Robot che, in tempo di pandemia da Covid, eseguono triage, tamponi nasali e inserimento di flebo: uno studio del MIT e del Brigham and Women’s Hospital di Boston indaga l’interazione dei pazienti con le macchine in ambito ospedaliero.

TAKEAWAY

  • Di robot in corsia, grazie ai quali ridurre il contatto tra operatori sanitari e pazienti, si è parlato molto durante le fasi più severe della pandemia, con esempi in numerosi ospedali del mondo.
  • I ricercatori del MIT e del Brigham and Women’s Hospital di Boston, in un recente studio, hanno cercato di indagare l’interazione robot-paziente in ambito ospedaliero e di capire come il malato reagisce alla presenza della macchina al proprio fianco.
  • L’esito positivo dello studio è da stimolo allo sviluppo di robot in grado di eseguire procedure sempre più complesse – che attualmente richiedono molto impegno da parte del personale ospedaliero – e di sensori da integrare all’interno di sistemi robotici sempre più piccoli, tali da poter prestare assistenza in ospedali da campo e sulle ambulanze.

Assistenza sanitaria e robotica, in epoca di distanziamento sociale, rappresentano un connubio particolarmente efficace, grazie al quale ridurre il contatto tra operatori sanitari e pazienti nell’ambito di alcune pratiche ospedaliere.

Se ne è parlato molto durante le fasi più severe della pandemia, nella prima parte del 2020. Negli Stati Uniti, ad esempio, è stato assistito da un robot dotato di microfono, telecamera e stetoscopio – controllato a distanza dai medici del reparto – il primo paziente Covid, presso un ospedale di Everett, a poca distanza da Seattle.

E, in Italia, all’ospedale di Circolo di Varese, a marzo del 2020, sette piccoli robot hanno aiutato medici e infermieri in un momento di massima emergenza sanitaria, monitorando saturazione, frequenza cardiaca, respiratoria e pressione arteriosa dei pazienti contagiati, grazie a telecamere in alta definizione montate sulla testa.

I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e del Brigham and Women’s Hospital di Boston, in un recente studio condotto presso il pronto soccorso del Brigham and Women’s, pubblicato il 4 marzo 2021 sulla rivista accademica JAMA Network Open, sono andati oltre, cercando di indagare l’interazione robot-paziente e di capire come il malato reagisce alla presenza della macchina al proprio fianco, in ospedale.

Spiega Giovanni Traverso, professore di ingegneria meccanica presso il MIT, nonché gastroenterologo al Brigham and Women’s Hospital e autore dello studio in tema di assistenza sanitaria e robotica:

Abbiamo lavorato alla messa a punto di un robot in grado di fornire assistenza e, allo stesso tempo, di preservare la sicurezza del paziente Covid e del personale sanitario. E i risultati di questo studio confermano che le persone sono pronte e disponibili a impegnarsi con noi su tali fronti

Assistenza sanitaria e robotica: lo studio del MIT e del Brigham and Women’s Hospital

È stato proprio col dilagare dell’epidemia da Covid, nei primi mesi del 2020, che Traverso e i suoi colleghi hanno iniziato a rivolgere l’attenzione a una serie di strategie atte a ridurre al minimo le interazioni tra i pazienti potenzialmente infetti e gli operatori sanitari, compresi medici e infermieri.

A tal fine, hanno lavorato alla creazione di un sistema robotico mobile, in grado di interagire con i pazienti mentre questi attendono il proprio turno al pronto soccorso, rendendo concreto il binomio tra assistenza sanitaria e robotica, tra il prendersi cura del malato e l’utilizzo di macchine per entrare in contatto con lui.

Il robot messo a punto è dotato di sensori che gli consentono di misurare i segni vitali – tra cui la temperatura della pelle, la frequenza respiratoria, la frequenza del polso e la saturazione di ossigeno nel sangue – e porta con sé un iPad per la comunicazione video remota con un operatore sanitario.

Questo tipo di macchina riduce il rischio di esposizione al virus da parte di medici e infermieri e di quanti, in ospedale, entrano in contatto con i malati Covid. Tuttavia, al termine della sua progettazione, restava una domanda centrale: i pazienti sarebbero stati ricettivi nei confronti dell’interazione col personale sanitario-robot?

Per rispondere, i ricercatori hanno dapprima condotto un sondaggio a livello nazionale su mille persone, ponendo loro domande sull’accettabilità dei robot nell’assistenza sanitaria, sul sentirsi a proprio agio con macchine che eseguono non solo il triage – ossia la valutazione e la selezione immediata del paziente per assegnargli il grado di priorità del trattamento – ma anche operazioni come l’esecuzione di tamponi nasali, l’inserimento di una flebo o pratiche di movimentazione a letto.

L’accettabilità dei sistemi robotici da parte dei pazienti

In media, gli intervistati hanno dichiarato di essere disponibili a questo tipo di interazioni all’interno dell’ospedale. A quel punto, durante la primavera del 2020, quando i casi di Covid-19 erano in aumento in Massachusetts, il gruppo di studio ha deciso testare il proprio robot sul campo, vale a dire nel pronto soccorso del Brigham and Women’s Hospital.

In particolare, sono stati avvicinati cinquantuno pazienti all’interno della sala d’attesa e della tenda in cui veniva effettuato il triage Covid, chiedendo loro se fossero disposti a partecipare allo studio. Ad accettare sono stati in quarantuno, ai quali il personale sanitario dell’ospedale ha posto domande da remoto sulla sintomatologia, tramite connessione video e utilizzando un iPad trasportato dal robot quadrupede, simile a un cane.

Video contributors: Peter Chai, professore di medicina d’urgenza al Brigham and Women’s Hospital, e Giancarlo Traverso, professore di ingegneria meccanica presso il MIT e gastroenterologo al Brigham and Women’s Hospital

Ebbene, anche i risultati del secondo sondaggio su assistenza sanitaria e robotica sono stati incoraggianti: più del 90% dei partecipanti ha riferito di essere soddisfatto del sistema robotico col quale ha interagito durante il triage, trovando l’esperienza simile a quella che avrebbero sperimentato parlando direttamente con medici e infermieri.

Questi dati positivi – osservano i ricercatori – suggeriscono che potrebbe essere interessante, a questo punto, sviluppare robot in grado di eseguire procedure più complesse, che attualmente richiedono molto impegno da parte del personale ospedaliero, come, ad esempio, movimentare il paziente a letto.

È stato dimostrato che la pronazione dei pazienti Covid, ovvero la posizione del corpo disteso, con la faccia verso il basso, aumenta i livelli di ossigeno nel sangue e facilita la respirazione. Ma questa operazione, per essere eseguita, richiede la presenza di diverse persone 

Anche l’esecuzione dei test è un’altra attività che richiede molto tempo e impegno da parte degli operatori sanitari, che potrebbero essere impiegati in altre operazioni se i robot potessero aiutarli a eseguire i tamponi.

Attualmente, il team del Massachusetts Institute of Technology sta continuando a sviluppare sensori in grado di ottenere dati sui segni vitali dei pazienti da remoto e sta lavorando per integrare questi sensori all’interno di sistemi robotici più piccoli, che potrebbero operare in una varietà di ambienti, tra cui ospedali da campo e ambulanze.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin