Avanza l’uso della tecnologia blockchain anche nell’agricoltura. Dai benefici potenziali ai casi applicativi reali, ecco come la tecnologia “a catena di blocchi” aiuta il settore agricolo e agroalimentare.
Sono in molti a scommettere sulla blockchain e sul fatto che svolgerà un ruolo cruciale per l’agricoltura di precisione – ma soprattutto di qualità – e per l’agrifood. È una scommessa che va vinta perché il settore agricolo e alimentare ha un bisogno enorme di contare sulle potenzialità della tecnologia: nel 2050 dovrà provvedere a sfamare quasi 10 miliardi di persone.
Per questo c’è già chi si sta muovendo in questo senso: i colossi del settore USA Bunge e Cargill, ovvero le più grandi aziende di cereali e semi oleosi del mondo, si sono alleate nella joint venture Covantis, che utilizzerà la tecnologia blockchain nel settore agricolo in Brasile. Questo prevede lo scambio di informazioni tra tutti i membri componenti la nuova realtà, che ogni anno movimentano 550 milioni di tonnellate di cereali e semi oleosi e che prevedono ogni anno circa 500 mila contratti di acquisto e vendita nel Paese sudamericano.
Non è che uno dei più recenti esempi dell’interesse per la blockchain, che fornirà un aiuto concreto in vari segmenti dell’agricoltura e dell’agroalimentare. Molti Paesi si stanno muovendo, e tra questi l’Italia, primo Paese in Europa per valore aggiunto in agricoltura con 31,9 miliardi di euro (dati Istat 2020).
Cos’è la blockchain
Blockchain è un registro digitale aperto e distribuito delle transazioni, una sorta di “libro mastro” digitale, basato sul consenso tra i partecipanti alla rete. Il suo nome “catena di blocchi” deriva dalla sua struttura in cui i singoli record (i “blocchi”) sono collegati tra loro in un unico elenco (“catena”).
Implica una forma distribuita, trasparente e censorship-free delle informazioni. I partecipanti alla rete possono verificare qualunque transazione e recuperarne la storia ma non cancellarla o modificarla. Sta proprio nell’immutabilità del dato e nella capacità di raggiungere una unica visione delle informazioni, il cosiddetto consenso, in un ambiente distribuito, aperto e competitivo (indicato come “il problema dei Generali Bizantini”) quella novità che consente di sviluppare idee e applicazioni diverse rispetto ai classici strumenti centralizzati.
Il “padre” della blockchain è Satoshi Nakamoto, pseudonimo dietro cui si cela l’inventore della criptovaluta Bitcoin, che pubblicò un white paper nel 2008 in cui affermò la necessità di un sistema di pagamento elettronico:
“basato su prova crittografica invece che sulla fiducia, che consenta a due controparti qualsiasi negoziare direttamente tra loro senza la necessità di una terza parte di fiducia. Le transazioni che sono computazionalmente impraticabili da invertire proteggerebbero i venditori dalle frodi, e meccanismi consuetudinari di deposito di garanzia potrebbero essere facilmente implementati per proteggere gli acquirenti”
Quale importanza potrebbe avere la blockchain in agricoltura
Le potenzialità di impiego della blockchain nel mondo agricolo e agroalimentare sono svariate. Creare maggiore trasparenza e fiducia tra gli attori della filiera di approvvigionamento, fornire trasparenza e tracciabilità delle transazioni e dei dati, per esempio.
Potrebbe anche permettere di ridurre lo spreco alimentare: ogni anno, circa un terzo del cibo generato a livello globale viene sprecato. Occorre, quindi, stimare e gestire l’effettiva offerta e la domanda di prodotti alimentari. Ed è uno dei motivi per cui il valore di mercato della blockchain si attende crescerà a un tasso di crescita annuale composto del 45,13%, passando da 57,4 milioni di dollari nel 2019 a 518,7 milioni di dollari nel 2027 (Fonte: Reports and Data).
Inoltre, la blockchain potrebbe essere uno strumento particolarmente utile per i governi e, soprattutto, per il settore del commercio al dettaglio, quando si tratta di norme di sicurezza alimentare. La tracciabilità dei prodotti dalla fattoria alla tavola, la provenienza (tracciando il luogo di origine, gli ingredienti e la qualità), la trasparenza e la fiducia sono immediatamente posti in primo piano nelle agende politiche. Inoltre, diverse aziende hanno implementato questa tecnologia come strumento per consentire che i consumatori si fidino di cosa comprano e portano in tavola. Lo segnala la FAO nel Digital technology and agricultural markets che scrive anche:
“La tecnologia blockchain potrebbe anche avere un impatto significativo sull’inclusione finanziaria dei piccoli agricoltori, specialmente quelli che non hanno accesso alle banche o non hanno garanzie collaterali per ottenere credito. La soluzione blockchain potrebbe essere costruita intorno al fatto che tutte le informazioni riguardanti un particolare agricoltore possono essere registrate sulla blockchain e utilizzate come track record per le istituzioni finanziarie per consentire loro di valutare l’idoneità di un agricoltore ad ottenere il credito. Un concetto simile potrebbe essere utilizzato per fornire ai piccoli agricoltori la possibilità di ottenere un’assicurazione per la loro produzione utilizzando contratti intelligenti e pagamenti automatizzati”
Blockchain in agricoltura: esempi applicativi internazionali
Fin qui la teoria, ma le applicazioni di blockchain sono già reali in vari casi. A proposito di esempi applicativi, riferisce la stessa FAO, va segnalato il caso riguardante l’esportazione di 60mila tonnellate di soia dagli Stati Uniti d’America alla Cina, traffico commerciale condotto dalla Louis Dreyfus che ha unito le forze con l’impresa cinese di trasformazione agricola Shandong Bohi Industry insieme insieme a tre gruppi finanziari. Questo consorzio ha utilizzato una piattaforma digitale basata su blockchain per testare tale commercio agricolo con sensibili benefici, primo tra tutti la possibilità di far corrispondere i dati in tempo reale, evitando duplicazioni nelle procedure di controllo dei prodotti, oltre a ottenere un’elaborazione dei documenti cinque volte più veloce rispetto al commercio tradizionale.
La “catena di blocchi” entra in gioco anche nel recupero dei fanghi di trattamento delle acque reflue, che solo in Francia evita la produzione di 6.000 tonnellate di azoto sintetico e di 8.000 tonnellate di minerali di fosforo. Il colosso multiutility Suez ha programmato l’impiego della blockchain per registrare tutte le fasi dalla provenienza al successivo riutilizzo delle sostanze utili contenute. Il sistema garantisce agli agricoltori uno strumento di gestione dei costi di produzione e permette di comunicare informazioni affidabili e condivise all’interno dell’ecosistema.
La stessa tecnologia può fornire un aiuto importante anche nella lotta al climate change. In diversi Stati degli USA si registra la volontà degli agricoltori di rimuovere la CO2 immagazzinandolo nei terreni, mettendo in atto quella che viene definita agricoltura rigenerativa, ottenendo benefici ambientali ed economici. Per riuscire a creare un sistema di compenso certo e tracciabile per i latifondisti è stato creato un mercato dei crediti di carbonio messo a punto dalla startup Nori, che ha messo a punto una piattaforma blockchain dedicata.
Blockchain per l’agricoltura di precisione in Italia
Nel panorama agricolo, l’Italia è il primo Paese europeo per valore aggiunto e il secondo per produzione di frutta e verdura. L’innovazione tecnologica dedicata è in crescita, come sottolineano i dati dell’Osservatorio Smart AgriFood della School of Management del Politecnico di Milano: essi certificano un mercato dell’agricoltura 4.0 che ha raggiunto nel 2019 un valore di 450 milioni di euro, in crescita del 22% rispetto all’anno precedente.
Oggi è la tecnologia più impiegata nelle soluzioni digitali innovative a supporto della tracciabilità alimentare e caratterizza il 43% delle soluzioni disponibili. In termini di progetti operativi, la “catena di blocchi” nell’agrifood si posiziona terzo settore assoluto, dopo la finanza e la pubblica amministrazione. Non solo: il nostro Paese guida la sperimentazione della blockchain nell’agrifood con l’11% dei progetti internazionali.
L’iniziativa forse più significativa è quella che vede protagoniste Coldiretti e Princes Industrie Alimentari e finalizzata alla tracciabilità del pomodoro. Essi hanno siglato un accordo nazionale di filiera per la sostenibilità e l’etica della filiera pomodoro 100% made in Italy. L’accordo è particolarmente importante per almeno tre motivi: innanzitutto perché l’Italia copre il 39,9% dell’intera produzione europea, con più di 6 milioni di tonnellate. Secondo, l’accordo vede insieme la principale associazione di rappresentanza degli imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo, e l’azienda che gestisce il più grande stabilimento in Europa per la trasformazione del pomodoro. Infine, Coldiretti e Princes svilupperanno in maniera congiunta una piattaforma digitale basata sulla tecnologia blockchain applicata per la prima volta in Italia a un prodotto trasformato industrialmente. Per farlo, sarà importante il coinvolgimento di tutta la filiera, che coinvolge 300 aziende, 17 cooperative e sei associazioni dei produttori, impegnate nel piano triennale a tracciare ogni loro fornitura.