Dai ricercatori dell'Università di San Diego, una terapia genica contro il dolore cronico che offre ai pazienti un'alternativa (duratura e senza il pericolo di dipendenza) ai classici analgesici derivanti dall’oppio.

TAKEAWAY

  • Il dolore cronico è una condizione clinica invalidante, da sempre affidata al trattamento standard per mezzo di analgesici oppioidi, responsabili di creare una forte e pericolosa dipendenza nei pazienti.
  • È di pochi giorni fa la notizia di una nuova terapia genica (la prima risale al 2008) in grado di reprimere temporaneamente il gene coinvolto nella percezione del dolore.
  • In particolare, il team di studio si è servito di una forma mutante della proteina Cas9 – nota come “dead Cas9” o “dCas9” – priva della capacità di tagliare il DNA, ma in grado “attaccarsi” a un gene target bloccandone l’espressione in modo non permanente.

La terapia genica contro dolore cronico fa, oggi, un importante passo in avanti, divenendo una concreta alternativa agli analgesici oppioidi (il cui principio attivo deriva dall’oppio) che, da quasi un cinquantennio, rappresentano lo standard terapeutico in questo specifico ambito.

Il dolore cronico è una condizione clinica invalidante, associata a molteplici patologie, tra cui quelle di natura oncologica, reumatologica, neurologica e muscolo-scheletrica. In Italia, si stima ne soffra circa il 20-25% della popolazione, con picchi del 60% sopra i 65 anni.

I primi studi alternativi volti a combattere questo tipo di condizione risalgono al 2008, con gli scienziati dell’University of Michigan Department of Neurology che mettono a punto una terapia genica per trattare il dolore cronico causato dal cancro, basata sull’impiego di un innovativo vettore di trasferimento genico – creato a partire dal virus herpes simplex (HSV) – che esprime il neurotrasmettitore encefalina, un oppioide endogeno coinvolto nella regolazione della sensazione dolorifica.

E il 10 marzo 2021, con un documento pubblicato su Science Translational Medicine, i ricercatori dell’Università di San Diego, in California, annunciano di aver sviluppato una nuova terapia genica che funziona reprimendo temporaneamente un gene coinvolto nella percezione del dolore, senza causare intorpidimento.

Il sistema “CRISPR-dead Cas9” per la nuova terapia genica contro dolore cronico

Quello che la comunità medica ha a disposizione in questo momento contro il dolore cronico – fa notare Ana Moreno, studentessa di bioingegneria della Jacobs School of Engineering, in seno all’Ateneo di San Diego, e tra gli autori dello studio – non è una soluzione efficace. Gli analgesici oppioidi, assunti per un tempo prolungato, rendono, giorno dopo giorno, i pazienti sempre più sensibili al dolore, spingendoli, così, a fare uso di dosi sempre più elevate. C’è, dunque, un forte bisogno di un trattamento terapeutico che non crei pericolose dipendenze

Punto di partenza della nuova terapia genica contro dolore cronico è stato uno studio incentrato su una mutazione genetica che porta gli esseri umani a non provare dolore fisico. Mutazione che inattiva una proteina presente nei neuroni che trasmettono il dolore lungo il midollo spinale, chiamata NaV1.7: mettendo a tacere questa proteina, sensazioni derivanti dal contatto con qualcosa di bollente o di molto appuntito non vengono registrate come “dolore”.

A quel punto, il team di ricerca ha deciso di lavorare sulla repressione genica della proteina NaV1.7 utilizzando il sistema CRISPR. Nello specifico, si è servito di una forma mutante della proteina Cas9 denominata “Cas9 Endonuclease Dead”, nota anche come “dead Cas9” o “dCas9”, priva della capacità di tagliare il DNA, ma in grado “attaccarsi” a un gene target bloccandone l’espressione. Sottolinea la dottoressa Moreno:

Non si tratta di eliminare alcun gene, quindi non ci sono cambiamenti permanenti nel genoma. Una delle maggiori preoccupazioni riguardo al sistema CRISPR Cas9 è il possibile rischio di errori di taglio: una volta tagliato il DNA, non si può tornare indietro. Utilizzando la proteina dead Cas9, invece, l’operazione è reversibile

I primi test di laboratorio

Nell’ambito della terapia genica contro dolore cronico, i ricercatori dell’Università di San Diego hanno impiegato il sistema CRISPR-dead Cas9 per reprimere il gene che codifica la proteina NaV1.7, responsabile della trasmissione del dolore lungo il midollo spinale.

I test di laboratorio, eseguiti sui topi, hanno dato esiti positivi. In particolare, si è notato come il trattamento fosse ancora efficace dopo 44 settimane dalla somministrazione. Ma la durata – specificano gli scienziati – è ancora in fase di test. Inoltre, i topi trattati non hanno perso la sensibilità, né hanno mostrato alcun cambiamento nella normale funzione motoria.

Per convalidare tali risultati, sono stati eseguiti gli stessi test utilizzando un altro strumento di terapia genica (nato prima del CRISPR) chiamato “a dita di zinco”, in quanto rimanda a specifiche regioni proteiche in grado di legare il DNA caratterizzate dalla presenza di uno o di due atomi di zinco.

Più nel dettaglio, il gruppo di studio ha progettato “dita di zinco” che si legano in modo simile al gene target e bloccano l’espressione della proteina NaV1.7. Le iniezioni di questa seconda terapia genica nei topi hanno prodotto gli stessi risultati del sistema CRISPR-dead Cas9.

Terapia genica contro dolore cronico: la differenza tra i metodi CRISPR e “a dita di zinco”

Qual è la differenza tra i due metodi utilizzati durante la ricerca? Spiega Ana Moreno:

Le proteine a dito di zinco sono costruite sull’impalcatura di una proteina umana. Il sistema CRISPR, invece, si fonda su una proteina estranea proveniente da batteri che, quindi, potrebbe causare una risposta immunitaria da parte dell’organismo. Abbiamo deciso di esplorare entrambi i sistemi in modo da avere due opzioni, di cui una meno rischiosa e più traducibile in ambito clinico

Il team afferma che entrambe le soluzioni potrebbero essere valide per un grande numero di condizioni di dolore cronico derivanti dall’aumentata espressione della proteina NaV1.7, tra cui la polineuropatia diabetica, l’eritromelalgia, la sciatica e l’artrosi e in quei pazienti sottoposti a chemioterapia.

Per i suoi effetti non permanenti, questa piattaforma terapeutica è in grado di soddisfare un bisogno – al momento – scarsamente soddisfatto di una vasta popolazione di pazienti con condizioni di dolore di lunga durata.

Gli autori della ricerca hanno in programma di lavorare all’ottimizzazione di entrambi gli approcci (CRISPR-dead Cas9 e “dita di zinco”) per il targeting del gene umano che codifica la proteina NaV1.7 e di procedere con le sperimentazioni su primati non umani per testarne l’efficacia e la tossicità. E intendono, inoltre, presentare domanda per iniziare le sperimentazioni cliniche sull’uomo entro un paio di anni.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin