Nell’ambito del progetto europeo FIThydro, i ricercatori della TalTech - Tallin University of Technology, in Estonia, insieme ad altri studiosi di tutta Europa, hanno sviluppato metodi e tecnologie volte a rendere l'energia idroelettrica più rispettosa della fauna ittica e sostenibile dal punto di vista ambientale.

Le centrali idroelettriche hanno un impatto ambientale, in particolare sulla fauna ittica. È possibile ridurne gli effetti ecologici negativi? La risposta (affermativa) proviene dalla tecnologia e, più in particolare, dalla sensoristica a ultrasuoni. Prima però di arrivare al cuore della questione, ripercorriamo insieme i “fatti”.

In base ai dati della ricerca condotta da Ember – organismo indipendente focalizzato su clima e ambiente e sull’accelerazione della transizione energetica globale – nei primi sei mesi del 2020, in Europa, la produzione di energia da fonti rinnovabili ha superato quella da combustibili fossili, arrivando a coprire il 40 per cento della produzione di energia elettrica (+ 11 per cento rispetto al primo semestre del 2019) e facendo registrare, per quanto riguarda, in particolare, l’energia idroelettrica, un +12 per cento rispetto all’anno scorso.

Quest’ultimo dato conferma una tendenza delineatasi negli ultimi cinque anni e che vede l’energia idroelettrica – grazie anche al fatto di essere molto meno dipendente dalle condizioni meteorologiche rispetto all’energia eolica e solare – ai primi posti delle fonti rinnovabili più utilizzate in Europa.

Esiste, però, una criticità significativa legata a questo tipo di fonte, dovuta a importanti interventi sull’ambiente – tra cui lo sbarramento dei fiumi, i cambiamenti negli habitat acquatici e la mortalità dei pesci a causa delle turbine – derivanti dalla presenza sempre più massiva di centrali idroelettriche sul territorio.

La riduzione di questi effetti ecologici negativi è uno degli obiettivi della Direttiva quadro europea sulle acque – adottata nel 2020 – in tema di tutela delle risorse idriche dei bacini idrografici. Ma che cosa ne è stato della Direttiva in questi vent’anni?

Dopo una serie di valutazioni durate due anni, lo scorso giugno, la Commissione europea ha dichiarato che la Direttiva è “adatta allo scopo” e che rimane nella sua forma attuale, senza apportare modifica alcuna, ribadendo l’urgenza di applicarla adeguatamente a fronte di un dato preoccupante: in Europa, il 60% delle acque non è in un buono stato di salute.

Dunque, non ci possono essere ulteriori ritardi da parte degli Stati membri che, entro il 2027, dovranno impegnarsi nell’attuazione e garantire che gli obiettivi siano conseguiti. Tra questi, il raggiungimento, per tutti i bacini idrici europei, di “uno stato ecologico buono o molto buono”, con particolare attenzione a garantire la migrazione indisturbata degli organismi e il trasporto dei sedimenti.

Rientra tra le leve atte al conseguimento di tale obiettivo, il progetto FIThydro – Fishfriendly Innovation Technologies for Hydropower, avviato nel 2016 e conclusosi nei giorni scorsi, sostenuto e supportato dall’Unione Europea e diretto da un gruppo di lavoro composto da 26 Istituti di ricerca – facenti capo a diversi poli universitari europei – e da aziende del settore, che, in questi quattro anni, hanno studiato gli effetti delle centrali idroelettriche sugli ecosistemi e, in particolare, sui pesci, in 17 bacini idrici di otto Paesi europei, rappresentativi di Scandinavia (il più grande produttore europeo di energia idroelettrica), della regione delle Alpi, della penisola iberica, di Francia e Belgio.

Il problema maggiore è che stanno scadendo le concessioni per molte centrali idroelettriche. Si tratta di impianti obsoleti, costruiti decenni fa e che non soddisfano ancora i requisiti della direttiva. E il loro adeguamento risulta difficile, anche sotto il profilo delle risorse finanziarie necessarie

Osserva Peter Rutschmann, professore di Ingegneria delle risorse idrauliche e idriche presso l’Università Tecnica di Monaco (TUM) e coordinatore del progetto FIThydro.

Centrali idroelettriche e impatto ambientale: sensori a ultrasuoni per il monitoraggio della vita acquatica

La finalità principe del progetto FIThydro è aiutare a risolvere il conflitto tra produzione di energia idroelettrica e conservazione della natura. E lo fa, oltre che attraverso lo studio sul campo degli effetti delle centrali idroelettriche sugli ecosistemi, anche attraverso l’adozione di tecnologie atte a fornire soluzioni ad hoc per diversi scenari.

Ci sono due modi – spiega il professor Rutschmann – per preservare le popolazioni ittiche: proteggere i pesci dalle turbine della centrale oppure assicurarsi che possano riprodursi efficacemente. Riguardo a quest’ultimo punto, è necessario predisporre nuovi terreni di riproduzione, ad esempio ricollegando i vecchi affluenti a un corpo idrico principale.

Il nocciolo è scoprire che cosa funziona meglio in luoghi diversi, per quali tipologie di pesci e quanto costerà. Per fare questo, il gruppo di studio ha sviluppato una nuova tecnologia a ultrasuoni, che consentirà di determinare con esattezza la posizione, i percorsi, le dimensioni e persino il tipo di pesce, da una distanza di diverse centinaia di metri.

Per mezzo di questi sensori a ultrasuoni, siamo in grado di testare le condizioni dei pesci e di altre forme di vita acquatica nei pressi delle turbine delle centrali. Questo ci aiuta a ridurre il numero di esperimenti sui pesci vivi, necessari a fornire agli operatori informazioni puntuali su come rendere le proprie strutture di produzione di energia idroelettrica ecologicamente compatibili

Fa notare il professor Jeffrey Tuhtan, il quale guida il team di ricercatori presso la Tallin University of Technology (TalTech), in Estonia, uno dei molteplici centri di lavoro del progetto FIThydro, sottolineando anche che, durante la migrazione a valle, i pesci che si trovano a nuotare attraverso le turbine idroelettriche, a parte il rischio di lesioni e mortalità a causa delle pale delle turbine, sono esposti a enormi variazioni di pressione.

Questo studio sul campo, grazie ai sensori a ultrasuoni messi a punto, ha permesso di analizzare con precisione il passaggio a valle dei pesci, inclusi i tempi e la durata degli spostamenti, le energie cinetiche di traslazione e rotazione e il gradiente di pressione, arrivando a scoprire che le turbine e altri elementi idroelettrici non sono sempre rispettosi della popolazione ittica e indicando ai responsabili delle centrali gli interventi da attuare.

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Centrali idroelettriche e impatto ambientale: sensori a ultrasuoni consentiranno di determinare con esattezza – da una distanza di diverse centinaia di metri – la posizione, i percorsi, le dimensioni e persino le tipologie di pesci presenti nelle acque in cui si trova una centrale idroelettrica (credit: università TalTech).

Centrali idroelettriche e impatto ambientale: come calcolare il rischio per la fauna ittica

Insieme all’analisi dei rischi per la fauna ittica e alla valutazione degli effetti delle centrali idroelettriche sull’ecosistema, il progetto FIThydro ha esplorato anche le possibili misure per ammodernare le centrali idroelettriche obsolete e ha messo a punto un software per il supporto decisionale, che può essere utilizzato dagli operatori durante la pianificazione e la valutazione delle centrali.

L’utente può inserire i dati relativi alla tipologia della centrale, alla sua ubicazione, alle popolazioni ittiche presenti nei corsi d’acqua e altre caratteristiche. Tenendo conto dei requisiti della politica ambientale e delle linee guida normative internazionali, il software analizza i dati per calcolare il livello di rischio ambientale e il pericolo per la popolazione ittica e raccomanda misure di mitigazione.

L’obiettivo è creare uno strumento online che possa essere utilizzato per pianificare e valutare le centrali idroelettriche. Una volta inserite le informazioni richieste, il sistema determinerà il rischio per i pesci che abitano in quelle stesse acque e valuterà le misure che promettono i maggiori benefici per l’ecosistema.

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