Dalla Cornell University, nello stato di New York, uno studio sui primi nanorobot iniettabili che incorporano semiconduttori, consentendo loro di essere controllati - e di camminare - per mezzo di segnali elettronici. Dalle dimensioni di un organismo unicellulare, questi microscopici robot forniscono un modello base per sviluppare, in futuro, versioni ancora più complesse, che sarà possibile produrre in serie e che, un giorno, potrebbero viaggiare attraverso i tessuti e il sangue umani per sondarli, curarli e guarirli.

Nanotecnologie e nanomedicina, insieme, promettono scenari dagli impatti importanti sull’uomo. Ma di che cosa stiamo parlando, nel concreto?

Le nanotecnologie si occupano della creazione di materiali e dispositivi a partire dallo studio e dalla manipolazione della materia a livello dell’atomo e della molecola, ossia su scala di misura nanometrica, dove – per renderci conto su quali dimensioni siamo – un nanometro corrisponde a un milionesimo di millimetro.

Per il fatto stesso che le nanostrutture possiedono le medesime dimensioni delle entità biologiche, possono facilmente interagire con le biomolecole, sia sulla superfice cellulare sia all’interno della cellula stessa. Da qui le applicazioni delle nanotecnologie in medicina, come declinazione naturale.

Ricordiamo che, negli USA, la nanomedicina esiste dagli inizi degli anni ’90. Solo per citare alcune applicazioni, le nanomedicine utilizzate come sistemi di somministrazione farmacologica di precisione, per l’ingegneria dei tessuti e nell’ambito dei processi diagnostici, non sono scoperte di oggi.

Il trattamento delle patologie oncologiche rappresenta l’area terapeutica più vasta per le nanomedicine: diversamente dalla terapia chemioterapica, proprio grazie alla piccolezza delle nanoparticelle, è possibile raggiungere agilmente le cellule cancerogene, permettendo al farmaco di aggredire il tumore dall’interno, preservando, in questo modo, le cellule sane.

Una delle applicazione più recenti delle nanotecnologie in ambito medico riguarda l’utilizzo dei nanorobot (detti anche “nanobot”), robot dalle dimensioni vicine a quelle molecolari o addirittura atomiche – nano, appunto – capaci di agire sull’ambiente circostante e di modificarlo in maniera controllata.

Nanotecnologie e nanomedicina: dalla Cornell University nanorobot dotati di gambe controllate elettronicamente

Negli ultimi decenni, con l’evolvere delle tecniche di nanofabbricazione, l’obiettivo di creare nanorobot biocompatibili, dalle dimensioni di una cellula e in grado di essere iniettati all’interno del corpo umano, è divenuto via via sempre meno fantascienza e sempre più traguardo concreto della robotica.

Le sfide lungo il percorso sono state tante. A iniziare dal movimento ordinato e controllabile dei nanorobot all’interno di un microambiente prevalentemente liquido come quello del corpo umano.

In risposta a tale problema, in passato sono stati progettati nanorobot il cui movimento obbediva a stimoli luminosi, a stimoli sonori, magnetici o a sostanze chimiche. Minuscoli robot capaci di camminare, saltare e persino di nuotare grazie a magneti manipolati dall’esterno, che permettono di indirizzarli nella posizione desiderata all’interno del corpo umano, già esistono.

Ma un team di ricercatori della Cornell University, nello stato di New York, si è spinto oltre: ha messo a punto i primi nanorobot iniettabili che incorporano componenti semiconduttori, consentendo loro di essere controllati – e di camminare – per mezzo di segnali elettronici standard.

Questi robot, più o meno delle dimensioni di un organismo unicellulare, forniscono un modello base per sviluppare, in futuro, versioni ancora più complesse, che sarà possibile produrre in serie e che, un giorno, potrebbero viaggiare attraverso i tessuti e il sangue umani.

Nello specifico, la squadra di lavoro ha visto la collaborazione di Itai Cohen, Paul McEuen, John A. Newman, della Cornell University, e di Marc Miskin, ora professore di fisica presso l’Università della Pennsylvania.

Immagine 3D di molecole circondate da nanorobot
Nanotecnologie e nanomedicina: l’applicazione più recente delle nanotecnologie in medicina riguarda l’utilizzo dei nanorobot, robot dalle dimensioni vicine a quelle molecolari, capaci di agire sull’ambiente e di modificarlo in maniera controllata.

Dai nanorobot che si muovono grazie a magneti a modelli controllati da impulsi laser

A differenza dei nanorobot precedenti, in grado di muoversi per mezzo di magneti manipolati dall’esterno, questi sono a tuti gli effetti robot miniaturizzati dotati di gambe funzionanti.

Come BigDog – robot quadrupede creato nel 2005 dalla Boston Dynamics con Foster-Miller, il Jet Propulsion Laboratory, e la Harvard University Concord Field Station – possiedono gambe meccaniche controllate da componenti elettronici a base di silicio.

I nuovi nanorobot hanno uno spessore di circa 5 micron (un micron è un milionesimo di metro), una larghezza di 40 micron e una lunghezza compresa tra 40 e 70 micron. Ognuno è costituito da un semplice modulo fotovoltaico in silicio – che costituisce il tronco e il cervello del robot – e quattro attuatori elettrochimici che funzionano come gambe.

I ricercatori controllano questi robot facendo lampeggiare impulsi laser sui diversi impianti fotovoltaici, ognuno dei quali carica una serie separata di gambe: muovendo il laser avanti e indietro, tra il fotovoltaico anteriore e posteriore, il robot cammina.

Ora in fase di sperimentazione, questi nanorobot sono ad alta tecnologia, ma funzionano a bassa tensione (200 millivolt, millesima parte del volt) e a bassa potenza (10 nanowatt, miliardesimi di watt) e, per le loro dimensioni, sono comunque forti e robusti, in grado di sopravvivere a severi sbalzi di temperatura e ad ambienti molto acidi.

Poiché sono realizzati con processi litografici standard, possono essere fabbricati in parallelo: circa un milione di robot si adattano a un wafer di silicio (sottile fetta di materiale semiconduttore, sulla quale vengono realizzati dei chip) da 4 pollici.

I ricercatori che li hanno progettati stanno già pensando a come potenziarli servendosi si un’elettronica più complessa e di calcoli di bordo, migliorie che, in futuro, potrebbero portare a sciami di robot microscopici che ristrutturano tessuti, suturano vasi sanguigni o vengono inviati in massa per sondare vaste aree del cervello umano.

Controllare un microscopico robot, è qualcosa di molto vicino a ‘rimpicciolire’ te stesso. Penso che macchine come queste ci condurranno in tutti quei mondi che sono troppo piccoli per essere visti. Questa svolta della ricerca offre un’entusiasmante opportunità scientifica per indagare su nuove questioni rilevanti per la fisica della materia e potrebbe portare a materiali robotici futuristici

ha commentato Marc Miskin, oggi professore di fisica presso l’Università della Pennsylvania e tra gli autori principali dello studio.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin