La connessione tra la biomeccanica delle cellule tumorali e le funzioni (dunque, non la morfologia) di queste ultime diventa la base di un nuovo metodo col quale “misurare” e classificare l’attività del cancro.

Il carattere dinamico ed eterogeneo della malattia oncologica, dalle numerose manifestazioni declinate in tipologie e in gradi diversi, che mutano da paziente a paziente, ne impedisce una definizione univoca.

La sua eterogeneità trova espressone nelle «differenze tra tumori dello stesso tipo in pazienti diversi, tra le cellule tumorali all’interno di un stesso tumore e tra un tumore primario e un tumore secondario» [fonte: National Cancer Institute].

A proposito di eterogeneità, un team di ricercatori del Massachusetts General Hospital l’ha definita «il carburante per la resistenza del tumore. La sua forza trainante», dalla cui attenta analisi clinica dipende lo sviluppo di terapie più efficaci. Particolarmente perniciosa – fanno notare – è l’eterogeneità intratumorale, oggetto di studio per la messa a punto di metodologie con le quali contrastarne le conseguenze e rendere più rapida l’elaborazione di trattamenti farmaologici personalizzati [fonte: “Tumour heterogeneity and resistance to cancer therapies” – Nature Reviews Clinical Oncology].


Lo studio della biomeccanica cellulare permette di identificare, in quelle cellule altamente deformabili, un indizio della condizione tumorale. Tali cellule, inoltre, in virtù del loro comportamento particolarmente elastico, riescono ad assorbire – inglobandole – micro e nanoparticelle.
Il recente lavoro dell’Università Ebraica di Gerusalemme, concentrandosi sul processo di fagocitosi innescato dalle cellule tumorali e ricorrendo al machine learning per misurarlo e classificarlo, inaugura un nuovo “sistema” volto ad approfondire le conoscenze sull’ambiente del cancro e a predirne il grado di malignità raggiunto e l’eventuale resistenza a determinate terapie.
In uno scenario futuro, la conferma, anche nei test clinici, dei risultati finora ottenuti dai ricercatori in laboratorio, significherebbe un nuovo passo avanti verso i trattamenti personalizzati per i pazienti affetti da patologie oncologiche.

Le informazioni derivanti dalla biomeccanica delle cellule tumorali

Nel cogliere l’esordio e l’evoluzione della malattia oncologica, viene in aiuto l’osservazione della biomeccanica cellulare, la quale ha il compito di trovare un asse di equilibrio tra la vastità delle funzioni delle cellule.

Le proprietà meccaniche di queste ultime sono classificate in tre gruppi, che fanno capo ad attributi quali viscoelasticità, capacità di generare tensione meccanica e capacità di «alterare le proprie caratteristiche morfologiche e funzionali in seguito a stimolazioni meccaniche». Ognuna di queste proprietà è quantificabile e le loro modificazioni sono correlate ad attività biologiche rilevanti per il cancro, tra cui quelle che ne determinano la malignità. Ad esempio, la viscoelasticità – ossia l’abilità della singola cellula di assumere un comportamento elastico e viscoso in risposta a una forza interna o esterna, resistendo così alla propria deformazione – è un indicatore importante nel contesto del cancro. Più in particolare, all’interno dello stesso tessuto, il livello di viscoelasticità delle cellule tumorali risulta più elevato rispetto a quello delle cellule sane. «E una più elevata viscoelasticità cellulare tende ad essere associata a livelli più elevati di malignità in molte linee cellulari tumorali».

Anche l’alterazione delle caratteristiche morfologiche e funzionali di fronte a stimolazioni meccaniche (detta anche “meccanosensing”) è maggiore nelle cellule tumorali, il cui ambiente tende a favorire quei cambiamenti fenotipici ideali alla formazione e alla crescita delle metastasi [fonte: “Biomechanics of cancer cells” – Bioengineering Innovative Solutions for Cancer, 2020].

Corrispondenza tra deformazione delle cellule tumorali e assorbimento di particelle

Uno studio reso pubblico il 29 maggio 2024 su Science Advances – “Particle uptake in cancer cells can predict malignancy and drug resistance using machine learning” – a cura delle Facoltà di farmacia, di ingegneria e informatica dell’Hebrew University di Gerusalemme, porta l’attenzione, oltre che sulle loro funzioni biologiche, sul fatto che le cellule altamente deformabili – indicative della condizione tumorale – «presentano maggiori probabilità di fagocitare particelle di dimensioni submicrometriche e micrometriche».

Più nel dettaglio, «durante la fagocitosi, che tipicamente avviene con particelle di dimensioni comprese tra >200 nm e 10 μm, le cellule tumorali subiscono deformazioni sostanziali, rimodellando il loro citoscheletro. Questo comporta un’adesione iniziale delle particelle alla membrana cellulare e, in seguito a un processo scandito da più fasi e da più fattori, all’inghiottimento delle stesse particelle».

L’analisi e la misurazione di questo processo – spiega il team di ricerca – sono in grado di fornire tutta una serie di informazioni sulla fluidità della membrana delle cellule in questione, sul livello di aderenza delle particelle e sul rimodellamento del citoscheletro. Dati preziosi, in quanto consentono di rilevare il grado di malignità raggiunto dal tumore e la sua eventuale resistenza a determinati chemioterapici.

Da qui, il focus dell’Ateneo di Gerusalemme sulla fagocitosi descritta, con l’obiettivo di gettare le basi di un nuovo metodo volto allo studio della biomeccanica a livello di singola cellula tumorale e di gruppo di cellule tumorali.

Analisi algoritmica dell’assorbimento di micro e nanoparticelle

L’obiettivo del gruppo di lavoro era arrivare a definire “modelli di assorbimento” delle micro e nanoparticelle,tali da fornire un livello più profondo di informazioni sulla deformabilità cellulare e, dunque, sull’ambiente del tumore.

La fase di test ha visto l’impiego di particelle di polistirene marcate in modo fluorescente, di dimensioni comprese tra 0,04 e 3,36 μm, analizzate mediante citometria a flusso, «tecnica che permette di riconoscere, contare e isolare sottogruppi di cellule sulla base di alcune caratteristiche fisiche e dei segnali generati da marcatori fluorescenti».

Per la classificazione delle immagini di cellule tumorali (dunque altamente deformabili e fagocitanti) in base a modelli di assorbimento di particelle di diverse dimensioni con le quali è stato permesso loro di interagire, è stato sviluppato un sistema di apprendimento automatico, addestrato per mezzo di dati video inerenti a diecimila cellule tumorali di diversa morfologia e proprietà meccaniche, con e senza micro e nanoparticelle intorno.

Il sistema AI è stato, poi, testato nell’ambito dell’analisi e della classificazione di tre coppie di cellule tumorali – diverse per livello di malignità e di resistenza ai farmaci – formate da cellule di cancro del polmone umano con vari livelli di resistenza all’agente chemioterapico denominato “cisplatino”; cellule di cancro della prostataumana con diverso potenziale metastatico; cellule di melanoma umano con diversi livelli di invasività.

Per ogni variabile – ovvero fluidità della membrana delle cellule tumorali, livello di aderenza delle particelle e rimodellamento del citoscheletro delle cellule – sono state analizzate undici caratteristiche.

Oltre i metodi basati sulla morfologia delle cellule tumorali

«Gli algoritmi di machine learning sono stati in grado di classificare le tre coppie di cellule tumorali con tassi di precisione superiori al 95%», fanno sapere i ricercatori dell’Hebrew University.

Come da ipotesi di partenza formulata, i risultati ottenuti sperimentalmente hanno rilevato che, all’interno di gruppi di cellule tumorali dalle proprietà morfologiche simili (dunque omogenee sotto questo profilo), vi erano quelle dalle proprietà meccaniche distinte (qui entra gioco l’eterogeneità), che non possono essere differenziate in base ai loro parametri morfologici, ma in base ai dati relativi ai loro meccanismi di assorbimento delle micro e nano particelle. Il che suggerisce l’importanza dell’analisi del processo di fagocitosi nell’individuazione puntuale della dinamica di progressione del cancro, nonché della sua resistenza a determinati trattamenti di chemioterapia.

«Abbiamo dimostrato che il parametro morfologico non è sempre sufficiente a distinguere le caratteristiche funzionali delle cellule tumorali» concludono gli autori, sottolineando come l’approccio basato sulle caratteristiche funzionali consenta la classificazione nelle fasi iniziali delle alterazioni fenotipiche nelle popolazioni di cellule tumorali che non hanno ancora raggiunto modifiche morfologiche e che, quindi, non possono essere facilmente identificate mediante metodi di analisi basati solo sulla morfologia.

Glimpses of Futures

Ci vorranno anni affinché la metodologia definita dal team dell’Ateneo di Gerusalemme possa essere testata su campioni e contesti clinici. Tuttavia, per il momento, gli esiti del primo test hanno rilevato una chiara associazione tra i modelli di assorbimento cellulare e le funzioni delle cellule tumorali.

Il meccanismo di tale connessione è stato analizzato e classificato per mezzo dell’apprendimento automatico e, in futuro, il “sistema” messo a punto potrebbe divenire uno strumento predittivo clinicamente strategico per quanto concerne la resistenza ai farmaci delle cellule tumorali e i loro livelli di malignità.

Proviamo, ora, ad anticipare possibili scenari futuri, analizzando – avvalendoci della matrice STEPS – gli impatti che l’evoluzione del metodo illustrato potrebbe avere su più fronti.

S – SOCIAL: i risultati conseguiti dai ricercatori dell’Università Ebraica, se, in futuro, venissero convalidati anche in sede clinica, segnerebbero un ulteriore passo avanti nella direzione dei “trattamenti su misura” per coloro i quali sono affetti da patologie oncologiche, a cominciare da una diagnosi ancora più tempestiva e precisa del cancro – in quanto non fondata sullo studio della struttura delle cellule tumorali (nelle primissime fasi della malattia ancora morfologicamente integre), bensì sulle loro funzioni – fino ad arrivare a prevederne il grado di malignità, la sua dinamica di progressione e l’eventuale resistenza a specifici farmaci chemioterapici, tutti parametri altamente variabili da persona a persona. I benefici, per i pazienti, sarebbero dati da tempi di attesa ridotti per l’ottenimento di una diagnosi puntuale e da trattamenti più efficaci (non standardizzati, ma personalizzati) di cui fruire.

T – TECNOLOGICAL: il fatto di raccogliere e analizzare nuove tipologie di informazioni sulle cellule tumorali – diverse rispetto a quelle derivate principalmente dall’imaging diagnostico e dai marker tumorali mediante prelievo del sangue – in futuro, potrebbe aprire nuove prospettive anche nell’ambito dello sviluppo di apparecchiature inedite per i test clinici, nonché di esami del sangue innovativi per i pazienti oncologici. Inoltre – avanzano gli autori – poiché il metodo elaborato consiste nell’esaminare cellule tumorali (ottenute da biopsie), caratterizzate da elevata variabilità da persona a persona, al fine di fornire uno strumento davvero utile alla terapia personalizzata, la futura validazione clinica dovrebbe includere un tool statistico, in grado di fornire dati statistici sulle differenti caratteristiche biomeccaniche delle cellule tumorali riferite a determinate categorie di pazienti, suddivise, ad esempio, per età, storia clinica, genere ed etnia.

E – ECONOMIC: se, negli anni a venire, lo schema descritto diventasse, a tutti gli effetti, uno strumento predittivo del livello di progressione raggiunto dal cancro e venisse adottato sistematicamente in ambito clinico, probabilmente sarebbe destinato a ridursi, a livello globale, il ricorso alla diagnostica per immagini (che capta solo la morfologia delle cellule tumorali e non la loro biomeccanica), vale a dire radiografie, TAC, ecografie e, in prevalenza, risonanze magnetiche, normalmente prescritte per diagnosticare la presenza di tumori in organi e tessuti e monitorarne l’evoluzione. Il che si tradurrebbe in un risparmio significativo per il Sistema Sanitario di ogni Paese, in molti casi già gravato dalla spesa di prestazioni mediche “inutili”, come sottolineato – per quanto riguarda, in particolare, l’Italia – dal Ministro della Salute Orazio Schillaci, il quale ha parlato di almeno il 20% del totale delle richieste di esami e visite ritenute inappropriate.

P – POLITICAL: come già accennato, l’approccio illustrato – basato sulle caratteristiche funzionali delle cellule tumorali e non su quelle morfologiche – consente l’identificazione del cancro fin dalle fasi iniziali, quando le alterazioni fenotipiche non hanno ancora prodotto modifiche nella struttura cellulare, consentendo, in questo modo, una diagnosi ancora più precoce e rapida della malattia, in linea con quanto viene espresso all’interno della recente documentazione del nostro Parlamento “Politiche per la lotta contro i tumori in Italia” e con la Raccomandazione del Consiglio europeo relativa al rafforzamento della prevenzione attraverso l’individuazione precoce dei tumori. In un possibile scenario futuro, che vedrebbe l’applicazione sistematica del metodo sviluppato dal team dell’Ateneo ebraico, il Governo del nostro Paese dovrà, però, lavorare affinché nessuna Regione resti esclusa, né indietro, in fatto di diagnosi precoce delle patologie oncologiche. Timore, purtroppo, non infondato, in quanto il Disegno di legge sull’autonomia differenziata delle Regioni (ancora in pieno iter di approvazione) potrebbe, per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, esacerbare, per alcune aree del Paese, situazioni di non equità di accesso alle cure.

S – SUSTAINABILITY: la possibile riduzione, in futuro, degli esami afferenti all’area radiologica – radiografie, TAC, ecografie e risonanze magnetiche – in seguito all’ingresso, nelle strutture sanitarie, di un sistema predittivo del livello di progressione dal cancro basato sull’analisi delle funzioni cellulari e non delle loro strutture rilevate per mezzo di immagini, non avrebbe soltanto un impatto di tipo economico, bensì anche sotto il profilo della sostenibilità ambientale. La radiologia, infatti, nel sistema sanitario mondiale, è uno dei principali consumatori di elettricità e la letteratura sul tema ne descrive i consumi energetici. Solo per citare un esempio, un’indagine americana resa pubblica ad aprile del 2023 – “Radiology Environmental Impact: What Is Known and How Can We Improve?”, Academic Radiology – menziona un rapporto del network no-profit Canadian Coalition for Green Health, il quale rivela, in riferimento al Canada, la media dei consumi annuali di dispositivi di risonanza magnetica (111.000 kWh/anno), TAC (41.000 kWh/anno), raggi X (9.500 kWh/anno) ed ecografie (760 kWh/anno). Numeri allarmanti, se pensiamo alla loro moltiplicazione per tutti i Paesi del mondo.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin