Un inedito modello danno-riparazione, inquadrando il meccanismo molecolare che si attiva dopo la rottura del doppio filamento del DNA, getta nuova luce sulle terapie antitumorali mirate.

Nell’essere umano, fattori quali agenti inquinanti presenti nell’ambiente, radiazioni e sostanze chimiche, nonché errori durante il suo processo di replicazione (responsabili di mutazioni assai nocive per la salute) determinano una serie di danni al DNA, con impatti negativi sulle funzioni cellulari, sullo sviluppo di malattie e sull’aumento del rischio di cancro.

Per la precisione, il danno al DNA è dato da «cambiamenti o interruzioni che si verificano nella sua molecola» e può essere di diversi tipi, tra cui quello causato dalle rotture che interessano i suoi filamentiPiù nello specifico,nelle rotture a filamento singolo del DNA (o SSB, dall’inglese Single-Strand Breaks) viene tagliato un solo filamento, mentre nelle rotture a doppio filamento (o DSB, dall’inglese Double-Strand Breaks) vengono tagliati entrambi.

Quest’ultima tipologia di danno è considerata la più grave, poiché «il DNA si spezza in due», interrompendo così la sua replicazione e «attivando processi che possono portare alla morte cellulare» [fonte: “DNA Damage and DNA Repair: Types and Mechanism” – Microbe Notes].

Tuttavia, «per garantire l’integrità dei loro genomi, le cellule si sono evolute per sviluppare meccanismi di riparazione del DNA». A tale riguardo, la ricerca dell’ultimo decennio nell’ambito delle biotecnologie ha scoperto che, in questi meccanismi, ha un ruolo centrale la cosiddetta “proteina PARP1” (nota come “sensore” dei danni al DNA), sia in riferimento alle rotture a filamento singolo, sia in quelle a filamento doppio, «rivestendo i filamenti e agendo come uno scudo» [fonte: “PARP1” – ScienceDirect].


Il modo in cui i filamenti spezzati del DNA vengono tenuti insieme, impedendo che si separino irrimediabilmente, è stato recente oggetto di studio da parte del Politecnico di Dresda, il quale, nel proprio lavoro, è partito dalle conoscenze note sul ruolo delle proteine PARP1 e FUS.
L’ipotesi – successivamente convalidata da un test biochimico in provetta – dalla quale ha preso il via il lavoro di ricerca, vede le molecole PARP1 aggregarsi per dare consistenza a un materiale colloso, in grado di tenere insieme le estremità dei due filamenti di DNA, grazie anche all’azione “ammorbidente” della proteina FUS.
Quanto evidenziato dagli autori offre nuovo materiale alla ricerca internazionale sulle terapie oncologiche che puntano a distruggere solo le cellule tumorali (in questo caso, quelle avvolte dalla supercolla PARP1), salvando quelle sane, con enormi benefici per il paziente.

Biotecnologie e riparazione del DNA: il cordone proteico diretto da PARP1

Sulle attività di riparazione del DNA da parte della proteina PARP1, si è recentemente espresso un gruppo di scienziati diretto dal Centro di biotecnologie del Politecnico di Dresda, in Germania. In “PARP1-DNA co-condensation drives DNA repair site assembly to prevent disjunction of broken DNA ends”, studio pubblicato sul numero di febbraio 2024 della rivista scientifica Cell, il team si sofferma, in particolare, sulla rottura in due pezzi del DNA e sul comportamento delle nostre cellule «nell’assicurarsi che i fili spezzati non si separino e possano essere ricollegati».

Il “come” questo accade, «è rimasto, finora, un mistero» osservano gli autori. E sottolineano:

«Le rotture del doppio filamento del DNA vengono riparate nei loro siti. Ad oggi, però, non è ancora ben chiaro come questi siti vengano assemblati e come si impedisca la separazione del DNA rotto»

Quello che sappiamo è che la proteina PARP1 agisce come un “pronto soccorso” sul luogo dell’incidente: «… il suo compito è viaggiare lungo il DNA e pattugliarlo, alla costante ricerca di danni da riparare. Una volta individuata una rottura del doppio filamento, scatta l’allarme per chiamare a raccolta le proteine riparatrici».

Il meccanismo noto è quello della protezione – isolandolo – del punto esatto della rottura del doppio filamentorispetto al resto dell’ambiente. Quindi, arrivata sul posto, PARP1 ne delimita innanzitutto l’area, per consentire alla squadra di riparatori molecolari di svolgere il proprio lavoro in uno spazio sicuro.

Una supercolla fatta di proteine per ricongiungere i fili spezzati del DNA

Una delle proteine riparatrici chiamate a raccolta da PARP1, è la “Proteina Fusa nel Sarcoma” – detta anche FUS, dall’inglese “Fused in Sarcoma” – conosciuta per essere una proteina “legante”, implicata nel mantenimento dell’integrità del DNA. [fonte: “Fused in Sarcoma (FUS) in DNA Repair: Tango with Poly(ADP-ribose) Polymerase 1 and Compartmentalisation of Damaged DNA“ – National Library of Medicine].

Anche relativamente alla funzione della FUS nelle dinamiche di riparazione delle rotture a doppio filamento – spiega il team di studio in tema di biotecnologie e riparazione del DNA – non si hanno molte informazioni. Sappiamo solo che viene reclutata nei siti danneggiati del DNA.

L’ipotesi di partenza formulata dagli autori è che le singole molecole di PARP1 siano in grado di rilevare la rottura del doppio filamento del DNA e, successivamente, di connettersi tra loro per dare consistenza a una sorta di “goccia” di quella che – essi stessi – hanno definito “supercolla subacquea”, collosa al punto da impedire la separazione delle due estremità di ognuno dei filamenti.

«Chiamiamo questa colla “condensato”, ammasso di proteine e molecole di DNA strettamente interconnesse, isolate dal resto della cellula. Questa colla formerebbe una zona di guarigione speciale»

evidenza il gruppo di ricerca. E, in tutto questo, quale ruolo avrebbe la proteina FUS? «Potremmo dimostrare che il FUS agisce come un lubrificante per ammorbidire la colla, in modo che le proteine riparatrici non trovino un muro davanti e possano entrare agilmente all’interno del condensato per portare a termine il loro compito».

I ricercatori lo considerano un esempio di «comportamento proteico collettivo», in cui ogni proteina fa la propria parte, ma tutte con l’obiettivo comune di collaborare per invertire – insieme – il danno al DNA.

Biotecnologie e riparazione del DNA: scenario in provetta del meccanismo ipotizzato

Gli scienziati del Centro di biotecnologie del Politecnico di Dresda, per convalidare le ipotesi formulate, hanno ricreato lo scenario del danno in un ambiente controllabile e privo di cellule come quello del test biochimico in provetta, che ha permesso loro di ottenere approfondimenti inediti sulla regolazione del meccanismo di riparazione delle rotture a doppio filamento del DNA.

Lo studio ha, innanzitutto, dimostrato che i siti delle rotture del doppio filamento si formano attraverso la co-condensazione di proteine e molecole di DNA.

«I co-condensati esercitano forze meccaniche per tenere insieme le estremità del DNA spezzato e diventare enzimaticamente attivi per la sintesi della proteina PARP1. E la proteina FUS stabilizza le estremità rotte del DNA contro la separazione, rivelando un ordine di eventi che prepara il DNA rotto alla riparazione» fa notare il team. Più nel dettaglio, «la separazione delle estremità del DNA è impedita dalle forze di condensazione bidirezionali esercitate dalle interazioni intermolecolari».

I risultati ottenuti dalla rappresentazione in provetta del meccanismo molecolare ipotizzato forniscono un paradigma della riparazione del danno al DNA mediante l’attivazione della proteina PARP1. Concludono gli autori:

«Notiamo una notevole corrispondenza tra il comportamento di PARP1 e altri fattori di danno al DNA in vitro e nelle cellule. Ciò implica che le interazioni identificate nei nostri test biochimici somigliano molto a quelle che operano nelle cellule. In particolare, questa congruenza è stata osservata sia per le grandi lesioni del DNA indotte dall’irradiazione che per quelle più piccole»

Il lavoro dell’Ateneo tedesco, tuttavia, prende in esame solo determinate tipologie di rotture a doppio filamento del DNA, motivo per cui – in futuro – saranno necessarie ulteriori indagini per capire se altre classi di danno al DNA presentano la medesima dinamica della proteina PARP1 oppure un altro comportamento.

Glimpses of Futures

La valenza dello studio condotto dal Centro di biotecnologie del Politecnico di Dresda in tema di riparazione del DNA non solo risiede nell’avere ricostruito il compito cruciale della proteina PARP1 dopo la rottura del doppio filamento del DNA. Essa segna anche un traguardo importante nella ricerca sul cancro, con un focus particolare sulle terapie oncologiche mirate.

«A causa del suo ruolo nella riparazione dei danni al DNA, PARP1 è già un bersaglio di trattamenti antitumorali approvati. L’inibizione di PARP1 uccide selettivamente le cellule tumorali. Il nostro lavoro rivela le basi molecolari e fisiche del motivo per cui queste terapie antitumorali hanno così tanto successo» rimarca il team.

Servendoci della matrice STEPS, tentiamo ora di anticipare scenari futuri, analizzando gli impatti che l’evoluzione del modello danno-riparazione del DNA, intuito e ricostruito in provetta dai ricercatori tedeschi, potrebbe avere dal punto di vista sociale, tecnologico, economico, politico e della sostenibilità.

S – SOCIAL: i dati emersi da questo studio aiutano a comprendere meglio «il ruolo più ampio della riparazione del danno al DNA nei tumori, supportando, così, la strategia per la terapia antitumorale mirata, il cui potenziale è quello di sopprimere solo la risposta al danno al DNA da parte delle cellule tumorali, non intaccando quelle sane» [fonte: “DNA damage repair: historical perspectives, mechanistic pathways and clinical translation for targeted cancer therapy” – Nature]. Per i pazienti oncologici, questo si traduce in una riduzione degli effetti collaterali, tipici delle terapie convenzionali. E, in uno scenario futuro, nel loro completo azzeramento, con impatti positivi sotto il profilo psicologico e delle tempistiche di ripresa delle attività.

T – TECHNOLOGICAL: le intuizioni (poi convalidate dal test biochimico in provetta) che hanno guidato i biotecnologi di Dresda, hanno portato alla definizione di un modello danno-riparazione del DNA in base al quale la terapia antitumorale danneggerebbe la supercolla PARP1, «al punto da “bloccarla” sul DNA e renderla un ostacolo al meccanismo di replicazione delle cellule tumorali, spingendole al suicidio». In futuro, occorrono nuove ricerche e nuove tecniche biotech per confermare questo schema e approfondirne i passaggi, arrivando, un giorno, ad abbandonare la provetta per passare ai test in vivo.

E – ECONOMIC: le terapie antitumorali mirate – che la ricerca descritta sostiene – si adattano al profilo genetico del paziente, in linea con la risposta riparatrice delle sue cellule al danno al DNA. Necessitano, dunque, di test genetici preliminari e di test di diagnostica molecolare, il cui costo è piuttosto elevato, ponendo alcune criticità legate alla spesa oncologica sostenuta dal Sistema sanitario nazionale. Solo per citare qualche numero, si calcola, nell’UE, un impatto economico complessivo delle malattie oncologiche che supera i 100 miliardi di euro l’anno. Da qui, l’urgenza di definire sempre più puntuali strumenti finanziari a sostegno dei Paesi membri.

P – POLITICAL: in futuro, la possibile evoluzione delle terapie oncologiche mirate, basate sull’inibizione della supercolla PARP1, richiederà politiche sempre più attente a garantire sostegno economico-finanziario attraverso azioni concrete. Il Piano europeo di lotta contro il cancro, presentato dalla Commissione europea nel 2021, va in questa direzione, promuovendo, oltre alla prevenzione sostenibile e alla diagnosi precoce più efficace, parità di accesso alla diagnostica di ultima generazione e alle cure su base genetica.

S – SUSTAINABILITY: in uno scenario futuro in cui le terapie antitumorali mirate, aderenti al meccanismo di inibizione della supercolla PARP1, supereranno tutti i test e verranno approvate, si porrà il problema della loro sostenibilità sociale, data dall’accesso equo alla loro fruizione e dall’abbattimento delle disuguaglianze sanitarie. Queste ultime, nel caso specifico del nostro Paese, si pongono con l’approvazione del disegno di legge sull’autonomia differenziata delle Regioni del 23 gennaio 2024, che sancisce il “regionalismo sanitario”, col rischio di non vedere garantiti in maniera omogenea, in tutte le regioni, test diagnostici e cure per i pazienti oncologici.

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