Nanotecnologie e microrobotica emergono quali strumenti innovativi nell’ambito del risanamento ambientale, specie nel trattamento delle acque, dove gli inquinanti sono in continuo aumento e risultano sempre meno sequestrabili con i metodi tradizionali.
Uno dei rischi maggiori per la salute umana, a livello globale, proviene dall’accesso all’acqua non pura, sia in riferimento a quella immessa nei fiumi e nei mari dopo essere stata trattata in appositi impianti, sia – soprattutto – a quella che arriva nelle nostre case. Le malattie trasmesse attraverso i batteri presenti nell’acqua contaminata hanno un impatto nefasto sulla salute pubblica. Tra questi, solo per citare un esempio, quello dell’Escherichia coli, negli Stati Uniti, causa circa 265.000 infezioni ogni anno. Per non parlare delle infezioni da epatite, tifo e colera, motivo di morte nelle zone più fragili sotto il profilo socio-economico [fonte: World Health Organization].
Con batteri, microplastiche, metalli pesanti e inquinanti chimici nelle acque di scarico – materiali che, in alcuni casi, per la loro composizione e la difficile biodegradabilità, non è semplice rimuovere del tutto durante il trattamento di bonifica – la carenza di acqua pulita si sta intensificando ovunque, complici anche una popolazione mondiale in costante aumento annuo (passata da 7.909.295.151 nel 2021 a 8.118.835.999 nel 2024), l’incidenza di fenomeni legati al cambiamento climatico e l’intensificarsi dei processi industriali in determinate aree del pianeta.
Si pensi che, nel 2019, uno studio a cura del Centro tedesco Helmholtz per la ricerca polare e marina e del WSL Institute for Snow and Avalanche Research, in Svizzera, ha rilevato la presenza di microplastiche perfino nella neve dell’Artico e delle Alpi svizzere, con predominanza di vernice, gomma, polietilene e poliammide, «con tutta probabilità trasportate dall’atmosfera» [“White and wonderful? Microplastics prevail in snow from the Alps to the Arctic” – Science Advances, Agosto 2019].
Takeaway
Microplastiche e batteri, gli inquinanti sui quali intervenire con più urgenza
La rimozione definitiva, dalle acque di scarico, di microplastiche e batteri rappresenta l’ennesima grande sfidaambientale del nostro tempo.
Ricordiamo che le microplastiche – il cui spessore arriva anche al di sotto dei 5 mm – sono il risultato del lento e inesorabile processo di frammentazione di tutte le plastiche abbandonate nell’ambiente, di quelle riciclate, smaltite in discarica, perse in mare durante il trasporto marittimo, e – per l’appunto – di quelle trattate senza pieno esito negli impianti di depurazione delle acque reflue, proprio perché – come sostiene la National Geographic Society – potrebbero trascorrere centinaia o migliaia di anni prima che la plastica, a livello globale, possa decomporsi completamente.
La pericolosità delle microplastiche è data dal loro entrare in contatto con tutti gli altri inquinanti, diventandone il mezzo di trasporto e provocando, così, «contaminazioni diffuse nell’ambito degli ecosistemi terrestri e marini, con forti ripercussioni sugli organismi umani, animali e vegetali» [“Effects of microplastics on the terrestrial environment: A critical review” – Environmental Research, 2022].
I batteri, invece, si declinano in un’ampia varietà di stati, tra i quali i microrganismi sospesi nei liquidi e i biofilm. Nel primo caso, essi si moltiplicano rapidamente, inficiando la qualità dell’acqua e contribuendo alla diffusione di infezioni batteriche; nel secondo caso «la formazione di biofilm batterici sui tubi industriali e sulle linee idriche comporta un flusso d’acqua più lento e la corrosione dei tubi, riducendo così l’efficienza idraulica delle centrali elettriche e compromettendo ulteriormente la sicurezza dei sistemi di distribuzione dell’acqua potabile» [fonte: “Smart micro- and nanorobots for water purification” – Nature Reviews Bioengineering, febbraio 2023].
A proposito di acqua potabile, il lavoro di ricerca descritto in “Safeguarding the microbial water quality from source to tap” (npj Clean Water, aprile 2021), condotto dal Center for Microbial Ecology and Technology dell’Università di Gand, in Belgio e dall’European Centre of Excellence for Sustainable Water Technology, nei Paesi Bassi, affronta la questione relativa alla sua “biostabilità”, messa, oggi, a dura prova dalle attività dell’essere umano e dai cambiamenti climatici, al punto che – sottolinea il team di studio – «finora essa è stata mantenuta attraverso la selezione di fonti idriche di alto livello e l’uso puntuale di disinfettanti. Ma, man mano che nell’acqua dolce penetrano sempre nuovi contaminanti, le strategie messe in atto fino adesso potrebbero, in futuro, non essere più sufficienti a mantenere una fornitura costante e di alta qualità di acqua potabile». È tempo di iniziare a metterlo in conto.
Le tecnologie di depurazione delle acque reflue e gli inquinanti emergenti
Le cosiddette “acque reflue” – ossia le acque di scarico – normalmente derivate dalle attività urbane, domestiche, agricole e industriali, vengono raccolte in reti fognarie e, da qui, condotte negli impianti di depurazione, per poi essere restituite all’ambiente naturale non come acqua potabile, bensì attraverso lo scarico diretto nei fiumi o nei mari, oppure attraverso applicazioni di riutilizzo nell’ambito dell’irrigazione o dei sistemi di raffreddamento industriali.
I metodi tradizionali di depurazione, atti a rimuovere dalle acque reflue tutti gli inquinanti noti, sia solubili che insolubili, sfruttano processi fisici come, ad esempio, quelli fondati sull’impiego di filtri e di membrane, processi chimici e processi biologici.
A partire dall’ultimo decennio, si sono affacciate al settore le nanotecnologie, attraverso la messa a punto di nanomateriali innovativi per il trattamento delle acque reflue, ma anche di quelle sotterranee «contaminate da ioni metallici, solventi organici e inorganici e microrganismi», come spiegano due studiosi della Banasthali University, in India, autori di “Smart and innovative nanotechnology applications for water purification” (Hybrid Advances, agosto 2023).
Tra i nanomateriali in grado di eliminare numerosi inquinanti dall’acqua, figurano quelli basati sull’ossidazione catalitica dell’aria umida, sul ferro zero-valente, sui fotocatalizzatori, sulle nanoparticelle di zeolite e sulle nanobolle.
A proposito di acque contaminate, ampia eco ha avuto il lavoro di un gruppo di ricercatori indiani, pubblicato a dicembre del 2023 sulla rivista scientifica Water-Energy Nexus (“Emerging pollutants of severe environmental concern in water and wastewater: A comprehensive review on current developments and future research”), in cui si parla di Emerging Pollutants (EPs), ovvero di una nuova classe di inquinanti presenti nelle acque di scarico, comprendente principalmente quelli provenienti dall’industria dei fertilizzanti, dall’industria farmaceutica e della cura della persona.
«I nuovi contaminanti – fa notare il team – sono emersi in modo significativo a causa dell’enorme consumo, in tutto il mondo, di farmaci, specie antibiotici e ormoni, e di prodotti per la cura personale. Essi hanno sia origini umane che animale, con la capacità di permeare i corsi d’acqua istantaneamente e il suolo gradualmente, col rischio di contaminazione di fonti di acqua potabile».
Si tratta di inquinanti dai possibili impatti negativi sulla salute umana, «tra cui lo sviluppo di batteri resistenti, effetti tossici sotto il profilo neurologico e alterazioni della sfera endocrina».
Ma il punto è che gli impianti di trattamento delle acque reflue esistenti non sono stati progettati per depurarle dai nuovi contaminanti. Questo è il nodo della questione.
Il ruolo della microrobotica nella depurazione delle acque reflue: alcuni esempi
L’apporto delle nanotecnologie al comparto della depurazione delle acque reflue si esplica anche nella progettazione di microsistemi e micromacchine finalizzati alla cattura rapida ed efficiente di sostanze inquinanti, laddove spesso i sistemi tradizionali non arrivano.
Uno dei primi esempi è quello illustrato, nel 2016, da uno studio internazionale, realizzato congiuntamente da ricercatori del Max-Planck Institute for Intelligent Systems di Stoccarda, dall’Institute for Bioengineering della Catalogna e dalla Nanyang Technological University di Singapore (“Graphene-Based Microbots for Toxic Heavy Metal Removal and Recovery from Water” – Nano Letters), i quali hanno sviluppato microrobot (o “microbot”) a base di ossido di grafene, da impiegare come sistemi semoventi attivi per la rimozione dalle acque di un metallo pesante quale il piombo.
È del 2017 un altro lavoro dello stesso team (“Swimming microbots can remove pathogenic bacteria from water” – Science Daily), questa volta, però, focalizzato sull’eliminazione di batteri dalle acque, senza il ricorso a disinfettanti e senza produrre rifiuti chimici. Il tutto per mezzo di «microbot, da un lato rivestiti di magnesio e, dall’altro, di strati alternati di ferro e oro, sormontati da nanoparticelle d’argento: i batteri aderiscono all’oro e poi vengono uccisi dalle nanoparticelle».
Un altro inquinante presente nelle acque di scarico, particolarmente ostico e duro a decomporsi, è dato dai tessuti monouso, tipici delle salviette umidificate («ogni secondo, nel mondo, ne vengono utilizzate circa 14.000»), costituite da cellulosa modificata e polipropilene, per la cui distruzione, un gruppo di scienziati dell’University of Chemistry and Technology di Praga ha costruito microrobot semoventi con bismuto e tungsteno, supportati da processi ossidativi sotto irradiazione luminosa [fonte: “Swarming of Perovskite-Like Bi2WO6 Microrobots Destroy Textile Fibers under Visible Light” – Advanced Functional Materials, settembre 2020].
Un anno dopo, dallo stesso Ateneo di Praga, un’altra ricerca sul tema, (“A Maze in Plastic Wastes: Autonomous Motile Photocatalytic Microrobots against Microplastics” – Applied Materials and Interfaces, maggio 2021), ma questa volta incentrata sulla rimozione delle microplastiche mediante degradazione fotocatalitica, basata su «microrobot guidati dalla luce e dalla capacità di catturare e degradare le microplastiche “al volo”, in un complesso labirinto multicanale».
Sciami di microrobot per sequestrare microplastiche e batteri all’interno dello stesso campione d’acqua
Ultimo, in ordine di tempo, il lavoro della Brno University of Technology, nella Repubblica Ceca, descritto dagli autori in “Magnetic Microrobot Swarms with Polymeric Hands Catching Bacteria and Microplastics in Water” (ACS Nano, maggio 2024), che presenta un modello di microrobot dal diametro di 2,8 micrometri (dove un micrometro è un millesimo di un millimetro), capace – per la prima volta – di eliminare, insieme, microplastiche e batteri dal medesimo mezzo acquoso contaminato.
Nel dettaglio, si tratta di sciami di microrobot magnetici, controllati da bobine ortogonali che generano campi magnetici rotanti.
All’interno degli sciami, «i microbot comunicano attraverso interazioni magnetiche che, a loro volta, abilitano i movimenti coordinati delle micromacchine nell’acqua, consentendo comunque a ciascuna unità di mantenere la propria struttura e funzione» specificano gli studiosi dell’Ateneo di Brno.
Le singole micromacchine magnetiche sono rivestite di polimeri, per la cui preparazione è stato impiegato il monomero N-[3-(Dimethylamino)propyl]methacrylamide, considerato dalla più recente letteratura in materia tossico per i batteri, dimostrando una chiara efficacia antibatterica in vitro.
«Questo polimero ha dato prova di una notevole capacità di legarsi ai batteri attraverso interazioni elettrostatiche, con prestazioni superiori contro i batteri Gram-negativi. In questo contesto, ha agito come “sequestrante” dei batteri, interrompendo le reazioni chimiche correlate» illustrano i ricercatori, i quali, come modello per i test in vitro, hanno selezionato il batterio della Pseudomonas aeruginosa, conosciuto per essere molto resistente alla disinfezione.
Il movimento dello sciame microrobotico
il nucleo centrale dei microrobot che formano lo sciame è una sfera, definita dagli autori “superparamagnetica”.
Quando non vengono energizzate esternamente da un campo magnetico, le microstrutture rimangono disperse nell’acqua. «In presenza di un campo magnetico rotante esterno, invece, esse si allineano al campo applicato, attraendosi a vicenda lungo i loro dipoli magnetici. Si assemblano in piani, che poi iniziano a muoversi sotto l’azione del campo magnetico rotante applicato e delle direzioni imposte. Più precisamente, esibiscono un movimento collettivo e coordinato, reagendo dinamicamente all’influenza del campo magnetico».
È questo il comportamento che, in microrobotica, viene definito “sciame” e che, in sostanza, descrive “aerei microrobotici” che lavorano insieme in modo sincronizzato.
La cattura dei contaminanti
Sequestrare batteri che nuotano liberamente nell’acqua non è un’operazione semplice, tenuto anche conto del fatto che sono in grado di formare, sulle superfici, biofilm molto resistenti, difficili da dissolvere.
Inoltre, la presenza di microplastiche – come accennato – si traduce in vettori per il trasporto di qualsiasi genere di inquinante, complicando, in questo caso specifico, le operazioni di rimozione dei batteri.
Con l’obiettivo di valutare la concreta efficacia degli sciami di microrobot magnetici polimerici progettati, il gruppo di studio ha condotto un esperimento di cattura di microplastiche e di batteri Pseudomonas aeruginosa all’interno delle stesse acque:
«L’impostazione sperimentale ha visto l’introduzione di batteri P. aeruginosa in una soluzione acquosa contenente perle di polistirene fluorescenti di circa 1 μm di diametro, utilizzate come modello per le microplastiche. La miscela è stata quindi sottoposta a un campo magnetico rotante trasversale di 5 mT e frequenza di 10 Hz per 30 minuti, durante i quali i microrobot magnetici polimerici hanno intrappolato i contaminanti».
Terminato il test con la raccolta dei microbot e dei contaminanti sequestrati, è stata analizzata l’acqua per stimarne la concentrazione batterica residua, risultata di 0,3, leggermente inferiore a quella osservata in assenza di contaminanti microplastici.
Le immagini dell’esperimento raccolte mostrano che i microrobot hanno interagito con i contaminanti – sia microplastiche che batteri – braccandoli, come documentato anche dalla dinamica temporale della riduzione della microplastica, ottenuta attraverso l’imaging ottico utilizzando un microscopio a fluorescenza.
Glimpses of Futures
Dimostrando – seppur attraverso un primo esperimento (ce ne vorranno molti altri) – che è possibile eliminare contemporaneamente batteri e microplastiche dallo stesso ambiente acquatico, lo studio illustrato pone in luce le potenzialità dei microrobot nell’affrontare le sfide ambientali più complesse, come lo è quella della depurazione delle acque, in generale, e della depurazione delle acque reflue, in particolare.
Proviamo ora ad anticipare possibili scenari futuri, analizzando – mediante la matrice STEPS – gli impatti che l’evoluzione dei microrobot descritti potrebbe avere sotto il profilo sociale, tecnologico, economico, politico e della sostenibilità.
S – SOCIAL: sono essenzialmente tre le questioni che gli sciami di microrobot polimerici, adottati, in uno scenario futuro, a livello globale – non solo per la cattura di microplastiche e batteri dalle acque inquinate, ma anche per il sequestro di altri contaminanti – andrebbero a dirimere, in primis quella relativa alle criticità degli attuali impianti di depurazione delle acque reflue nel ripulirle completamente, senza che ne rimangano tracce, dalla miriade di frammenti di plastiche varie. In secondo luogo, c’è il problema della biostabilità dell’acqua potabile, che inizia ad essere turbata dall’emergere di nuovi inquinanti nelle acque dolci (un allarme importante proviene dagli Stati Uniti), mettendo in discussione le metodologie finora messe in atto per garantirla. E poi ci sono antibiotici e ormoni, gli Emerging Pollutants dei nostri tempi, ormai sempre più presenti nelle acque di scarico e che i sistemi esistenti per il trattamento delle acque non sono in grado di rimuovere.
T – TECHNOLOGICAL: in futuro, l’approccio seguito dal team dell’Università di Brno potrebbe fungere da stimolo allo sviluppo di ulteriori tipologie di materiali di rivestimento dei microrobot, capaci, ad esempio, di attrarre e di catturare simultaneamente altri inquinanti presenti nelle acque, oltre a quelli citati. Inoltre, negli anni a venire, la fase di progettazione delle micromacchine potrebbe trovare nelle tecniche di intelligenza artificiale un valido supporto per l’acquisizione, da parte degli sciami mcrorobotici, di maggiori abilità di volo, specie nel seguire determinate direzioni all’interno degli ambienti acquatici, soprattutto in quei contesti in cui sono presenti perturbazioni di fondo.
E – ECONOMIC: ipotizzando uno scenario futuro in cui le acque reflue e le acque dolci, di fiumi e di laghi, verranno gestite, per quanto concerne gli aspetti tecnici relativi alla depurazione, da evoluti sciami microrobotici con la funzione di sequestratori di inquinanti – siano essi materiali, sostanze chimiche o batteri – sarà necessario prevedere team multidisciplinari, composti da ingegneri esperti di microrobotica e di nanotecnologie, bioingegneri e microbiologi, oltre a scienziati ambientali, a capo della progettazione dell’intero sistema, che supportino gli Enti territoriali preposti alle funzioni di tutela e controllo.
P – POLITICAL: negli ultimi anni, l’Unione Europea ha lavorato ad alcune modifiche e revisioni delle sue norme in tema di acque reflue. In particolare, il 10 aprile 2024 sono state approvate le nuove norme UE per la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane, che danno un giro di vite alle operazioni di depurazione, aggiungendo trattamenti secondari prima dello scarico finale nell’ambiente. In particolare, grande attenzione e rigore vengono posti nei confronti della rimozione di determinate sostanze chimiche dalle acque (tra cui azoto, fosforo e PFAS) e alla responsabilità dei produttori, per quanto riguarda – nello specifico – i medicinali a uso umano e i prodotti cosmetici, «a copertura dei costi del trattamento per rimuovere i loro microinquinanti dalle acque reflue urbane», si legge nel testo della normativa. In un quadro di questo tipo, l’evolvere, in futuro, degli sciami di microrobot polimerici per la cattura di microplastiche e batteri in microstrutture capaci di eliminare in modo rapido e puntuale la maggior parte degli inquinanti dalle acque reflue, rappresenterebbe un passo avanti rimarchevole, in vista del conseguimento dell’obiettivo “inquinamento (aria, acqua e suolo) zero” che l’UE si è posta entro il 2050.
S – SUSTAINABILITY: a parte l’impatto positivo sotto il profilo della sostenibilità ambientale – di cui si è detto – c’è il pregnante tema della sostenibilità sociale correlato all’accesso all’acqua pulita nei Paesi in via di sviluppo. Ricordiamo che l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha inserito l’acqua pulita tra i 17 Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Agenda 2030 (Obiettivo 6), spinta da una serie di dati che parlano di 1,8 miliardi di persone nel mondo che utilizzano fonti di acqua contaminata. La microrobotica sta emergendo quale area di studi in grado di intervenire con concretezza nell’ambito della depurazione delle acque, laddove le tecnologie tradizionali mostrano una serie di punti deboli. In un possibile scenario futuro in cui verrà adottata, a livello globale, come strumento centrale nella bonifica delle acque, la raccomandazione è del rispetto del principio di equità, in modo che tutte le popolazioni possano usufruirne, in quanto l’acqua pulita è un diritto universale.