Una delle grandi sfide delle tecnologie che fanno capo alla realtà virtuale è riuscire a stimolare la memoria in presenza di deficit cognitivi dovuti all’età o a patologie neurologiche degenerative.

TAKEAWAY

  • La realtà virtuale è una sorta di mondo parallelo che ci conduce verso universi inesplorati e opere ancora da realizzare.
  • Sul nostro cervello tutto ciò ha effetti davvero sorprendenti, come appurato da due studiosi dell’Università della California che hanno indagato le potenzialità dell’ippocampo.
  • Le simulazioni fatte a PC potranno servire in futuro ad allenare i riflessi dell’uomo e a recare sollievo, come successo in fase di esperimento.

Realtà virtuale e capacità di memoria sono due sfere unite da un filo in parte invisibile ma che, con l’avanzare del progresso, sta venendo alla luce. Vediamo in che modo.

Innanzitutto bisogna premettere che la realtà virtuale, di frequente abbreviata con VR (che sta per l’inglese “Virtual Reality”), è una tecnologia emergente con la quale possiamo sperimentare una dimensione alternativa rispetto al presente in cui ci troviamo.

Siamo davanti ad un’elaborazione effettuata, tramite computer, da sviluppatori che ricostruiscono determinati contesti, attingendo a dati riguardanti gruppi di persone e gli scenari ideali a cui aspirano. Si tratta di un’innovazione che può essere calata in tantissimi ambiti, tra loro diversi, dalle mostre digitali, allestite all’interno nei musei, fino ad opzioni d’acquisto progettate su misura per store e piattaforme online.

Una gamma molto ampia che arriva a comprendere persino l’assistenza sanitaria e il supporto alle categorie più fragili. Un quadro in cui risultano parecchio interessanti, oltre che in crescente diffusione, le applicazioni tese a ridurre le tracce di deterioramento cognitivo, con difficoltà nel ricordare e nell’apprendere nuovi contenuti.

Una limitazione che può essere dovuta all’età (e parliamo in tal caso di “demenza senile”) o a ridotte capacità di concentrazione nello studio, che possono insorgere nei bambini sin dai primi anni di scuola. E anche se ad oggi la scienza non possiede gli strumenti per bloccare il deciso incedere di malattie come il morbo di Parkinson o la sindrome di Alzhemeir, spesso responsabili della perdita delle funzioni descritte, può rallentarle.

Lo stesso concetto vale per la VR, che è in grado di trasformare stati d’animo negativi con un’azione quasi consolatoria, favorendo un certo ottimismo nei pazienti, i quali possono “visualizzare” i propri desideri, vivendoli appieno. L’obiettivo è limitare sia l’instabilità dovuta alla condizione da cui si sentono avvolti, sia le complicazioni oggettive che ne susseguono.

Il quadro delineato sin qui è necessario per accostarci a uno studio recente – a cura dell’Università della California (UCLA) in collaborazione con il Centro di Neurofisica “W. M. Neck” e il Brain Research Institute, entrambi del medesimo Ateneo – descritto nel documento “Enhanced hippocampal theta rhythmicity and emergence of eta oscillation in virtual reality”, pubblicato su Nature Neuroscience il 28 giugno 2021.

Realtà virtuale e capacità di memoria: lo studio dell’Università della California

L’attenzione dei ricercatori si è concentrata sul comportamento dei topi da laboratorio che, correndo in un perimetro prestabilito, si fermavano occasionalmente in prossimità di fontane che in realtà erano degli ologrammi.

Il loro sistema nervoso, tenuto sotto osservazione, se da un lato era parzialmente consapevole che non uscisse alcun liquido dalla fontana, dall’altro provava entusiasmo nel giocare con esso. 

La regione del cervello maggiormente monitorata durante le sperimentazioni è stata l’ippocampo, dal ruolo centrale nella formazione delle memorie esplicite, nella trasformazione della memoria a breve termine in memoria a lungo termine e nella navigazione spaziale.

Analizzarne a fondo l’importanza è la specializzazione principale del professore Mayank Mehta, PhD, direttore del W.M. Keck Center e docente nella sede dell’UCLA di Los Angeles, che ha evidenziato:

Gli animali sono entrati in contatto con qualcosa di talmente verosimile che hanno finito per saltarci dentro, ricevendo dall’esperienza una sensazione di felicità. Ne è venuto fuori un solido legame tra realtà virtuale e capacità di memoria che ha influenzato il loro umore in positivo. Appellandoci ad una metafora politica, dobbiamo figurarci le singole zone cerebrali come dei Paesi e il loro insieme come la Terra. I neuroni, a loro volta, sono come i governi locali. Insomma abbiamo più strati che affrontano in maniera diversa gli avvenimenti

Come la VR stimola alcune onde cerebrali

Un apparato complesso nel quale la ricerca su cui ci stiamo soffermando vuole essere risolutiva, focalizzandosi in particolare sulle onde cerebrali theta, gli impulsi elettrici che regolano i flussi di idee e, al contempo, la tendenza ad adattarsi dinanzi ad eventi imprevisti.

Ad esempio – spiega il professor Mehta – esse ci aiutano a conservare ricordi a cui teniamo e a gestire intuizioni e suggestioni che si manifestano in stato di rilassamento, sotto la doccia, nel corso di sogni ad occhi aperti o quando pratichiamo discipline sportive o esercizi ginnici”.

Motivi per cui il team ha allestito una finta pista di atletica per sette topi – sui quali sono stati impiantati circa mille elettrodi della grandezza dei capelli umani – osservando che, durante l’attività, la velocità di tali onde cerebrali è addirittura aumentata.

Una reazione inaspettata – ha commentato il docente – “perché, se ci riflettiamo, l’incontro tra realtà virtuale e capacità di memoria può avvenire esclusivamente attraverso la visione”. Rimangono esclusi dal discorso l’olfatto e il tatto, dal momento che non possiamo annusare o toccare un’immagine generata da un software e quindi il corpo non riceve feedback in merito.

Realtà virtuale e capacità di memoria: risvolti e prospettive dello studio americano

Tra realtà virtuale e capacità di memoria si innesca comunque un collegamento profondo che risiede nell’attitudine a percepire lo spazio circostante. Facoltà che, tuttavia non è facilmente ingannabile, perché ci sono degli elementi in base ai quali poter distinguere vero e falso, come l’accelerazione compiuta dalla testa in movimento. Oppure pensiamo ai cambiamenti di posizione per oggetti che dovrebbero rimanere fissi, ma anche all’aria che passa sul viso quando ci spostiamo.

Sono aspetti che i nostri organi controllano in continuazione” ha concluso Mehta che ha indicato la direzione verso cui si muoverà nei prossimi mesi. Il punto chiave sta nell’intervenire su competenze che non riescono ad esprimersi per motivi fisiologi o magari a causa di traumi subiti.

Lo spiraglio aperto da questo studio sta nell’insistere su quanto fatto finora, cercando di confondere il più possibile i sensi e renderli così più resistenti, migliorando le abilità mnemoniche. Illusioni ben costruite inviano input senza precedenti che possono allargare l’orizzonte esperito dall’attività mentale.

Scritto da:

Emanuele La Veglia

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin