Un nanorobot a forma di mano a quattro dita, ottenuto piegando un singolo pezzo di DNA, oltre a ingabbiare il virus che causa il Covid, possiede il potenziale per impedire a qualsiasi particella virale di entrare nelle cellule per infettarle. Con impatti di rilievo sulla virologia del futuro.
Il primo modello di nanorobot – com’è noto – fu un dispositivo a carburante glucosico dalle dimensioni di un capello umano, progettato nel 2004 da un team USA presso l’University of California, Los Angeles. La dinamica del suo moto la si deve a un nano frammento di muscolo cardiaco di ratto, che lo rese capace di muoversi a una velocità di 40 micrometri al secondo, dove un micrometro (µm) corrisponde alla millesima parte del millimetro.
Da allora, la ricerca ha sondato (e sonda tuttora) la fattibilità di sistemi robotici su scala nanometrica guidati da campi magnetici, da campi elettrici o da stimoli luminosi esterni, fatti essenzialmente di nanoparticelle, molecole biologiche o filamenti di DNA.
In particolare, è quest’ultimo materiale, dalle biomolecole in grado di autoassemblarsi e poi – terminato il compito – di biodegradarsi all’interno dell’organismo stesso, senza il rischio di tossicità, quello che, potenzialmente, più di altri, si adatta alle esigenze delle future applicazioni con finalità diagnostiche e terapeutiche, area di elezione della nanorobotica. Applicazioni – queste – che richiedono nanorobots capaci di muoversi agilmente all’interno di tutte le tipologie di interstizi, tessuti e fluidi del corpo umano, per ispezionarli, rilasciarvi farmaci, aggredire masse tumorali, sostituire o riparare organuli, sciogliere coaguli.
A differenza, dunque, dei primi nanorobots dotati di minuscole zampe, capaci di muoversi e di piegarsi grazie a giunture meccaniche alimentate dalle cellule di muscolo cardiaco di ratto, le nanostrutture di DNA risultano più performanti, più biocompatibili e più sicure per la salute umana.
Takeaway
Nanorobots fatti di DNA e funzioni di presa
A partire dagli anni dell’emergenza pandemica, gli studi in materia si sono focalizzati, in particolare, sulla progettazione di nanorobots fatti di DNA per rilevare e/o bloccare i virus all’interno del corpo. Tuttavia, con un grosso punto critico: la mancanza di destrezza nell’afferrare le singole particelle dei virus da catturare.
Uno dei lavori più recenti sul tema (datato 2023) – guidato dalla Nanjing University of Posts and Telecommunications, in Cina, e illustrato in “Recent Advances in DNA Nanotechnology-Enabled Biosensors for Virus Detection” (Bionsensors) – pone in evidenza le sfide che questo segmento di ricerca emergente deve affrontare, in primis una più profonda comprensione della relazione tra la geometria della nanostruttura di DNA che si intende sviluppare e le sue prestazioni, oltre a una sua sempre maggiore stabilità dal punto di vista dell’equilibrio statico.
«La continua ricerca di progressi in questo ambito specifico promette di rivoluzionare gli attuali strumenti diagnostici e di intervento mirato alla terapia – osservano gli autori – consentendo approcci più accurati e personalizzati all’assistenza sanitaria».
Una delle risposte a tali sfide proviene da un gruppo di scienziati dell’University of Illinois Urbana-Champaign (USA), i quali, in “Bioinspired designer DNA NanoGripper for virus sensing and potential inhibition” (Science Robotics, novembre 2024), descrivono come sono giunti a mettere a punto una nano-pinza ricavata da un singolo frammento di DNA che – nelle sembianze – ricorda la forma e la meccanica di una mano.
L’ispirazione proviene dalla presa della mano umana, nonché dagli artigli degli uccelli. Da qui l’idea di un nanodispositivo robotico «provvisto di quattro dita pieghevoli e di un palmo, in cui ogni dito presenta tre articolazioni (esattamente come le dita umane), con il grado di piegatura determinato dal disegno dell’impalcatura del DNA».
In pratica, ogni “dito” della nano-pinza a forma di mano è costituito da tre falangi collegate da tre giunti girevoli e pieghevoli, le cui funzioni sono abilitate dalle interazioni tra le dita stesse e le loro componenti leganti, date da quel materiale biocompatibile e versatile che è il DNA.
Che cos’è la tecnica del “DNA Origami”
Biocompatibilità e versatilità a parte, il team di studio ha utilizzato il DNA per le sue proprietà strutturali, incluse forza e morbidezza, flessibilità, indirizzabilità e programmabilità. Peculiarità tali da imprimere alla nanomacchina capacità di presa inedite, mediante le quali poter interagire con cellule, virus e altre molecole presenti nell’organismo umano.
La tecnica di fondo è quella del “DNA Origami”. «Eppure – precisano gli autori – anche rispetto a tale tecnica, il nostro lavoro è nuovo in termini di principi di progettazione. Pieghiamo avanti e indietro un unico e lungo filamento di DNA per creare tutti gli elementi, sia i pezzi statici che quelli in movimento, in un solo passaggio»
Ricordiamo che il DNA Origami (dove, il termine “Origami” rimanda al giapponese “piegare un foglio di carta”, per dargli una forma e una dimensione arbitraria) è una delle tecniche più recenti nell’ambito delle. nanotecnologie applicate alla nanomedicina. Essa si fonda su «lunghi filamenti di DNA – da 200/300 nucleotidi- ripiegati in una complessa impalcatura di base che, a sua volta, va a formare una struttura dalle dimensioni nanometriche», rivelatasi (sempre, per ora, in via del tutto sperimentale) particolarmente puntuale ed efficace nella diagnosi del cancro e nelle terapie atte a sconfiggerlo. [fonte “DNA Origami” – Science Direct].
A presentare ufficialmente le prime immagini al microscopio di DNA Origami (e a battezzarle con questo nome), fu un articolo apparso su Nature nel 2006, dal titolo “Folding DNA to create nanoscale shapes and patterns”.
![Illustrazione raffigurante la tecnica del “DNA origami” tradizionale: da sinistra, un lungo filamento circolare di DNA viene incubato con circa 200 filamenti brevi, per creare una forma bi o tridimensionale definita (credit: “DNA Origami” - Science Direct - https://www.sciencedirect.com/topics/neuroscience/dna-origami).](https://tech4future.info/wp-content/uploads/2024/12/nanorobots-tecnica-del-dna-origami.jpg)
Ebbene, rifacendosi all’antica arte giapponese, i ricercatori dell’University of Illinois Urbana-Champaign hanno costruito nanogabbie di DNA autoassemblanti, capace di intrappolare virus anche di grandi dimensioni. Vediamo in che modo.
Nanorobots che si legano a bersagli molecolari: l’esempio del virus SARS-CoV-2
La nano-pinza a forma di mano a quattro dita – spiegano gli scienziati – è stata accoppiata a una piattaforma di sensori a cristalli fotonici. Da questo binomio, è nato un test per la diagnosi del Covid-19 che corrisponde alla sensibilità dei test molecolari attualmente adottati, a livello globale, negli ospedali.
Come funziona il nanosistema? I nanorobts che ne sono derivati si comportano come biosensori altamente sensibili, i quali rilevano selettivamente il virus SARS-CoV-2 nella saliva umana, con un limite di rilevamento di circa 100 copie per millilitro.
Le dita della mano cattura-virus contengono regioni chiamate “aptameri del DNA”, appositamente programmate per legarsi a bersagli molecolari – come la proteina spike, nel caso del virus del Covid – le quali fanno sì che le dita stesse si flettano per avvolgere e catturare il bersaglio in questione.
Mentre, sul lato opposto, dove si trova il polso del nanorobt a forma di mano, la nanomacchina è nelle condizioni di aderire a un’altra nanostruttura, ad esempio con funzioni di drug delivery.
«Durante gli esperimenti – aggiunge il team – abbiamo scoperto che quando i nostri nanorobots venivano aggiunti alle colture cellulari esposte al SARS-CoV-2, più mani iniziavano ad avvolgere l’esterno dei virus. E questo ha fatto sì che venisse bloccata l’interazione della proteina virale (la spike, appunto) con i recettori presenti sulla superficie delle cellule, prevenendo, così, l’infezione».
Ma proviamo, ora, ad analizzare il significato di tale strumento in veste di terapia preventiva contro infezioni di varia origine.
Glimpses of Futures
La progettazione di nanomacchine autoassemblanti, ottenute ricorrendo a una particolare tecnica di DNA Origami (piegatura in avanti e indietro di un unico filamento di DNA), suggerisce, per gli anni a venire, un possibile percorso verso soluzioni di nanomedicina per il rilevamento e la potenziale inibizione delle infezioni virali.
Con l’intento di anticipare possibili scenari futuri, cerchiamo di delineare – grazie alla matrice STEPS – l’impattoche l’evoluzione del modello di nanorobot descritto potrebbe avere su più fronti.
S – SOCIAL: i ricercatori dell’Ateneo USA hanno dimostrato, in laboratorio, attraverso esperimenti in vitro, che i loro nanorobots a forma di mano cattura-virus sono perfettamente in grado di bloccare l’ingresso del coronavirus nelle cellule ospiti. Il che fa pensare a un loro utilizzo futuro come terapia preventiva, ad esempio sviluppando un composto spray nasale antivirale fatto di nano-pinze a forma di mano a quattro dita, tale da impedire a diverse tipologie di virus inalati (oltre a quello del Covid, anche quelli influenzali e, più in generale, tutti quelli correlati alle infezioni virali dell’apparato respiratorio) di interagire con le cellule del naso e di penetrare nell’organismo, infettandolo. Ma, complice la sua evoluzione, la mano nanorobotica, un giorno, potrebbe essere altresì programmata per identificare una serie di marcatori (anche tumorali) presenti sulla superficie delle cellule, oltre che per la somministrazione mirata di farmaci, incluso il trasporto di trattamenti antitumorali direttamente alle cellule bersaglio.
T – TECHNOLOGICAL: in futuro, l’evoluzione del modello iniziale delle nano-pinze a forma di mano imporrà alcune modifiche alla loro struttura tridimensionale, al fine di implementarne ulteriormente stabilità e presa. E questo potrebbe tradursi in un’ulteriore deviazione rispetto alla tecnica del DNA Origami comunemente utilizzata, basata sull’impiego di più filamenti di DNA, sia lunghi che brevi. La scelta di adottare, invece, un unico e lungo filamento di DNA, per creare tutti gli elementi in un solo passaggio e ottenere, in questo modo, un livello di destrezza ottimale per catturare le singole particelle dei virus, potrebbe lasciare il posto a un’altra metodologia di progettazione delle nanostrutture, proprio per adattarle a virus diversi e a differenti esigenze di rilevazione e inibizione virale.
E – ECONOMIC: immaginando uno scenario futuro in cui, grazie all’evolvere della ricerca in tema di nanorobotica applicata alla prevenzione delle infezioni virali, basterà – ai primi sintomi di malessere o quando il rischio di contagio è alto – uno spray nasale o una pasticca contenenti nanomacchine fatte di DNA che, immediatamente, captano e catturano i virus, impedendone l’ingresso nelle cellule ospiti, è lecito ipotizzare un abbattimento importante della spesa a carico dei sistemi sanitari nazionali in fatto di farmaci antivirali e antinfluenzali e, correlati a questi, di antipiretici e antinfiammatori. Solo nel nostro paese, rende noto l’AIFA nel suo Rapporto nazionale 2023 pubblicato a settembre 2024, lo scorso anno, la categoria degli antivirali ha registrato una spesa pubblica complessiva pari a 619,2 milioni di euro (+0,9% rispetto al 2022).
P – POLITICAL: la nanomedicina che si serve della nanorobotica per conseguire un importante traguardo in un’area finora poco sondata dagli studi sull’impiego delle tecnologie emergenti, come quella della virologia, rappresenta – in particolare, per i paesi dell’Unione Europea – un terreno piuttosto tortuoso sotto il profilo normativo. La futura adozione di nanorobots come inibitori di infezioni virali porrebbe, infatti, tutta una serie di interrogativi riguardanti la loro sicurezza per la salute umana. E non a causa dei materiali usati per la loro fabbricazione, né delle tecniche di recupero dopo averli iniettati/ingeriti (stiamo parlando di nanostrutture fatte di DNA, capaci di biodegradarsi nell’organismo), quanto per la loro interazione con i tessuti e i fluidi del corpo umano e per le eventuali, possibili, conseguenze a lungo termine, dopo il loro utilizzo. A tale riguardo, in uno scenario futuro, si dovranno prevedere un quadro legislativo che disciplini tali aspetti e un’apposita Commissione di vigilanza che svolga periodici controlli.
S – SUSTAINABILITY: l’adozione di future terapie preventive contro infezioni di varia origine, non basate su farmaci, bensì su nanorobots fatti di DNA (dunque non tossici) e dotati di mani che avvolgono i virus appena inalati, bloccandone l’interazione con i recettori presenti sulla superficie delle cellule, significherebbe una riduzione drastica di tutti gli antivirali chimici in circolazione, con impatti positivi, a catena, sul rischio di dispersione di tali farmaci e sul loro smaltimento (specie in riferimento al trattamento delle acque reflue), contribuendo così alla sostenibilità in ambito sanitario e ambientale.