Nell’ambito della ricerca sugli esoscheletri, la Technical University of Munich (TUM) fissa un nuovo obiettivo: arrivare a interpretare le intenzioni di movimento di chi li utilizza, trasformando questi robot indossabili, da semplici impalcature che sostengono i pazienti paraplegici, a tecnologia che si muove insieme a loro.

TAKEAWAY

  • Gli esoscheletri sono in grado di fare raggiungere la posizione eretta e di fare compiere, in alcuni casi, piccoli passi alle persone su sedia a rotelle.
  • Il connubio sempre più stretto fra discipline quali robotica e neuroscienze ha ottenuto, nel corso degli ultimi anni, risultati impensabili nella riabilitazione dei pazienti paraplegici. Ma a che punto è, oggi, la ricerca in questo campo?
  • La Technical University of Munich (TUM) e, più in particolare, il professor Gordon Cheng, fissano un nuovo obiettivo: interpretare le intenzioni di movimento di chi utilizza l’esoscheletro, trasformando questo robot indossabile, da semplice impalcatura che sostiene la persona non in grado di camminare, a tecnologia che si muove insieme a lei.
  • L’idea del professor Cheng è quella di sviluppare esoscheletri “morbidi”, qualcosa che sia possibile indossare come un capo di abbigliamento e che sia in grado di percepire le intenzioni di movimento del paziente e, allo steso tempo, di fornire un feedback istantaneo.

Gli esoscheletri – protesi bioniche robotizzate per la riabilitazione di pazienti con lesioni al midollo spinale – sono in grado di fare raggiungere la posizione eretta e di fare compiere, in alcuni casi, piccoli passi alle persone su sedia a rotelle.

Il connubio sempre più stretto fra discipline quali robotica e neuroscienze ha ottenuto, nel corso degli ultimi anni, risultati impensabili in questo ambito.Ma a che punto è, oggi, la ricerca? E qual è il prossimo traguardo?

La Technical University of Munich (TUM) e, più in particolare, Gordon Cheng, professore di Neuroscienze e processi cognitivi presso l’Ateneo tedesco, fissano un nuovo ambizioso obiettivo: riuscire a interpretare le intenzioni di movimento di chi utilizza l’esoscheletro, trasformando questo robot indossabile, da semplice impalcatura che sostiene la persona non in grado di camminare, a tecnologia che si muove insieme a lei.

Cheng, partendo dalla tesi in base alla quale l’allenamento continuo per mezzo degli esoscheletri non solo aiuta i pazienti paraplegici a muovere qualche passo, ma li stimola a livello cognitivo, intende portare a un livello superiore la “fusione”, il connubio, tra robotica e neuroscienze.

Già quattro anni fa, nell’ambito del progetto “Walk again”, lo studioso ha addestrato, mediante esoscheletri, alcuni pazienti in carrozzina, i quali, nel tempo, hanno riacquistato un certo grado di controllo sui movimenti delle gambe.

Secondo il professore, questo risultato è solo l’inizio, la punta dell’iceberg. Certo, nessuno dei pazienti che hanno preso parte al progetto cammina autonomamente. Ma, sottolinea Cheng:

Per sviluppare esoscheletri ancora più performanti, dobbiamo scavare più a fondo per capire come funziona il cervello umano e come tradurre queste conoscenze in robotica

Insomma, c’è ancora molto lavoro da fare.

Esoscheletri morbidi, indossabili come capi di abbigliamento e in grado di percepire le intenzioni di movimento del paziente

In un recente articolo pubblicato su Science Robotics, Gordon Cheng e il professor Nicolelis – esperto in neuroscienze e, in particolare, studioso dell’interfaccia uomo-macchina – sostengono che, per compiere i passi successivi in questa direzione, devono essere superate alcune sfide chiave che riguardano da vicino l’integrazione robotica-neuroscienze. Una di tali sfide è “chiudere il circuito tra il cervello e la macchina”. Che cosa significa?

L’idea alla base di questo concetto è che il cervello pensi alla macchina come a un’estensione del corpo. Prendiamo la guida, ad esempio: mentre guidiamo un’auto, non ci preoccupiamo dei nostri gesti automatici. Li compiamo e basta. Come se il cervello, in qualche modo, si fosse adattato all’auto e come se questa fosse una parte del corpo, come se conducente e veicolo fossero una cosa sola. Ecco, vorrei che tra gli esoscheletri e i pazienti che li indossano, si crei lo stesso tipo di comunicazione

spiega Cheng. Gli esoscheletri utilizzati finora nelle ricerche condotte dal professore sono, in realtà, solo grossi pezzi di metallo, piuttosto ingombranti per chi li indossa.

L’idea dello studioso è quella di sviluppare esoscheletri “morbidi”, qualcosa che sia possibile indossare come un capo di abbigliamento e che sia in grado di percepire le intenzioni di movimento del paziente e, allo steso tempo, di fornire un feedback istantaneo.

Visti i recenti progressi della robotica e la più puntuale comprensione dei processi di decodifica, in tempo reale, dell’attività cerebrale dei pazienti, oggi i tempi sono maturi per la creazione di un ambiente uomo-macchina che veda al centro l’uomo (il paziente). E non l’esoscheletro.

esoscheletri
Il connubio sempre più stretto fra discipline quali robotica e neuroscienze ha ottenuto, nel corso degli ultimi anni, risultati impensabili nella riabilitazione dei pazienti paraplegici. Ma a che punto è, oggi, la ricerca nel campo degli esoscheletri?

Occorrono modelli più realistici sui quali lavorare e un approccio multidisciplinare

Per creare un ambiente di questo tipo, sono però necessari robot umanoidi più vicini al comportamento umano e modelli funzionali più realistici, sottolinea Cheng. Il che significa che i robot dovrebbero essere in grado di imitare le caratteristiche umane. Osserva il professor Nicolelis:

Prendiamo l’esempio di un robot umanoide azionato con muscoli artificiali: questa costruzione naturale, che imita i muscoli anziché ricorrere alla tradizionale attivazione motorizzata, fornirebbe ai neuroscienziati un modello più realistico sui cui lavorare nell’ambito dei propri studi sugli esoscheletri

Nell’organizzare il suo Master “Elite Graduate in Neuroengineering”, il primo e unico nel suo genere in Germania, che integra neuroscienze sperimentali e teoriche e formazione approfondita in ingegneria, il professo Cheng ha riunito i migliori studenti del suo corso.

L’obiettivo è coniugare le due discipline, robotica e neuroscienze. Si tratta di un esercizio non semplice, ma l’ideazione del Master risponde proprio a tale sfida: “Per giungere a sviluppare esoscheletri capaci di fondersi con chi li indossa, di percepire le sue intenzioni di movimento e, allo steso tempo, di fornire un feedback istantaneo, è fondamentale formare studenti capaci di ‘pensare in modo più ampio’, col fine di trovare soluzioni inimmaginabili“.

Basilare, in tutto questo, è l’approccio multidisciplinare, che vede la presenza, in qualità di insegnanti all’interno del Master, di figure provenienti da ambiti diversi, ad esempio, dalle strutture ospedaliere e dal mondo della riabilitazione sportiva.

Perché è la formazione il fattore centrale, quello che potrà davvero dare vita a una nuova comunità di ingegneri robotici e di neuroscienziati, a una nuova cultura in questo campo” conclude Cheng.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin