovi allarmi sociali.

T – TECNOLOGICAL: premesso che la ricerca sul tema è solo agli inizi e che molto c’è ancora da conoscere a proposito dei CRISPR-Cas di tipo IV-A3 e dei loro sottotipi e varianti, le prospettive che si aprono sono molteplici. La metodologia e le tecniche impiegate, nonché i risultati già ottenuti con questo primo lavoro, potrebbero, ad esempio, rivelarsi fondamentali anche nell’ambito della ricerca di trattamenti alternativi per altre tipologie di infezioni (come quelle di origine micotica), spesso multiresistenti ai farmaci in commercio. Inoltre, in futuro, l’associazione dei CRISPR-Cas di tipo IV-A3 con i plasmidi potrebbe risultare strategica anche in riferimento ai filoni di studio che si occupano del monitoraggio di quei plasmidi che trasportano altri geni clinicamente importanti e dotati del potenziale di diffonderli rapidamente.

E – ECONOMIC: l’antibiotico resistenza globale, negli ultimi anni, ha condotto a un esaurimento rapido delle scorte di antimicrobici ancora efficaci e, parimenti, all’insufficiente rifornimento di nuove scorte e di nuovi ritrovati antimicrobici. Il tutto, tenuto conto degli elevati costi della ricerca farmaceutica, «in cui si stima che un incentivo per lo sviluppo di nuove classi di antibiotici debba essere pari a circa 3,1 miliardi di dollari», stigmatizzano gli analisti del Center for Global Development. Venendo ai costi della resistenza antimicrobica a carico dei sistemi sanitari, nell’UE questi sono di circa 1,1 miliardi di euro all’anno, comprendenti i farmaci di seconda e di terza linea – necessari nel momento in cui un’infezione non risponde al primo trattamento antibiotico – e le degenze ospedaliere in seguito alle complicazioni dei trattamenti farmacologici All’interno di questo quadro fosco, la futura interruzione della trasmissione genica orizzontale, con cui vengono diffusi i geni della resistenza antimicrobica, grazie all’azione dei sistemi CRISPR-Cas di tipo IV-A3, avrebbe un impatto positivo diretto sul PIL globale, con effetti anche sul commercio di prodotti dell’agricoltura e di prodotti animali, la cui produttività è, anch’essa, vittima dell’antibiotico resistenza.

P – POLITICAL: nella Raccomandazione del Consiglio europeo sul potenziamento delle azioni dell’UE per combattere la resistenza antimicrobica, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 22 giugno 2023, non si accenna alla ricerca di soluzioni che sfruttano le tecniche di ingegneria genetica e, più in particolare, i sistemi CRISPR. Se ne parla in un documento italiano del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita, veicolato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ad aprile 2022, suggerendo azioni future «per creare un ponte col gruppo sulle biotecnologie avanzate, esaminando la possibilità di utilizzare il Crispr-Cas9 per fare editing, al fine di correggere gli enzimi di resistenza batterica». Nella previsione di un possibile scenario futuro in cui i CRISPR-Cas di tipo IV-A3 avranno un ruolo riconosciuto nel contrasto all’antibiotico resistenza, si renderà, necessaria, per maggiore trasparenza, l’integrazione ufficiale degli strumenti CRISPR-Cas nella pratica clinica e di laboratorio volta a porre fine alla trasmissione dei geni della resistenza antimicrobica. Ad oggi, tutti gli interventi di manipolazione del DNA che coinvolgono, in modo diretto o indiretto, l’essere umano, passano per mano dei legislatori, con attenzione massima all’analisi dei rischi sul breve e lungo periodo. La riflessione che, in questo caso, ci si dovrà porre riguarda quali eventuali precauzioni è necessario prendere nel momento in cui vengono eliminati determinati agenti patogeni da una comunità microbica, tramite l’apertura forzata della doppia elica del DNA dei plasmidi. Finora è tutto in laboratorio, allo stadio sperimentale. Ma nell’ipotesi di un impiego concreto, nei prossimi dieci anni, delle pratiche descritte, la domanda lecita è se sarà necessario l’avallo di Governi e Autorità.

S – SUSTAINABILITY: sono i Paesi più fragili dal punto di vista socio-economico a soffrire maggiormente a causa dell’antibiotico resistenza. Secondo i dati del Global Research on Antimicrobial Resistance, l’Africa è il continente più esposto al fenomeno, anche perché già in balìa, da sempre, di un elevato tasso di mortalità per infezioni di aria origine. Qui il numero di decessi legati alla resistenza antimicrobica (oltre un milione all’anno) «è addirittura superiore a quelli causati dall’HIV e dalla malaria, segnando un cambiamento fondamentale nelle sfide sanitarie che la regione deve affrontare». In questo particolare contesto, la futura applicazione dei sistemi CRISPR-Cas di tipo IV-A3 nell’interrompere la catena della trasmissione genica dell’antibiotico resistenza, ponendo fine alla fioritura continua di nuovi ceppi di batteri, dovrà essere garantita al pari di altri Paesi, in nome dei principi dell’equità sanitaria promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin