L’AI viene impiegata sempre più spesso per comprendere il Dna perché possa fornire strumenti utili per la cura medica. Già oggi è efficace anche per lo studio del Covid-19, come dimostra il lavoro di Massimo Delledonne, professore di Genetica, che elenca potenzialità e vincoli.

Genetica e intelligenza artificiale sono sempre più legate. L’AI viene impiegata sempre più spesso per studiare e comprendere il Dna, determinante per offrire alla medicina strumenti e soluzioni per la diagnosi, la cura e perfino per la prevenzione delle malattie.

La genetica viene anche in soccorso sul fronte Covid-19 e in questo caso la ricerca italiana si è messa in mostra a livello mondiale. Qualche mese fa due ricercatori del dipartimento di Informatica dell’Università di Salerno avevano impiegato l’intelligenza artificiale per trovare la firma genetica del nuovo coronavirus grazie a due algoritmi utili a identificare la porzione della sequenza genetica del Sars-CoV 2. 

Più di recente è stato messo a punto il primo test genetico al mondo in grado di rilevare la presenza di varianti associate alla forma grave di Covid-19. Il merito va allo studio condotto dal team guidato da Massimo Delledonne, professore ordinario di Genetica presso l’Università di Verona ed esperto di tecnologie genomiche, a capo di Genartis, startup e spin-off dello stesso Ateneo.

La sua attività scientifica spazia tra la biologia umana e vegetale. Tra i filoni della ricerca su cui sta lavorando c’è anche la tutela della biodiversità. La sua esperienza è nelle aree della genetica, della biologia molecolare e della genomica e collabora con ricercatori in diversi campi, tra cui la bioinformatica, o biologia computazionale. Si tratta di una disciplina relativamente recente, ma in forte crescita grazie alle aumentate richieste di analizzare l’enorme quantità di dati prodotta dai moderni metodi di sequenziamento e di diagnostica medica.

Professor Delledonne, prima di parlare del legame tra genetica e intelligenza artificiale, partirei dal suo studio e dalla messa a punto del test legato al Covid-19. Che ruolo ha la genetica e come può aiutare a perfezionare le cure?

Massimo Delledonne
Massimo Delledonne, professore di Genetica
presso l’Università di Verona

Intanto, già oggi i vaccini di BioNTech e Moderna sono basati sulla genetica. Entrambe hanno formulato il primo vaccino su scala mondiale basato sulla tecnica dell’RNA messaggero concepito da aziende totalmente biotech. La loro conoscenza in questo campo permette di realizzare un vaccino in meno di un mese, tra lo sviluppo e la produzione. Non solo: una delle caratteristiche più importanti dei vaccini a mRNA è la capacità di mettere in atto soluzioni su misura.

Nel caso del vostro test da dove siete partiti?

Dalle evidenze di uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine relativo a uno screeening genetico su 23 cromosomi effettuato su un vasto numero di soggetti sani e affetti da Covid-19. Da qui è emersa la prima ipotesi di alcuni geni localizzati sul cromosoma 3, derivante da una sequenza di Dna ereditata dai Neanderthal che poi è stata associata al rischio di insufficienza respiratoria in caso di infezione da Sars-CoV-2. Esso risulta presente nel Dna di circa la metà degli individui in Asia meridionale e nel 16% degli europei. Utilizzando il nostro database, che contiene i dati di sequenziamento di più di 4mila italiani, siamo riusciti a ricostruire in silico la sequenza dei due filamenti di Dna nella regione di 50mila basi presente sul cromosoma 3 e capire come rilevare la presenza o l’assenza dell’intera regione associata al Covid-19 grave nel Dna di un individuo, senza la necessità di sequenziare l’intero genoma.

In Italia la genetica quanto viene considerata nella lotta al Covid-19?

A oggi si sono investiti moltissimi soldi sul Sistema Sanitario Nazionale, è giusto, ma non si dovrebbe sperare che siano solo gli altri Paesi a investire nella ricerca scientifica per capire le basi fisiologiche e genetiche dell’infezione, insomma, per capire come mai alcuni pazienti sono asintomatici mentre altri finiscono in terapia intensiva. La guerra non la si vince spendendo unicamente sul pronto soccorso, ma cercando di capire come sconfiggere il nemico. E questo lo si può fare sequenziando il Dna del virus. Il problema è che non si è mai sequenziato un virus per sapere se fosse lo stesso ceppo presente negli asintomatici come nei pazienti giunti in terapia intensiva. Lo scorso anno assieme ad oltre 290 rappresentanti di primo piano della comunità scientifica italiana abbiamo scritto al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e ai Governatori delle Regioni mettendoci a disposizione con tutto quello che serviva per fare questo lavoro. Non abbiamo mai ottenuto risposta. Una grave mancanza, perché la genetica permette di fare molto: può aiutare a capire se ci sono differenze genetiche nelle persone o nei virus tali da portare alcuni ad ammalarsi gravemente oppure a essere asintomatici. Le conseguenze sono notevoli. Per esempio, se fosse dimostrato e individuato che esistono ceppi virali che non danno sintomi gravi potremmo persino considerare l’ipotesi di immunizzare le persone così come è accaduto col vaiolo. Quando Jenner nel 1798, dopo aver notato che le mungitrici che si erano infettate con il vaiolo bovino, in seguito non sviluppavano più il vaiolo umano, aveva compreso e messo in atto che l’inoculazione di virus vaccino proteggeva da quello umano. Non dico di rispolverare i sistemi di duecento anni fa, dico solo che evitare di capire, evitare di scoprire, non aiuta mai.

Cosa suggerisce di fare?

Ogni giorno vengono fatti 200mila test molecolari per riscontrare la presenza o meno del Covid-19, noi ne abbiamo fatto uno per mettere in luce la presenza del “dna di Neanderthal”, che riguarda circa un italiano su sei. Un test a bassissimo costo che è possibile svolgere non solo negli ospedali, ma anche nelle università. Per verificare quanto questa caratteristica  genetica spieghi situazioni paradossali quali, per esempio, più membri della stessa famiglia finiti in terapia intensiva e anche per capire quanti di coloro che sono stati ricoverati in terapia intensiva la possiedono, basterebbe un investimento pari a quanto il nostro Paese spende in un giorno in tamponi molecolari. Sarebbe un’azione importante, perché permetterebbe di attuare uno screening ad ampio raggio sui parenti dei familiari ammalati e portatori della regione del cromosoma 3 associata al Covid-19 grave. Se confermata, a livello sanitario i pazienti con sintomi giunti in pronto soccorso potrebbero essere già profilati col test, migliorando anche il triage. Si potrebbe valutare anche una qualche priorità nella vaccinazione dei soggetti con questo corredo genetico. Insomma, il monitoraggio dei fattori di rischio genetici di un paziente potrebbero essere voci da considerare in un piano medico-sanitario e nei relativi investimenti, tenendo conto dei tempi lunghi necessari per una vaccinazione di massa che, probabilmente, dovrà essere ripetuta per qualche anno.

Più in generale, cosa è possibile oggi comprendere dallo studio del Dna? E come entra in gioco il binomio genetica e intelligenza artificiale?

A oggi si sono fatti molti passi avanti nello studio genetico. Tuttavia, molto ancora occorre fare, perché abbiamo imparato a leggere il DNA, ma ancora lo comprendiamo poco. Proprio come con le parole, basta un cambio di lettera, una sostituzione o un’inserzione nella sequenza genetica per mutare radicalmente il significato. La sintesi proteica è il linguaggio della cellula: in essa l’informazione genetica passa dal Dna all’Rna e da quest’ultimo alle proteine. Il problema attuale è che non comprendiamo come una lettera che cambia nel Dna muti la struttura delle proteine. Oggi riusciamo a capire cosa determina un cambiamento solo se tale struttura è già stata caratterizzata in laboratorio. In caso contrario non sappiamo dire nulla. Ed è qui che entra in gioco il filo che lega ricerca genetica e intelligenza artificiale. Una possibile chiave di volta è probabile sia rappresentata da AI AlphaFold di Deepmind, società di Google: un sistema di predizione mediante tecniche di artificial intelligence dedicata alla struttura delle proteine, in grado di risolvere la struttura di quasi tutte le proteine esistenti. Questo potrebbe cambiare davvero tutto, in termini di comprensione del genoma umano. Per la genetica, l’Intelligenza artificiale è fondamentale, però è ancora poco utilizzata e la ragione è che spesso tra scienziati e tecnici c’è ancora poca contaminazione culturale.

Malattie cardiovascolari e tumore sono le principali cause di morte nei Paesi occidentali. Su questi due aspetti, genetica e intelligenza artificiale cosa ci permettono di fare?

Molto. Contare sulle cartelle elettroniche in ospedale offre la possibilità di incrociare le previsioni con i dati e poter confermare/confutare eventuali predisposizioni genetiche, ampliando così le possibilità e la capacità di comprensione. Pensiamo al cancro, in particolare, dove si ha a che fare con moltissime cellule tumorali. Moderna, per esempio, sempre in tema genetica e intelligenza artificiale, impiega l’AI per definire quali sono i segmenti di Dna da inserire per produrre Rna utile a costruire l’equivalente dell’epitopo, ovvero quella piccola parte di antigene che lega l’anticorpo specifico. Ormai la maggiore parte dei farmaci tumorali sono mirati per colpire determinati bersagli genetici.

Nel futuro dove si lavorerà in particolare in ambito genetico per la salute?

In futuro vedo la possibilità di creare organi artificiali grazie alla conoscenza del Dna individuale e mediante speciali stampanti 3D. Ma in generale lo studio della genetica sarà applicato in svariati campi medici, anche se la mia speranza è che possa fornire un valido aiuto nello studio e nella cura di chi è vittima di malattie rare, troppo spesso abbandonato a se stesso. In questo caso serve non solo un’attenzione da parte delle case farmaceutiche, ma anche un intervento di ogni singolo Stato per sostenere la ricerca dedicata. 

Accanto alla ricerca etica sulla genetica c’è anche un uso più spregiudicato. Su cosa si deve lavorare per evitare che sia impiegata in modo malevolo?

Negli USA, Paese all’avanguardia nella ricerca genetica già dal 2008 vige il Genetic Information Nondiscrimination Act (GINA), legge che proibisce l’utilizzo di informazioni genetiche nell’assicurazione sanitaria e nel contratto di lavoro. Le stesse compagnie assicurative sanitarie, spesso mal considerate, spingono perché le persone facciano il sequenziamento del Dna, per mettere in luce la possibilità di avere predisposizioni genetiche a malattie non ancora manifestate. Questo però è un discorso che va in direzione della prevenzione: l’assicurazione paga perché ci sia il sequenziamento, senza conoscere i dati della persona, grazie a GINA, e lascia che il singolo paziente riceva i dati, interagisca col medico e attui azioni preventive tali da evitare quanto più possibile lo sviluppo di patologie e la necessità di cure mediche assai più costose. A questo intento preventivo si è ispirato il Regno Unito che ha attuato 100,000 Genomes, progetto per sequenziare centomila genomi da circa 85mila pazienti del servizio sanitario nazionale affetti da una malattia rara o da un tumore. Esso intende porre le basi per un nuovo servizio di medicina genomica, trasformando il modo in cui le persone sono curate e portando diagnosi avanzate e trattamenti personalizzati a tutti coloro che ne hanno bisogno. La combinazione di dati di sequenze genomiche con le cartelle cliniche ha creato una risorsa di ricerca innovativa. Ora stanno pensando di sequenziare il DNA di tutti i bambini nati in modo da arrivare a una campagna preventiva ancora più efficace e radicata. Speriamo che si arrivi anche in Italia a una visione così lungimirante.

Scritto da:

Andrea Ballocchi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin