Si inizia a indagare sui benefici clinici dati dall'interazione, nel lungo periodo, tra Socially Assistive Robot (SAR) e pazienti reduci da un infarto cerebrale.
Secondo i dati della World Stroke Organization (Ginevra), sono oltre 12 milioni, nel mondo, le persone colpite ogni anno da ictus, evento cerebrovascolare acuto provocato dall’occlusione o dalla rottura di un vaso sanguigno all’interno del cervello, tra le principali cause di morte e disabilità a livello globale, dopo le patologie cardiovascolari e oncologiche.
In particolare, la Stroke Alliance for Europe (Bruxelles) registra, nel Vecchio Continente, 1,1 milioni di casi all’anno – seguiti da 460.000 decessi – e quasi 10 milioni di pazienti che convivono con gli impatti a lungo termine dei danni alle cellule cerebrali private di sangue (e, dunque, di ossigeno) durante quello che viene definito “infarto cerebrale”. Impatti che, in base all’area dell’encefalo colpita, si traducono in paralisi degli arti, difficoltà di linguaggio, disturbi cognitivi e psico-emotivi di varia natura.
In questo scenario post ictus, la riabilitazione riveste un ruolo cardine nel recupero dei pazienti, aiutandoli a«migliorare le funzioni fisiche, mentali e psicologiche e a riacquisire la massima indipendenza possibile» [fonte: American Stroke Association].
Per quanto concerne, nello specifico, il ripristino (totale o parziale) delle abilità motorie, l’obiettivo degli interventi riabilitativi è la «plasticità neurale corticale», data dall’insieme di quei “cambiamenti adattativi” del cervello, grazie ai quali quest’ultimo «modifica la propria attività – riorganizzando struttura, funzioni e connessioni – in risposta a stimoli intrinseci oppure estrinseci, tra cui le lesioni conseguenti a un trauma fisico o a un ictus» [fonte: Neuronal Plasticity – Science Direct].
Takeaway
Dispositivi robotici per movimenti controllati e assistiti degli arti
È da circa un ventennio che le terapie riabilitative per pazienti con deficit motori di natura ortopedica o neurologica (compresi i post icuts) vengono supportate dall’applicazione di dispositivi robotici più o meno complessi, il cui fine è mettere il paziente nelle condizioni di eseguire movimenti controllati, ripetuti e meccanicamente assistiti degli arti compromessi – inferiori e superiori – sotto la guida del fisioterapista.
Un lavoro del 2016 apparso su Neuroscience and Biomedical Engineering (vol. 5) – “A Review of Rehabilitation Devices to Promote Upper Limb Function Following Stroke” – identifica ben 141 “robot riabilitativi”, valutati in base alle loro funzionalità negli interventi volti a «promuovere la plasticità neurale mirata» in persone con difficoltà motorie dovute a lesioni cerebrali.
La gamma delle macchine poste in evidenza va dai semplici robot a singole braccia agli esoscheletri indossabili, con molteplici parametri modificabili in base alle abilità motorie di partenza e ai traguardi di recupero fissati.
Uno dei vantaggi da rimarcare, derivante dall’applicazione dei robot nella riabilitazione post ictus – fa notare il team – riguarda anche i loro effetti positivi sulla motivazione del soggetto, nonché sul suo stato psicologico.
In particolare, è il feedback visivo e tattile in tempo reale a impattare sulla sfera psico-emotiva dell’utente, ovvero il fatto di vedere – egli stesso – i propri arti muoversi, anche se per mezzo di una macchina, e di essere guidato da braccia e da tutori motorizzati, che può egli stesso toccare e “sentire”.
Il rovescio della medaglia viene fatto osservare in uno studio illustrato l’anno successivo nell’articolo “Effects of robot-assisted upper limb rehabilitation in stroke patients: a systematic review with meta-analysis” (Neurological Sciences, 2017), dove l’accento è posto sulle scarse capacità – osservate nei soggetti protagonisti di terapie riabilitative post ictus mediante l’ausilio di robot – nello svolgere autonomamente le normali attività nella vita quotidiana, fuori dal centro di riabilitazione e in assenza di macchine. Capacità che l’impiego di effettori, bracci robotici ed esoscheletri, in molti casi, non riesce a migliorare in modo fattivo nella vita di tutti i giorni.
Ed è a questo punto che, nell’ambito della riabilitazione post ictus, entrano in scena i Socially Assistive Robot(SAR), letteralmente “robot socialmente assistivi” o, più semplicemente, “social robot”, macchine concepite per interagire in modo diretto con l’essere umano, declinazione dei robot di servizio.
Riabilitazione post ictus: la funzione dei social robot
Tra i primi studi sui social robot in funzione di coach per utenti con disturbi alle articolazioni, quello descritto in “A socially assistive robot exercise coach for the elderly” (Journal of Human-Robot Interaction, 2013), in cui due ricercatori dell’University of Southern California presentano un Socially Assistive Robot progettato per stimolare gli anziani a compiere esercizio fisico.
Al di là della tipologia di utenti coinvolti, questo lavoro, undici anni fa, ebbe il merito di mettere in luce la strategicità di una macchina in grado di interagire – tramite «l’uso del linguaggio, delle espressioni facciali e dei gesti comunicativi» – con persone non completamente autosufficienti.
Un anno dopo, nel 2014, viene lanciato quello che è considerato il primo (e il più popolare) social robot, ovvero Pepper, robot umanoide su ruote alto circa 120 centimetri, abilitato da tecniche di intelligenza artificiale di IBM Watson.
Le sue caratteristiche lo rendono incline alle relazioni sociali, potendo contare su raffinati sistemi di riconoscimento facciale e vocale che gli permettono di percepire le emozioni delle persone con le quali interagisce (e di rispondervi), analizzandone espressioni del volto e variazioni del tono della voce [fonte: “A Mass-Produced Sociable Humanoid Robot: Pepper: The First Machine of Its Kind” – IEEE Robotics & Automation, 2018].
È proprio questo che contraddistingue i social robot: il fatto di fornire assistenza mediante l’interazione.
«I SAR rappresentano uno strumento innovativo nella riabilitazione motoria post ictus, in cui la frequenza e l’intensità dei movimenti, insieme al coinvolgimento diretto del paziente, sono fattori che, favorendo la plasticità neurale, innescano il processo di recupero». Ma non solo. A differenza dei dispositivi robotici per movimenti controllati e assistiti degli arti, i social robot vengono utilizzati «per incoraggiare la pratica autonomada parte degli utenti e migliorare la loro compliance terapeutica attraverso il coaching verbale, senza l’aiuto “fisico” a svolgere un dato compito» [fonte: Social Robot – Science Direct].
Social robot: l’interazione a lungo termine con pazienti post ictus
L’emergenza pandemica degli scorsi anni ha, a livello globale, accelerato l’integrazione dei social robot nella pratica medica, stimolando la ricerca in materia.
Nel corso degli ultimi anni, numerosi lavori focalizzati sulla riabilitazione motoria con robot socialmente assistivihanno dimostrato la fattibilità di tale tipologia di interazione anche con soggetti post ictus, gettando così le basi per ulteriori studi in questo specifico campo.
Tra questi, il recente “Socially Assistive Robot for Stroke Rehabilitation: A Long-Term in-the-Wild Pilot Randomized Controlled Trial” (IEEE Transactions on Neural Systems and Rehabilitation Engineering, vol. 32, 2024), a cura di un gruppo di ricercatori dell’Università Ben-Gurion del Negev, in Israele, indaga, in particolare, l’interazione a lungo termine SAR-soggetti post ictus e i suoi effetti sul recupero delle capacità funzionali dei pazienti.
Il team, a tale scopo, ha sviluppato una piattaforma che abilita all’esecuzione di sette serie di esercizi,espressamente dedicati all’allenamento della presa e della manipolazione di oggetti di uso quotidiano. Sono previste due configurazioni: nella prima è centrale il Socially Assistive Robot, nella seconda un semplice PC.
«L’obiettivo è stato quello di porre a confronto i cambiamenti nelle abilità motorie e funzionali di individui post ictus, risultanti da un intervento a lungo termine fondato su tre diversi approcci, ossia allenamento con un SAR, oltre alle cure abituali; allenamento con un computer, in aggiunta alle terapie convenzionali e, infine, solo trattamenti abituali post infarto cerebrale» spiegano gli autori.
In questa configurazione – aggiungono – «il social robot fungeva da allenatore, da “coach”, fornendo agli utenti istruzioni a voce sugli esercizi che avrebbero dovuto eseguire e una serie di feedback in tempo reale sulla qualità dell’attività svolta, con incoraggiamenti e parole motivanti».
Nella formazione tramite computer, invece, a fornire le medesime istruzioni sullo svolgimento degli esercizi, i feedback e gli incoraggiamenti, è stato il PC, sia per mezzo di messaggi vocali che attraverso immagini.
L’ipotesi di partenza è assai lineare: i pazienti post ictus impegnati in una riabilitazione a lungo termine con un robot socialmente assistivo, rispetto a una riabilitazione a lungo termine con PC e a un gruppo di controllo senza alcun intervento aggiuntivo, «mostrerebbero un miglioramento clinico significativo della loro funzione motoria».
Tre approcci riabilitativi a confronto
La piattaforma messa a punto è stata oggetto di una sperimentazione clinica condotta dall’Ateneo israeliano per una durata di due anni, alla quale hanno preso parte ventisei persone (dieci donne e sedici uomini, di età compresa tra 30 e 80 anni) a 42-245 giorni dall’esordio dell’ictus, in terapia presso l’unità ambulatoriale del Centro di riabilitazione di Adi Negev.
La suddivisione dei partecipanti è avvenuta in modo del tutto casuale, secondo i tre approcci ai quali si è accennato:
- attività psico-motoria con social robot, in aggiunta alle abituali cure post ictus
- attività psico-motoria sotto la guida di un computer, in aggiunta alle cure abituali
- gruppo di controllo sottoposto a cure convenzionali post ictus, senza interventi aggiuntivi
Le sessioni di intervento si sono svolte tre volte alla settimana, per un totale di quindici sessioni per paziente e 306 sessioni complessive
Per quanto riguarda l’attività svolta con il social robot (il “gruppo SAR”, per intenderci), il robot impiegato è il già citato Pepper, nelle vesti di allenatore e addestratore: in fase di studio, le sue istruzioni e i suoi feedback sulle prestazioni sono stati visualizzati sullo schermo del tablet posto sul suo petto, mentre le istruzioni e i feedback vocali sono stati forniti tramite altoparlanti integrati e accompagnati da una serie di gesti da parte della macchina.
Il programma di cure “convenzionali”, abituali, alle quali si è fatto riferimento, e alle quali si sono sottoposti tutti i membri dei tre gruppi, hanno incluso fisioterapia, terapia occupazionale, idroterapia e logopedia. Mentre, ii protocollo delle attività prevedeva, nello specifico, sette serie di esercizi per allenare quei movimenti del braccio volti ad afferrare gli oggetti della vita quotidiana, dalla tazza alla bottiglia, dallo spazzolino da denti al telecomando della TV.
«Per ciascun partecipante – precisano gli autori dello studio israeliano – le specifiche di ogni esercizio, tra cui il peso degli oggetti coinvolti, la loro posizione sul tavolo e l’altezza di quest’ultimo, sono state determinate dal neurologo, in base alla disabilità del singolo».
I risultati della sperimentazione
Dall’analisi dei dati quantitativi emersi dai test di comparazione dei tre approcci descritti, i partecipanti al gruppo di lavoro guidato dal social robot Pepper sono i pazienti post ictus che hanno migliorato in maniera più significativa, rispetto al “gruppo computer” e al gruppo di controllo, la fluidità dei loro movimenti (indice MAL), ottenendo un buon punteggio nel “test ARAT” (Action Research Arm Test) – considerato cruciale nella valutazione del recupero della funzionalità delle braccia dopo l’infarto cerebrale – nel test di screening per gli arti superiori denominato “Fugl-Meyer” (FMA-UE) e nel questionario SIS (Stroke Impact Scale), che “misura” la qualità di vita delle persone post ictus.
«Il 100% dei partecipanti al gruppo SAR ha ottenuto un miglioramento che ha raggiunto – o, in alcuni casi, superato – la differenza minima clinicamente significativa nell’ARAT, il gold standard per le prestazioni dell’attività degli arti superiori dopo l’ictus» fa sapere il team di ricerca.
Parte dell’ipotesi di partenza espressa dagli autori è stata, dunque, pienamente confermata dagli esiti della sperimentazione, mettendo in luce, nei pazienti del gruppo SAR, a confronto con gli altri due gruppi, un miglioramento maggiore in tutte le misurazioni cliniche (MAL, ARAT, FMA-UE, SIS).
Relativamente, invece, all’ipotesi riguardante maggiori progressi nella velocità dei movimenti, questa è stata solo parzialmente confermata, in quanto il gruppo SAR ha dimostrato un maggiore aumento della velocità solo dopo l’intero ciclo di interventi col social robot, mentre il gruppo computer ha raggiunto questo traguardo già dopo 5-7 settimane.
Glimpses of Futures
Quello illustrato è, certamente, un piccolo studio pilota di fattibilità, basato su un piccolo numero di partecipanti. Non ha la pretesa di essere esaustivo, ma quanto rilevato empiricamente è un indicatore importante del grande potenziale dei social robot all’interno di un’interazione a lungo termine come parte del percorso riabilitativo di coloro che sopravvivono a un evento cerebrovascolare acuto e grave come l’ictus. Potenziale che, da qui a venire, andrà sempre più esplorato e approfondito.
Con l’obiettivo di anticipare possibili scenari futuri, proviamo ora ad analizzare – servendoci della matrice STEPS – gli impatti che l’evoluzione dei social robot per l’interazione a lungo termine con pazienti post-ictus, potrebbe avere sotto il profilo sociale, tecnologico, economico, politico e della sostenibilità.
S – SOCIAL: in un futuro in cui i Socially Assistive Robot si diffonderanno nei centri di riabilitazione post ictus di tutto il mondo, per interagire nel lungo periodo con chi è rimasto segnato dalle conseguenze dell’infarto cerebrale, saranno l’autonomia e la motivazione dei pazienti a beneficiare per primi degli effetti positivi di robot umanoidi sempre più evoluti nel linguaggio, nella visione, nei movimenti, nella capacità di riconoscere le emozioni umane e di rispondervi adeguatamente. Nel lavoro degli scienziati dell’Ateneo del Negev, i punteggi più alti registrati dal gruppo SAR in tutti i test clinici sono dovuti proprio a questi due fattori. I social robot, in un programma di riabilitazione post ictus, stimolano negli utenti maggiore autonomia di quanto farebbe un esoscheletro (che i soggetti subiscono passivamente) o addirittura un fisioterapista in carne e ossa, che spesso tende a intervenire (e a interferire) nello svolgimento dei compiti. È la ripetitività controllata e puntuale del setting terapeutico guidato da un robot assistivo ad essere correlata all’aumento del grado di autonomia delle persone reduci da ictus. E riguardo all’aumento della spinta motivazionale, è il feedback visivo e tattile continuo e sistematico a esserne responsabile. Il potenziale motivante dei social robot, nonché teso a sviluppare autonomia nei pazienti, a sua volta, potrebbe condurre, nel tempo, a risultati sempre più incoraggianti, forieri di una ripresa più rapida e più completa.
T – TECHNOLOGICAL: nei prossimi anni, forse decenni, l’evoluzione dell’applicazione dei social robot per la riabilitazione motoria post ictus a lungo termine è destinata ad ampliarsi, con il possibile coinvolgimento di macchine dotate – rispetto al robot Pepper – di altre raffinate tecniche di intelligenza artificiale, tra cui, ad esempio, quelle deputate all’elaborazione del linguaggio naturale, alla memorizzazione, al problem solving che, in futuro, in un setting terapeutico come quello per pazienti post ictus, potrebbero essere impiegate per il trattamento riabilitativo di deficit neurologici che vanno oltre quelli relativi al movimento e che coinvolgono anche il linguaggio e altre abilità cognitive. In questo modo, saremmo di fronte a una riabilitazione post ictus mediante SAR a 360 gradi, capace di prendere in carico le persone reduci da un infarto cerebrale nella loro totalità.
E – ECONOMIC: l’evoluzione dei Socially Assistive Robot preposti all’interazione a lungo termine con pazienti post ictus in seno a programmi di riabilitazione, in futuro, potrebbe portare alla sostituzione definitiva della figura umana in questo ambito medicale? I dati di Kings Research danno il settore della robotica riabilitativa in crescita, con un valore del mercato globale che, entro il 2030, sarà addirittura quadruplicato (239,1 milioni di dollari nel 2022, 1.026,2 milioni di dollari entro il 2030), tenuto anche conto dell’aumento, a partire dalla pandemia da Covid-19, delle malattie croniche e delle disabilità. Questo quadro fa pensare, senz’altro, a un sicuro incremento del numero di social robot nella riabilitazione post ictus nel prossimo decennio, probabilmente sempre affiancati da figure professionali in carne ed ossa, specie neurologi, ai quali è affidato il compito di definire le specifiche tecniche del setting riabilitativo, dal peso degli oggetti coinvolti negli esercizi agli sforzi che le condizioni del paziente gli consentono di sostenere.
P – POLITICAL: sempre, quando si tratta di dispositivi robotici, compresi robot di servizio e robot umanoidi, che interagiscono con l’essere umano (specie in un ambito delicato come quello della disabilità in seguito a deficit neurologici), è d’obbligo un focus sulla loro sicurezza in quanto “macchine” autonome che, se non correttamente programmate e manutenute, potrebbero trasformarsi in fonti di rischio per chi le utilizza. Ricordiamo, a tale proposito, il regolamento 2023/1230 – pubblicato il 29 giugno 2023 e applicabile a partire dal 20 gennaio 2027 – che ha sostituito la vecchia direttiva macchine 2006/42/CE. Qual è la novità di questo nuovo impianto normativo? Innanzitutto, impone ai produttori nuovi componenti di sicurezza e agli utenti nuovi requisiti di protezione nell’ambito dell’interazione uomo-macchina. È, poi, importante che si abbiano chiare non solo le regole da seguire, ma anche la centralità di una corretta gestione dei robot nei contesti in cui vengono inseriti.
S – SUSTAINABILITY: impossibile, quando si parla di macchine dotate di potenti algoritmi di intelligenza artificiale, non considerare il loro elevato impatto dal punto di vista della sostenibilità ambientale, dal momento che i processi che abilitano le loro funzionalità necessitano di milioni di ore di addestramento e di elaborazione, alle quali corrispondono emissioni di elevate quantità di CO2. Un futuro in cui l’utilizzo di social robot evoluti, in grado di interagire, nel lungo periodo, con pazienti post-ictus, divenendo, a livello globale, parte del loro programma di riabilitazione, avrebbe ripercussioni negative sull’ambiente. Si fa forte, a tale riguardo, l’esigenza di non tacere questa criticità, legata, un domani, all’utilizzo esteso di social robot nell’ambito della neuro-riabilitazione che segue a un episodio di infarto cerebrale, iniziando fin d’ora a rendicontare in modo trasparente l’impronta di carbonio che ne deriverebbe.