Quello dei nanomateriali per rivestimenti e, più precisamente, delle pellicole (o film) sottili per la ricopertura di strutture o superfici, è uno dei segmenti di ricerca su cui, negli ultimi anni, si sta focalizzando la scienza dei materiali e delle nanotecnologie. Con esiti interessanti per possibili applicazioni nell'ambito della microelettronica, biomedicina e nanomacchine.
A partire dagli anni ’90, quando è iniziata l’attività di ricerca vera e proprio in questo ambito, le nanotecnologie hanno dato un impulso forte allo sviluppo di nuove classi di materiali, con applicazioni in molteplici settori, dall’elettronica alle costruzioni, dal tessile alla medicina, dal risparmio energetico ai beni di consumo, solo per citarne alcuni.
Quello dei nanomateriali per rivestimenti e, più precisamente, delle pellicole (o film) sottili per la ricopertura di strutture o superfici, è uno dei segmenti di ricerca su cui, negli ultimi tre anni, si sta focalizzando l’attenzione degli scienziati.
Già nel 2017, i fisici Yuri Kivshar e Lei Xu dell’Università Nazionale Australiana (ANU), a Camberra, svilupparono un nanomateriale capace di riflettere e trasmettere la luce, così piccolo al punto che centinaia di suoi strati potrebbero essere inseriti sulla punta di un ago.
Concepito inizialmente per rivestire le tute spaziali e proteggere, così, gli astronauti dalle dannose radiazioni dello spazio, i risultati della ricerca furono poi applicati al rivestimento di una qualsiasi struttura. Alla base del potere protettivo di questo nanomateriale c’è la temperatura: quando viene riscaldato o raffreddato, la sua superficie, composta da un reticolo bidimensionale di nanoparticelle, può essere regolata in modo da condurre o riflettere le onde luminose, compresa la luce visibile.
Di recente, invece, uno studio interessante è quello realizzato dai ricercatori dell’Università di Kiel, in Germania, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Materials Today. Ma vediamo di che cosa si tratta.
Nanotecnologie e nanomateriali, la ricerca dell’Università di Kiel sui film sottili
Perché i mitili aderiscono così saldamente agli scogli, tanto da resistere alle correnti del mare? Affinché il tessuto molle all’interno del guscio si agganci saldamente alla superficie dura di una pietra, i mitili formano fili adesivi elastici. E questo è reso possibile grazie a una miscela di proteine distribuita in modo uniforme all’interno della fibra.
Ispirati da questo principio naturale, il team di studio dell’area scienze di materiali e nanotecnologie dell’Università di Kiel ha sviluppato materiali sottili polimerici dalle proprietà di fusione e di aderenza simili a quelle dei fili adesivi elastici dei mitili, i cosiddetti “film sottili a gradiente”. Dove, per “film sottili” si intendono strati di materiali dallo spessore di alcuni milionesimi di metro, utilizzati prevalentemente per dispositivi elettronici e la ricopertura di sistemi ottici.
In particolare, i ricercatori, per arrivare ai film sottili a gradiente, hanno combinato il politetrafluoroetilene – un particolare tipo di polimero, normalmente conosciuto attraverso le sue denominazioni commerciali di Teflon o Fluon – con il polimero PV3D3.
In breve, sono state sfruttate le diverse proprietà dei due polimeri: il teflon non è noto solo per le sue proprietà antiaderenti, ma la sua superficie è anche idrofobica, il che significa che eventuali gocce d’acqua scivolano via immediatamente oppure si congelano leggermente. Il polimero PV3D3, al contrario, è caratterizzato da buone proprietà adesive.
Combinando gradualmente i due materiali su scala nanometrica, ma riuscendo allo steso tempo a mantenere le diverse proprietà di ognuno (non si tratta di una fusione), il team ha ottenuto un materiale di rivestimento composto da una parte superiore idrorepellente e una parte inferiore ben aderente. Combinazione questa, che potrebbe essere utilizzata, ad esempio, per rivestire aeromobili, frigoriferi o frontali in vetro, per renderli più facili da sbrinare.
Il limite dei materiali sottili polimerici e la tecnica di deposizione chimica da vapore
Ma i rivestimenti polimerici sottili hanno un limite, ovvero quello di non essere in grado di rivestire in modo controllato le superfici e, nel caso in cui vengano vaporizzati o spruzzati, si corre il rischio di decomporli.
Fu la scienziata statunitense Karen K. Gleason, del Massachusetts Institute of Technology (MIT), a trovare un rimedio, alla metà degli anni ’90, sviluppando la tecnica di “deposizione chimica da vapore” (Chemical Vapor Deposition – CVD), insieme di tecnologie finalizzate a depositare su una superficie un sottilissimo film protettivo. Oggi, dopo trent’anni e tutta una serie di implementazioni, tale tecnica è considerata una delle più affidabili modalità di rivestimento dei materiali.
Ma gli scienziati dell’Università di Kiel si sono spinti oltre. Hanno utilizzato il processo CVD non solo per creare un sottile strato di polimero, ma anche per unire i due polimeri (il teflon e il polimero PV3D3) in una transizione graduale, riuscendo a sintetizzare uno strato di gradiente polimerico di soli 21 nanometri di spessore. Per fare un confronto, i capelli umani hanno un diametro di circa 50.000 nanometri. In precedenza, erano possibili solo gradienti macroscopici.
Le applicazioni: dalla microelettronica alla biomedicina, fino alle nanomacchine
Una pellicola a gradiente così sottile rappresenta una nuova classe di nanomateriali a gradiente organico. Sono già in preparazione i primi progetti con partner industriali del settore delle tecnologie di rivestimento e condizionamento. Ma le sue possibili applicazioni spaziano dalla microelettronica e dai sensori all’ottica e alla biomedicina, spiega Thomas Strunskus, ricercatore associato del gruppo di lavoro.
Il processo presentato nello studio può essere utilizzato anche per realizzare altre combinazioni di polimeri, con nuove proprietà chimiche e fisiche dei materiali. I film polimerici nanometrici sono interessanti anche per componenti microelettronici flessibili, sistemi microelettromeccanici e nanomacchine (dette anche macchine molecolari), in grado di trasferire processi meccanici su nanoscala.
I risultati pubblicati confluiranno anche nel lavoro di diverse Associazioni di ricerca sotto l’egida del KiNSIS – Kiel Nano, Surface and Interface Science presso l’Università di Kiel.
“Questi sono strumenti fondamentali per la scienza dei materiali. Le applicazioni vanno dal miglioramento dell’adesione degli strati funzionali nei sensori allo sviluppo di materiali per il rilascio controllato di farmaci, fino alle nanomacchine“
conclude Franz Faupel, titolare della Cattedra di Materiali Compositi e membro del gruppo di ricerca KiNSIS.