Una nuova neuroprotesi - grazie al supporto dell’intelligenza artificiale - consente di decodificare il linguaggio umano non esplicitabile verbalmente.

TAKEAWAY

  • Le tecniche che fanno capo all’ambito di studi dell’intelligenza artificiale sono spesso di supporto a chi non riesce a compiere, in autonomia, mansioni quotidiane.
  • Una delle più recenti scoperte è la messa a punto di device in grado di aiutare chi, a causa di paralisi derivate da problematiche neurologiche, ha difficoltà nell’articolazione del linguaggio.
  • Una nuova neuroprotesi sviluppata in California è capace di decodificare cinquanta vocaboli, ma mira a raggiungere, presto, addirittura quota 5000.

Quello dell‘intelligenza artificiale per lettura della mente è un ambito di studi affasciante che, anni fa, poteva sembrare fantascienza ma che, oggi, è sempre più realtà concreta. Ad esserne oggetto, sono migliaia di pazienti nel mondo, affetti, ad esempio, da paralisi post-ictus, dalla presenza di lesioni cerebrali da trauma o da sclerosi laterale amiotrofica, meglio nota come SLA, malattia neurodegenerativa progressiva.

Attualmente sono diversi i metodi innovativi che facilitano l’assistenza di queste persone in ospedale e a domicilio. Basti pensare, in primis, agli esercizi di fisioterapia condotti con l’ausilio dei robot, i quali intervengono al fianco dei medici dopo che si è verificato il danno, provando ad affiancare la fase di ripresa post trauma.

La tecnologia diventa un supporto indispensabile anche per quegli aspetti legati alla motricità negli anziani (e non solo) e nel recupero della memoria.

Tuttavia, i fronti non si esauriscono qui. Esiste un filone in divenire che riguarda la comunicazione verbale, poiché – nelle patologie citate – viene meno la capacità di articolare i muscoli facciali o di altre aree.

Una soluzione molto interessante in materia di intelligenza artificiale per lettura della mente arriva da un gruppo di ricercatori dei Dipartimenti di Neurologia e Servizi riabilitativi presso l’Università della California San Francisco (UCSF). Il loro articolo, intitolato “Neuroprosthesis for Decoding Speech in a Paralyzed Person with Anarthria”, è stato pubblicato sulla rivista The New England Journal of Medicine il 15 luglio 2021 scorso. Vediamone i punti principali e gli impatti.

Intelligenza artificiale per lettura della mente: il processo di decodificazione del linguaggio

L’intuizione in tema di intelligenza artificiale per lettura della mente è partita dal Weil Institute of Neuroscience in senso all’Ateneo californiano e ha visto anche la collaborazione di alcuni bioingegneri provenienti da Berkeley.

Nel corso di 48 sessioni, il team ha registrato ben ventidue ore di attività intellettiva di un paziente partecipante all’esperimento, al quale era stata riscontrata, precedentemente, una forma di sindrome anartrica, deficit della programmazione articolatoria causato da una lesione dell’emisfero cerebrale sinistro, che causa l’incapacità di articolare correttamente alcuni suoni.

Il primo passaggio è consistito nell’elaborazione di un algoritmo di deep learning. In secondo luogo l’equipe è ricorsa al Natural Language Processing (NLP), l’insieme delle procedure di riconoscimento del linguaggio naturale, che si concentrano sulla struttura intrinseca di un periodo, andando oltre le regole grammaticali e sintattiche.

Questo studio si inserisce in un filone di ricerca che ha preso vita soltanto nell’ultimo decennio, con l’introduzione dei cosiddetti “vettori”, processo in cui le lettere vengono convertite in numeri, in modo da poter essere analizzate più facilmente dalle macchine.

Consideriamo, ad esempio, i programmi OCR (Optical Character Recognition), sistemi di riconoscimento ottico dei caratteri in grado di rilevare i caratteri contenuti in un documento e di trasferirli in testo digitale leggibile da una macchina.

Questo ci aiuta a comprendere le modalità con cui gli scienziati – nell’ambito dello studio in tema di intelligenza artificiale per lettura della mente – sono riusciti a captare 15,2 parole al minuto dalla mente del partecipante all’esperimento. Il tasso di errore si è attestato, in media sul 25,6%, un risultato sicuramente affinabile, ma che apre prospettive enormi. Uno degli autori, Edward F. Chang, neurochirurgo e docente presso l’UCSF osserva: 

“Ci sono ampi margini per perfezionare quello che abbiamo ottenuto. Inizialmente non eravamo sicuri che fossero rimasti i comandi vocali all’interno del cervello del paziente essendo passati quindici anni dall’insorgere della patologia. Eppure, abbiamo constatato, con grande sorpresa, dopo mesi di approfondimenti, che erano ancora funzionanti

L’allenamento si è mantenuto su domande facili, del tipo “Come ti senti oggi?” oppure “Vuoi bere un po’ d’acqua?”, nella speranza di stimolare reazioni significative, seguendo una scia tracciata nel 2019 quando l’equipe aveva impiegato il machine learning per avere feedback analoghi da volontari sani.

Si chiama BRAVO1 (Brain-Computer Interface Restoration of Arm and Voice) la neuroprotesi messa a punto dal team dell’Università della California, in grado – col supporto di un algoritmo di deep learning – di decodificare discorsi di senso compiuto in pazienti con difficoltà nell’articolazione del linguaggio.

La strada aperta dalla ricerca

Nel campo dell’intelligenza artificiale per lettura della mente, finora gli esperti, a livello globale, si erano focalizzati su software gestibili ruotando gli occhi o spostando leggermente la testa. Un metodo diventato famoso, e per certi versi iconico, grazie a Stephen Hawking, l’astrofisico di fama mondiale morto nel 2018, il quale teneva i suoi interventi, a convegni e conferenze internazionali, con movimenti impercettibili della guancia o delle sopracciglia.

Ma, grazie alla neuroprotesi messa a punto dal gruppo di studio – chiamata BRAVO1 (Brain-Computer Interface Restoration of Arm and Voice) – ora si è in grado di decodificare discorsi di senso compiuto in pazienti con difficoltà nell’articolazione del linguaggio e con una velocità di composizione maggiore rispetto a quanto visto in passato.

Per un’applicazione su larga scala, ora servono risorse per implementare la macchina. Si tratta, indubbiamente, di una pietra miliare per l’intera disciplina, un traguardo storico che avrà ricadute su diverse sfere del medicale. Tutto ha avuto origine da uno studio sul monitoraggio dell’epilessia, attraverso una serie di elettrodi per monitorare le onde cerebrali. Un approccio con diramazioni trasversali che hanno il fine di provocare benessere e una migliore qualità di vita.

Scritto da:

Emanuele La Veglia

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin