La tecnologica potrebbe aiutarci a superare uno dei problemi che affligge da decenni l’umanità (la fame nel mondo, conseguenza di cattive politiche produttive e distributive). Lo scoglio più duro non è convincere l’opinione pubblica della “bontà” di certe tecnologie (come la manipolazione genetica), ma esortare i vendor tecnologici a guardare oltre il mero profitto.
Tecnologie emergenti ed innovative come l’editing del genoma e la manipolazione genetica non sono nemiche di un sistema alimentare sano e sostenibile, tutt’altro. Oggi questi tipi di tecnologia potrebbero aiutarci a “nutrire il mondo”, se solo si riuscisse a guardare oltre il profitto. A scriverlo è Fabio Parasecoli, professore presso il Dipartimento di Nutrizione e Studi Alimentari della New York University, sulle pagine dell’ultimo numero della MIT Technology Review.
Parasecoli parte dall’analisi di alcune evidenze che si sono palesate durante quest’ultimo anno di crisi sanitaria ed economica: negli Stati Uniti (ma non solo), a seguito del drastico calo della domanda degli acquirenti all’ingrosso (che per lo più riforniscono scuole, mense e mercato della ristorazione) è risultato più economico distruggere i raccolti, anziché raccogliere e lavorare le materie prime.
Lo scenario non deve sorprendere, è “semplicemente” il risultato del moderno sistema alimentare industriale, frutto innegabilmente del progresso tecnologico e del capitalismo di libero mercato che, per decenni, hanno “influenzato” le scelte di investimento della ricerca tecnologica e le decisioni su dove e come applicarne i frutti (con una spinta sempre maggiore da “forze” quali efficienza, produttività, profitto).
Abbondanza, il prezzo della crescita
L’abbondanza (da intendersi come disponibilità superiore al reale fabbisogno) è la prima conseguenza dell’evoluzione dell’industria alimentare moderna, ma non è l’unica. Di per sé, non rappresenterebbe nemmeno un impatto negativo, se ad essa facessero seguito politiche più efficaci di ridistribuzione. L’aggravante viene dal meccanismo “perverso” che ne consegue: per avere di più, si sfruttano di più le risorse cercando di aumentare la resa dei terreni (solo per citare l’esempio delle coltivazioni), spesso ottenuta non solo utilizzando grandi quantità di fertilizzanti e pesticidi, ma anche facendo ricorso alle biotecnologie e alla manipolazione genetica per migliorare i raccolti e la sicurezza degli alimenti (per esempio creando varietà di cereali o ortaggi che resistono a temperature molto alte e con poca acqua).
Il paradosso è che proprio le colture intensive hanno contribuito alla riduzione dei casi di denutrizione nel mondo [il numero di persone che soffrono di denutrizione è sceso da circa 1 miliardo nel 1990 a 780 milioni nel 2014] e, con la popolazione mondiale che dovrebbe raggiungere più di nove miliardi entro il 2050, intensificare ulteriormente la resa delle coltivazioni di riso, frumento e altri cereali sembrerebbe la via più efficiente e profittevole. Via percorribile però solo a fronte di un maggiore utilizzo di terra, fertilizzanti e acqua (ammesso che gli impatti dovuti al cambiamento climatico non ci mettano lo zampino e rendano ancor meno efficiente la resa dei terreni)… oppure di biotecnologie.
Ed è qui che si concretizza la minaccia maggiore, ossia quella di vedere ancora più ampio il divario tra paesi ricchi (dove c’è abbondanza di cibo) e paesi poveri dove le coltivazioni intensive non solo non decolleranno per mancanza di terreni fertili e acqua, ma anche per l’impossibilità di accedere a tecnologie innovative che, invece, potrebbero rappresentare una vera svolta.
Biotecnologie e manipolazione genetica, il profitto sui brevetti è più “forte” della sostenibilità
A spiegare bene il perché è ancora il Fabio Parasecoli: gli investimenti in manipolazione genetica e agrotecnologia sono veri e propri “miraggi” per molte colture che fungono da base per milioni di piccoli proprietari in tutto il mondo.
«Se applicate a quelle colture nel perseguimento della sicurezza alimentare invece dei profitti, le tecnologie genetiche potrebbero essere utilizzate per creare un’agricoltura locale più forte e più resiliente e un sistema alimentare più sano. Ma non accade, perché ciò non genererebbe profitti abbastanza ampi da interessare il settore privato delle biotecnologie», è il monito del professor Parasecoli.
Allineare i progressi tecnologici alle cause della sostenibilità è una delle sfide più ardue che, tutti, siamo chiamati ad affrontare.
La produzione e la sicurezza alimentare sono così legate al cibo come diritto umano – e così cruciali per la sopravvivenza di intere comunità – che la tecnologia e i diritti di proprietà intellettuale, in questo settore, dovrebbero funzionare secondo principi e priorità diversi da quelli seguiti generalmente dal settore Tech.
Ad esempio, propone il professor Parasecoli, potremmo richiedere alle società tecnologiche di rendere i loro brevetti di pubblico dominio e disponibili dopo alcuni anni o di condividere i profitti delle royalty in cambio dell’accesso a nuovi mercati.
Sogno o realtà?