Negli ultimi anni la ricerca sulle Brain Computer Interface ha accelerato, aprendo nuovi scenari sia nella cura di condizioni invalidanti, sia nel sostegno e prevenzione di patologie degenerative croniche.

Le Brain Computer Interface (BCI) rappresentano una frontiera affascinante nel campo dell’interazione tra l’uomo e la macchina, traducendo l’attività cerebrale in comandi diretti per applicazioni digitali.

Ad esempio, poter spostare oggetti su uno schermo semplicemente pensando al movimento della propria mano, o comunicare attraverso la selezione di lettere con la mente: questo è il mondo delle BCI.

Sebbene il termine sia stato coniato nel 1973, da Jacques J. Vidal, un ricercatore belga che lavorava presso l’Università della California a Los Angeles, che nel paper intitolato “Toward direct brain-computer communication” per la prima volta parlò delle BCI come  «utilizzo dei segnali cerebrali in un dialogo uomo-computer» («utilizing the brain signals in a man-computer dialogue») e «come mezzo di controllo su processi esterni come computer o dispositivi protesici» («as a mean of control over external processes such as computers or prosthetic devices»), la storia delle BCI risale agli anni ’20 del secolo scorso, quando il fisico tedesco Hans Berger scoprì che il cervello umano genera correnti elettriche misurabili, aprendo la strada all’elettroencefalografia (EEG) come strumento chiave nella neuroscienza.

Questa scoperta, fondamentale nel mondo della medicina, ha nel contempo gettato le basi per l’utilizzo dell’attività cerebrale come canale di comunicazione, portando allo sviluppo del neurofeedback e alla nascita delle prime BCI.

Nel corso dei decenni, la ricerca sulle BCI ha visto un’evoluzione significativa, passando da semplici esperimenti a sistemi complessi capaci di assistere utenti con disabilità motorie severe, migliorare la riabilitazione da ictus e addirittura permettere il controllo di protesi e dispositivi robotici attraverso il pensiero.


Le ricerche sulle Brain Computer Interface (BCI) hanno aperto scenari rivoluzionari nel campo medico, offrendo nuove speranze per la riabilitazione e il recupero della mobilità in pazienti affetti da paralisi o malattie neurodegenerative, promettendo applicazioni future anche nel trattamento di malattie come Alzheimer e Parkinson.
Le BCI non invasive aprono la strada a un’integrazione sempre più fluida tra attività cerebrale e interazione con il mondo digitale, rendendo possibile, ad esempio, la traduzione dell’immaginazione visiva in immagini su schermo.
Nonostante l’entusiasmo suscitato da queste innovazioni, permangono sfide significative legate all’affidabilità, alla sicurezza e all’accessibilità delle BCI, soprattutto per quanto riguarda le soluzioni invasive che richiedono interventi chirurgici.

La lunga marcia delle Brain Computer Interface

Negli ultimi anni, bisogna darne atto, i percorsi della ricerca nel campo delle Brain Computer Interface ha visto emergere nuovi paradigmi, migliorare le tecnologie invasive e soprattutto utilizzare le BCI in una gamma sempre più ampia di applicazioni, dalla riabilitazione medica al gaming, dall’assistenza agli utenti con disabilità alla creazione artistica.

Questo sviluppo ha portato a una ridefinizione del concetto di BCI, oggi intese non solo come sistemi per inviare comandi volontari a un’applicazione, ma anche come strumenti per monitorare gli stati mentali dell’utente, con l’obiettivo di adattare l’interazione tecnologica in base a questi stati.

La ricerca e lo sviluppo nelle interfacce cervello-computer (BCI) stanno rapidamente trasformando il concetto una volta fantascientifico di fusione tra mente umana e macchina in una realtà tangibile.

Dagli esordi negli anni ’60, con esperimenti che sfruttavano segnali cerebrali per controllare dispositivi semplici, siamo arrivati, in un’era più recente, ad ambiti nuovi che spaziano dal recupero della mobilità per persone paralizzate e nello sviluppo di terapie per malattie neurodegenerative alla capacità di trasformare l’immaginazione visiva in output digitale.

Nel frattempo, la ricerca accademica sta spingendo i limiti della comprensione e dell’utilizzo dei segnali cerebrali, ad esempio attraverso l’uso dell’apprendimento automatico per classificare stati mentali basandosi sull’attività EEG, o riproducendo immagini e musiche percepite da individui mediante avanzati modelli di rete neurale.

In questo approfondimento ci limiteremo ad analizzare i progetti ai quali si sta lavorando in ambito medico, lasciando gli altri ambiti a un approfondimento successivo.

Verso le Brain Computer Interface non invasive

Le interfacce cervello-computer (BCI) si dividono in tre categorie principali: non invasive, invasive e semi-invasive. Le prime raccolgono informazioni sull’attività cerebrale senza necessità di interventi chirurgici, utilizzando tecniche come l’elettroencefalografia (EEG), la magnetoencefalografia (MEG), l’imaging a risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la spettroscopia funzionale nell’infrarosso vicino (fNIRS). Tra queste, va detto, l’EEG che risulta essere la tecnica più popolare per la sua capacità di registrare i segnali elettrici dell’attività cerebrale tramite elettrodi posti sul cuoio capelluto.

Al contrario, le BCI invasive registrano l’attività cerebrale mediante elettrodi impiantati chirurgicamente vicino ai neuroni target nel cortex o nelle strutture profonde del cervello, utilizzando sistemi come l’array di microelettrodi (MEA), elettrodi per elettrocorticografia (ECoG), elettrodi per stereo-elettroencefalografia (sEEG) e elettrodi per la stimolazione cerebrale profonda (DBS).

Infine, le tecniche semi-invasive, come l’elettrocorticografia (ECoG), si avvalgono di elettrodi posizionati sulla superficie esposta della pelle per misurare l’attività elettrica dalla corteccia cerebrale. Sebbene ECoG e EEG registrino tipi di segnali simili, l’ECoG offre una risoluzione spaziale e una fedeltà del segnale superiori, mostrando anche una maggiore resistenza al rumore.

Presenta un rischio inferiore di complicazioni mediche rispetto ai metodi invasivi e produce segnali di ampiezza maggiore rispetto ai metodi non invasivi. Tuttavia, richiede comunque una craniotomia per l’impianto degli elettrodi, quindi viene eseguita solo quando è necessaria un’operazione chirurgica per motivi medici, rendendola scomoda per un uso generale, nonostante la sua capacità superiore di registrazione dei segnali.

Rispetto alle BCI non invasive, quelle invasive offrono vantaggi significativi come una risoluzione spaziale e temporale molto più elevata, consentendo di registrare attività da singoli neuroni o di modulare l’attività di piccole popolazioni neuronali; una maggiore rapporto segnale-rumore e robustezza contro interferenze di rumore elettrico o artefatti di movimento e la possibilità di posizionare gli elettrodi vicino o direttamente nelle aree corticali target o nelle strutture sottocorticali, cruciale per decodificare informazioni specifiche e modulare funzioni cerebrali particolari.

Tuttavia, le BCI invasive comportano anche svantaggi, come la necessità di un intervento chirurgico invasivo con associato rischio di complicazioni, difficoltà nel risolvere problemi hardware o aggiornare componenti una volta impiantato il sistema, e costi elevati dovuti alla complessità dell’intervento chirurgico e della cura successiva.

BCI non invasive: nuovi passi verso i wearable

Per quanto riguarda le Brain Computer Interface non invasivesi legge in un documento di qualche anno fa dell’Agenzia Spaziale Europea, la maggior parte delle questioni esplorate riguarda la “comunicazione potenziata“, dove la rapidità nella presa di decisioni non è critica come nel controllo in tempo reale di dispositivi robotici e neuroprotesi, ovvero il controllo di protesi e ortesi direttamente dai segnali cerebrali.

Uno degli ambiti di ricerca riguarda l’adattamento online dell’interfaccia all’utente per mantenere la BCI costantemente sintonizzata sul suo proprietario, considerando che i modelli di attività cerebrale cambiano con l’esperienza e naturalmente nel tempo. L’apprendimento online può essere utilizzato per adattare il classificatore durante il suo utilizzo, migliorando la capacità di completare compiti come guidare una sedia a rotelle evitando ostacoli fin dal primo tentativo.

Un’altra linea di ricerca analizza i correlati neurali di stati cognitivi ed emotivi elevati, come errori, allarmi e attenzione, che potrebbero permettere una interazione più significativa con l’utente.

Inoltre, esplorare tecniche non invasive per ottenere una rappresentazione più accurata dell’attività elettrica cerebrale attraverso potenziali di campo locale stimati (eLFP) promette miglioramenti significativi nella classificazione dei compiti motori e una comprensione più profonda dell’attività cerebrale che guida le BCI.

Infine, si sta esaminando il ruolo del feedback multisensoriale nel controllo azionato dal cervello per accelerare l’addestramento degli utenti e facilitare un controllo preciso dei robot, evidenziando il potenziale dei feedback aptici per migliorare l’apprendimento e la manipolazione delle abilità

Tra tutte le tecniche, l’EEG è la più diffusa, grazie alla sua portabilità, costo contenuto e facilità di utilizzo. Consiste nella raccolta dei segnali elettrici generati dall’attività neuronale tramite elettrodi posizionati sulla superficie del cuoio capelluto.

Nonostante la sua non invasività, l’EEG presenta delle sfide, come la riduzione della qualità del segnale dovuta all’attenuazione e al filtraggio dei segnali cerebrali da parte dei tessuti del cranio e della pelle. Inoltre, l’EEG può essere soggetto a interferenze e rumori esterni, compresi i movimenti muscolari e gli artefatti oculari.

Le BCI non invasive basate sull’EEG hanno trovato applicazione in numerosi campi, dalla riabilitazione neurologica al controllo di protesi, dalla diagnosi di malattie alla ricerca cognitiva.

Tuttavia, la realizzazione di sistemi BCI non invasivi efficaci e confortevoli per un uso prolungato richiede la superazione di diverse sfide tecniche. Queste includono il miglioramento della qualità del segnale attraverso lo sviluppo di elettrodi più sensibili e meno suscettibili a interferenze, nonché l’ottimizzazione degli algoritmi di elaborazione dei segnali per l’identificazione accurata e tempestiva delle intenzioni dell’utente.

Per rendere le BCI non invasive più pratiche e indossabili nella vita quotidiana, la ricerca si sta concentrando sulla miniaturizzazione delle apparecchiature e sull’integrazione con dispositivi indossabili smart. Ciò comprende lo sviluppo di cuffie EEG wirelessfasce per la testa e altri dispositivi come ad esempio i caschi, che possono essere facilmente indossati e rimossi dall’utente, garantendo al contempo un’acquisizione del segnale affidabile.

Questi progressi mirano a rendere le BCI non invasive una tecnologia sempre più integrata nelle routine quotidiane, apportando benefici significativi nel campo medico, nel miglioramento delle prestazioni umane e nell’interfaccia uomo-macchina.

Brain Computer Interface invasive: le potenzialità nel campo della riabilitazione

La riabilitazione della mobilità rappresenta un importante ambito di intervento fisico per i pazienti che hanno subito perdite funzionali a seguito di infortuni gravi o eventi come gli ictus, con l’obiettivo di ripristinare le funzioni perdute o aiutarli ad adattarsi alle loro disabilità acquisite.

L’ictus, in particolare, è una condizione critica causata dall’interruzione dell’ossigeno al cervello, che può portare alla perdita della capacità di parlare, problemi di memoria o paralisi di una parte del corpo. La ricerca ha evidenziato come le strutture cerebrali colpite da ictus possano essere riorganizzate e le funzioni motorie danneggiate restaurate attraverso la neuroplasticità.

In questo contesto, i robot mobili e le protesi controllate da interfacce cervello-computer (BCI) emergono come soluzioni innovative per assistere le persone nelle attività quotidiane e ripristinare la funzionalità normale.

In alcuni approcci riabilitativi, vengono utilizzati segnali cerebrali di persone sane per modificare i comportamenti cognitivi dei pazienti con ictus e impiegando realtà virtuale e aumentata per monitorare e controllare movimenti di avatar o simulazioni che integrano arti lesionati e sani, promuovendo così la riabilitazione attraverso il neurofeedback e la classificazione di immaginazione motoria.

Le tecniche invasive di registrazione cerebrale prevedono l’impianto di elettrodi sotto il cuoio capelluto per misurare l’attività neurale del cervello, sia intracorticalmente, all’interno della corteccia motoria, sia sulla superficie corticale tramite l’elettrocorticografia (ECoG).

Questi metodi offrono il vantaggio di una alta risoluzione temporale e spaziale, migliorando significativamente la qualità del segnale ottenuto e il suo rapporto segnale/rumore. Tuttavia, presentano diverse problematiche, tra cui rischi chirurgici, limitazioni legate alla dimensione delle regioni cerebrali monitorate, l’impossibilità di spostare gli impianti per misurare l’attività in altre aree cerebrali e potenziali complicazioni mediche legate all’adattamento del corpo agli impianti. Questi fattori hanno limitato l’uso delle tecniche invasive prevalentemente a applicazioni mediche BCI per un numero ristretto di utenti con disabilità.

Nella ricerca sui sistemi BCI, le tecniche invasive sono state principalmente sperimentate su animali, come scimmie e topi, per studiare il controllo del movimento tramite elettrodi impiantati.

Le scimmie, ad esempio, hanno imparato a muovere un cursore verso obiettivi posizionati ai vertici di un cubo immaginario, contribuendo alla stima dell’intenzione di movimento e all’addestramento di algoritmi predittivi del movimento adattivi. Inoltre, gli studi sull’uomo sono stati limitati a soggetti con gravi disabilità, come pazienti con sclerosi laterale amiotrofica (SLA), i quali sono stati in grado di muovere cursori su schermi di computer selezionando elementi dopo l’impianto di un singolo elettrodo nel cortex motorio.

Interessante al proposito uno studio pilota di qualche anno fa, che ha provato a combinare una interfaccia cervello-cervello (BBI) con una interfaccia muscolo-muscolo (MMI) in un modello a ciclo chiuso. In questo sistema, percorsi artificiali (flussi di dati) connettono funzionalmente percorsi naturali (nervi). L’intenzione di un soggetto (mittente) viene riconosciuta utilizzando una Brain Computer interface basata sull’elettroencefalografia (EEG), che viene inviata per innescare la stimolazione magnetica transcranica (TMS) sull’altro soggetto (ricevente), inducendo il movimento della mano.

Nel frattempo, la TMS provoca un cambiamento significativo nei potenziali evocati motori (MEP) (vale a dire potenziali bioelettrici registrabili a livello dei muscoli periferici a seguito di una stimolazione magnetica dei motoneuroni della corteccia cerebrale o del midollo spinale) registrati tramite elettromiografia (EMG) del braccio del ricevente, il quale a sua volta attiva la stimolazione elettrica funzionale (FES) applicata al braccio del mittente, generando movimento della mano.

Sono stati eseguiti esperimenti con loop controllati dall’uomo e loop di controllo automatico con 6 coppie di soggetti sani per valutare la performance del meccanismo introdotto. I risultati hanno indicato che l’accuratezza di risposta durante gli esperimenti controllati dall’uomo era dell’85%, dimostrando la fattibilità del metodo proposto. Durante il test di controllo automatico, due soggetti sono stati in grado di completare il controllo del movimento reciproco e ripetitivo della mano fino a 85 volte consecutivamente.

Le ricerche in corso

Abbiamo volutamente lasciato per ultimo un breve accenno allo stato attuale delle ricerche, con gli studi pionieristici di BitbrainNextMindNeuralink, perché in qualche caso mancano informazioni di dettaglio sugli effettivi percorsi di sperimentazione.

Nello stesso ambito si muove anche NextMind, acquisita di recente da Snap Inc., che ha creato un dispositivo che converte i segnali del cortex visivo in comandi digitali, puntando a sviluppare un dispositivo in grado di trasformare l’immaginazione visiva in segnali digitali, permettendo così di ricreare su schermo qualsiasi immagine pensata dall’utente.

Infine, Neuralink, fondata da Elon Musk, sviluppa dispositivi di interfaccia cervello-macchina (BMI) impiantabili, come il chip N1, capace di interfacciarsi direttamente con più di 1.000 cellule cerebrali diverse, con l’obiettivo di consentire alle persone affette da paralisi di recuperare la mobilità tramite l’uso di macchine e arti protesici. L’azienda esplora anche l’applicazione della sua tecnologia nello sviluppo di trattamenti per malattie come l’Alzheimer e il Parkinson. 

Su quest’ultimo studio, nonostante l’ampia eco sui media, mancano tuttavia conferme ufficiali riguardo l’avvio effettivo della sperimentazione, così come manca la registrazione del trial su piattaforme riconosciute come ClinicalTrials.gov, un passaggio considerato fondamentale per l’etica e la trasparenza nella ricerca clinica.

Glimpses of Futures

Proviamo ora ad anticipare scenari futuri, analizzando – grazie alla matrice STEPS –gli impatti che l’evoluzione delle Brain Computer Interface potrebbe avere dal punto di vista sociale, tecnologico, economico, politico e della sostenibilità.

S – SOCIAL: le moderne tecnologie, come le interfacce cervello-computer (BCI), l’imaging cerebrale e la stimolazione magnetica transcranica, hanno aperto nuove finestre sul funzionamento del cervello, offrendo straordinarie opportunità di aiuto alle persone con disabilità, ma sollevando anche preoccupazioni riguardo le potenziali insidie. L’accesso alle profondità del cervello implica non solo grandi opportunità per supportare chi è in difficoltà ma anche non trascurabili rischi di abusi. È fondamentale che lo sviluppo di queste tecnologie sia guidato da un impegno etico per il loro impiego responsabile, bilanciando i benefici potenziali con la necessità di proteggere l’integrità e la privacy degli individui.

T – TECHNOLOGICAL: al di là della necessità di consolidare gli studi in corso in ambito medico, interessanti sono gli sviluppi delle BCI in altri ambiti, dal gaming all’entertainment, dall’automazione all’istruzione, dal neuromarketing alla neuroergonomia, per arrivare alle nuove frontiere in ambito spaziale.

E – ECONOMIC: la natura multidisciplinare delle BCI ne sta dimostrando il possibile impatto positivo nei settori più diversi, incluso il mondo industriale. Ed è proprio questa eterogeneità che lascia delineare un impatto economico significativo con potenziali trasformazioni in numerosi ambiti della società e dell’industria. 

P – POLITICAL: le preoccupazioni cui abbiamo fatto cenno in termini di etica nello sviluppo delle ricerche e dei trial e della sicurezza e riservatezza dei dati stanno portando i diversi enti legislatori nazionali a emanare linee guida stringenti, che evitino abusi. Dopo Europa e USA, ultima in ordine di tempo è arrivata con l’inizio del 2024 la Cina, che ha adottato una linea guida etica per la ricerca sulle BCI, stabilendo che questa deve essere utilizzata principalmente per scopi terapeutici.

S – SUSTAINABILITY: la necessità di una rigorosa validazione scientifica e clinica, unita all’importanza di garantire la trasparenza e l’etica nella ricerca, sottolinea l’importanza di procedere con cautela, assicurando che i benefici di queste tecnologie siano accessibili a tutti i pazienti in modo equo e sicuro. La strada verso l’integrazione completa delle BCI nella pratica clinica quotidiana è ancora lunga, ma i progressi attuali offrono uno sguardo promettente sul futuro della medicina e della neurotecnologia.

Scritto da:

Maria Teresa Della Mura

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin