Per conservare quanto più possibile il ghiaccio marino artico, sono allo studio diverse soluzioni. Una di queste prevede l’utilizzo di droni autonomi attrezzati per contribuire a ispessirlo.

Il ricorso ai droni subacquei, supportato dall’impiego di tecniche di intelligenza artificiale, è una delle possibilità al vaglio della ricerca per rallentare lo scioglimento del ghiaccio marino artico.

C’è sempre meno tempo per intervenire: secondo uno studio pubblicato su Nature – “Observationally-constrained projections of an ice-free Arctic even under a low emission scenario” – potrebbe sciogliersi quasi completamente entro il prossimo decennio, ovvero vent’anni prima delle stime contenute nel sesto rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change).

La riduzione dell’effetto albedo dovuta alla scomparsa del ghiaccio marino nell’Artide già oggi è responsabile di circa il 25% del riscaldamento globale, prospetta uno studio condotto dalla scienziata Jennifer Francis del Woodwell Climate Research Center.

Servirebbe il ricongelamento dell’Artico, che – come affermato dal noto naturalista e divulgatore scientifico David Attenborough – «sarebbe un’enorme difesa contro le catastrofi globali attualmente minacciate dal riscaldamento globale». Questo suo auspicio ha ispirato la nascita della Refreezing the Arctic Foundation, progetto coordinato da David King, ex capo consigliere scientifico del Regno Unito e rappresentante speciale per il cambiamento climatico.

Oltre a prendere in considerazione un’idea di geoengineering quale la Marine Cloud Brightening – di cui tratteremo più avanti – l’iniziativa conta sulla partecipazione attiva del Center for Climate Repair della Cambridge University. Con lo stesso Centro collabora la startup britannica Real Ice, nata nell’Università gallese di Bangor, che sta mettendo in atto un’altra soluzione, finalizzata all’ispessimento del ghiaccio impiegando pompe idrauliche. Inserite nel primo ghiaccio invernale, esse pescano acqua marina facendola affluire sulla superficie (che ghiaccia rapidamente), contribuendo così ad aumentarne lo spessore.

Il progetto, nato da teorie di alcuni scienziati, è stato messo in atto dalla startup, che ha già preso parte con successo all’acceleratore delle Nazioni Unite for Tomorrow. L’obiettivo è mettere a punto un sistema di droni subacquei attrezzati con pompe e altri sistemi (tra cui uno di alimentazione a idrogeno verde), in grado di provvedere agli interventi necessari a consentire di pescare l’acqua sotto la coltre di ghiaccio e a farla zampillare in superficie.


Negli ultimi decenni si sta assistendo a una progressiva riduzione del ghiaccio marino artico. Questo decremento ha pesanti impatti a livello ambientale e climatico, su scala locale e globale.
Per cercare di mantenere il ghiaccio rimanente, il mondo della ricerca ha ideato, progettato e, in parte, sperimentato alcune soluzioni, tra cui l’ispessimento del ghiaccio attraverso un sistema di pompaggio che combina l’uso di droni subacquei e tecniche di intelligenza artificiale.
L’obiettivo delle soluzioni messe in campo e oggetto di studio e di applicazione su scala pilota è virtuoso, ma vanno ancora compresi fattibilità, costi e l’effettiva efficacia per rimediare a una situazione che si fa sempre più critica.

L’importanza del ghiaccio marino artico

Fondamentale nel mantenere l’equilibrio energetico della Terra e nell’influenzare il clima globale, il ghiaccio artico marino, grazie alla sua superficie bianca, riflette la luce solare nello spazio. In altre parole, non assorbe molta energia solare, contribuendo a mantenere temperature relativamente contenute nell’Artico.

Tuttavia, man mano che, durante l’anno, il ghiaccio marino si ritira, gli oceani aperti, più scuri, assorbono maggiore energia solare, generando più calore che accelera lo scioglimento. Per questo motivo, l’Artico si sta riscaldando a un ritmo due o tre volte superiore a quello del resto del pianeta, spiega il National Snow and Ice Data Center (NSIDC).

Il ghiaccio marino presente in Artide e in Antartide ha un’importanza vitale: aiuta a regolare gli scambi di calore, umidità e salinità negli oceani polari ed è in grado di influenzare le correnti oceaniche, influendo sensibilmente anche sul benessere della fauna locale.

Purtroppo, si sta assistendo a un calo sensibile e progressivo. Tra il 1979 e il 2021, la copertura del ghiaccio marino nell’Artide alla fine dell’estate si è ridotta del 13% ogni decennio, rispetto alla media del periodo 1981-2010 [fonte: “Climate Change: Arctic sea ice summer minimum” – National Oceanic and Atmospheric Administration]

Secondo tutti gli scenari di emissione, anche quelli più ottimistici, il fenomeno del Blue Ocean Event si attuerà entro il prossimo decennio. Significa assistere a un’estate senza ghiacci, evento che si verificherà quando il ghiaccio marino scenderà al di sotto del milione di chilometri quadrati.

Raggiunto questo punto, è davvero difficile tornare indietro e poterlo ricreare. Il ghiaccio che si ricrea ad ogni inizio di inverno è molto fragile, mentre, se riesce a mantenersi fino all’anno successivo, contribuisce all’ispessimento della calotta già presente.

Ispessire il ghiaccio artico con droni subacquei

Urgono provvedimenti in grado, almeno, di rallentare sensibilmente il fenomeno. Tra le soluzioni ideate negli ultimi anni, la tecnica dell’ispessimento del ghiaccio (ice thickening) è stata illustrata nel 2017 da Steven Desch, astrofisico della School of Earth and Space Exploration presso l’Arizona State University. A questo scopo, aveva pensato di aumentare la produzione di ghiaccio marino artico utilizzando energia eolica durante l’inverno artico, per pompare l’acqua in superficie.

Lo stesso Desh fa parte del comitato scientifico della startup Real Ice, insieme ad altri scienziati tra cui Shaun Fitzgerald, direttore del Centre for Climate Repair a Cambridge, il quale lo scorso novembre ha pubblicato un paper – “Ice Thickening” – in cui illustra il metodo messo a punto dalla realtà innovativa gallese.

Tale metodo si basa sul principio di fare congelare l’acqua sottostante il ghiaccio, pompandola e facendola affluire sulla sua superficie. Come spiega il Co-Ceo della startup, l’italiano Andrea Ceccolini, Computer Scientist Engineer:

«… se uno versa l’acqua sopra il ghiaccio artico, questo si ghiaccia immediatamente. Si tratta, quindi, di esporre più acqua possibile, prelevandola da sotto lo strato di ghiaccio»

Se la calotta di ghiaccio agisce da isolante, ostacolando la formazione, allo stesso modo l’esposizione di acqua a contatto della superficie superiore e con le temperature estremamente rigide consente un congelamento quasi immediato.

«Nel giro di tre-quattro giorni, nell’ultimo test che abbiamo svolto in Canada, abbiamo aggiunto 30 centimetri allo spessore del ghiaccio in un’area di circa 4000 metri quadrati, con una semplice pompa da 600 watt», simile a quelle impiegate nelle piscine, aggiunge.

Per praticare i fori si interviene mediante un ice coring device, una sorta di tubo telescopico che viene riscaldato tramite una resistenza, con l’energia di una batteria. Questo tipo di soluzione tecnologica viene già usata da sopra il ghiaccio per il carotaggio del ghiaccio anche per profondità di decine di metri. 

«Per l’intervento che vogliamo mettere in pratica con i droni subacquei, basta un metro di profondità o anche meno (30-60 cm) e il ghiaccio contenuto verrà espulso una volta perforato interamente lo strato, per far spazio al tubo di uscita della pompa» illustra lo stesso Ceccolini.

Agire a livello subacqueo è più agevole, date le condizioni atmosferiche esterne estreme, con temperature di -30/40 °C e venti da 50/70 km/ora. Ed è qui che entrano in gioco i droni subacquei.

Gli autonomous underwater vehicle (AUV) sono robot sottomarini senza pilota. Di diversa lunghezza, sono simili ad altri veicoli autonomi sottomarini utilizzati in vari settori. Trovano impiego nelle ricerche oceaniche, ma anche nelle telecomunicazioni. Nel caso delle perforazioni artiche, si tratta di veicoli di dimensioni compatte, di circa 1,5 metri di lunghezza, più che sufficienti per portare la pompa e il tubo riscaldato e attuare le operazioni necessarie.

Il ruolo dell’intelligenza artificiale a supporto dei droni subacquei

Per rendere possibile questo intervento, è necessario provvedere a garantire un’ampia automazione, fornendo la necessaria intelligenza sia a bordo sia nell’area di controllo, che permetterà di portare i droni subacquei sull’oceano e farli collaborare come se fossero un insieme coordinato.

Gli AUV dovranno operare con modalità tipiche della swarm robotic. «Essi avranno bisogno di collaborare tra di loro in maniera molto intensa e ravvicinata, perché dovranno considerare una serie di fattori, dalle condizioni meteo a quelle del ghiaccio su cui operare, con una capacità di rete resiliente e i cui nodi operano in modo collaborativo».

Per rendere possibile tutto questo si rende necessaria l’adozione di tecniche di intelligenza artificiale, previste su più fronti. «Ci sono diverse aree dove possiamo applicare metodi di AI già ben consolidati. Uno riguarda la computer vision, sfruttando tecnologie Lidar e soluzioni che possano permettere un riconoscimento immagini quanto più ottimale».

Un altro elemento che richiederà l’adozione dell’AI riguarda la capacità di muoversi nell’ambiente marino, riconoscendo ed evitando ostacoli. Si useranno per questo sonar verticali e orizzontali, in modo da realizzare una mappa virtuale dell’ambiente in cui si naviga.

«Sarà necessario adottare modelli di deep learning che richiederanno un continuo apprendimento. Si adotteranno soluzioni consolidate già esistenti per produrre un volume quanto più ricco di dati, per consentire di muovere i droni in ottica swarm robotic sulla base di una rete IoT evoluta» specifica ancora il Co-Ceo di Real Ice.

Idrogeno verde da fonti rinnovabili per alimentare il sistema

Per alimentare la piattaforma dove sono alloggiati i droni subacquei e gli stessi AUV, serve energia. Si punterà sulle fonti rinnovabili, per rendere minimo l’impatto.

Real Ice intende impiegare idrogeno verde e la tecnologia fuel cell, in modo da produrre e stoccare il vettore energetico dove serve e quando si rende necessario. «L’idea è produrre idrogeno verde tutto l’anno con energie rinnovabili e poi portarlo in hub, piattaforme in mezzo all’oceano, ognuna con il compito di intervenire su un’area anche di 2000 chilometri quadrati».

Gli hub servono per rifornire poi i droni subacquei – tra i 100 e 300 dispositivi per hub – che lavorano spostandosi progressivamente per coprire tutta la superficie interessata dall’intervento. Ogni drone sarà munito di un contenitore di idrogeno verde stoccato a 700 bar da 2 kg; mediante fuel cell dovrà generare almeno 40 kWh, riuscendo a svolgere il lavoro di trasporto, foratura e pompaggio.

«La previsione è di realizzare un sistema sostenibile economicamente: l’obiettivo è arrivare a prevedere una spesa inferiore a 10mila dollari per ogni drone, consentendo di attuare un progetto scalabile in tre anni. Il costo complessivo di costruzione previsto si aggirerà sui 5 miliardi di dollari. Ci sono poi i costi degli hub e del sistema complessivo, che porta la spesa totale di 10 miliardi di dollari».

Si tratta di una cifra importante, ma se si considerano gli interventi di mitigazione climatica, sono decisamente ridotti: solo considerando gli incendi in California nel 2017-2021, essi hanno provocato perdite medie annuali stimate in 117,4 miliardi di dollari [fonte: Gordon and Betty Moore Foundation].

L’idrogeno verde sarà prodotto tramite elettrolisi con elettricità generata da eolico e fotovoltaico. «Ci sarà bisogno di appoggiarsi a società specializzate per attuare questa opportunità in un’area estrema per le condizioni meteo-climatiche. Ma le prime applicazioni pilota non richiedono un grande impegno in termini produttivi. Il primo progetto “in scala visibile”, 100 chilometri quadrati in una baia canadese, necessiterà di una turbina eolica da circa 300 kW. Alcuni operatori hanno già portato l’eolico e anche il fotovoltaico a queste latitudini: quindi, la possibilità di impiegarle in tale contesto esiste» rileva Ceccolini.

Altre soluzioni per preservare il ghiaccio marino artico

Oltre al consolidamento dei ghiacci mediante l’impiego di droni subacquei, ci sono diverse soluzioni tecnologiche allo studio su cui si focalizza l’attenzione del Center for Climate Repair.

Una di queste, al vaglio della Refreezing the Arctic Foundation, prevede lo schiarimento delle nubi marine(Marine Cloud Brightening – MCB): si riferisce a una tecnica di modifica dell’albedo, che mira ad aumentare la riflettività – e forse anche la durata di vita – di alcune nuvole, al fine di riflettere più luce solare nello spazio e compensare parzialmente alcuni degli impatti dei cambiamenti climatici. Tale tecnica cerca di concentrare l’umidità delle nuvole in un gran numero di goccioline più piccole. Così facendo, la copertura nuvolosa si sbianca, consentendo di riflettere più luce solare.

C’è poi l’iniezione di aerosol stratosferico (Stratospheric Aerosol Injection – SAI). Prevede l’uso di aerei, ma anche di palloni aerostatici o tubi giganti che, dalla superficie, rilasciano anidride solforosa nell’atmosfera superiore per aumentare l’albedo atmosferico terrestre (riflettività). Questo metodo per limitare i raggi solari riprende idealmente il fenomeno delle eruzioni vulcaniche, che emettono milioni di tonnellate di anidride solforosa nell’atmosfera.

Nello specifico, un team di scienziati ha ipotizzato – in un articolo su Environmental Research Communications – l’utilizzo di aerei ad alta quota quale strumento per disperdere le particelle di aerosol nell’atmosfera. Una volta rilasciati a un’altitudine di circa 13mila metri, superiore a quella degli aerei di linea, questi aerosol si spostano gradualmente verso i poli, determinando una lieve riduzione della luce solare che raggiunge la superficie.

Un’altra idea è basata sull’uso delle cosiddette “tende da mare”, nome ispirato al progetto Seabed Curtain, condotto dal climatologo John Moore della Lapland University. Si tratta di applicare del tessuto per impedire all’acqua calda di lambire la base delle piattaforme di ghiaccio, un concetto derivato da una proposta del 2018 di costruire banchine sottomarine. Ciascuna cortina, alta circa 100 metri, verrebbe ancorata al fondo del mare tramite una fondazione e sarebbe galleggiante.

Altrettanto importanti sono quelle ricerche che studiano il comportamento e la dinamica del ghiaccio marino artico e che impiegano intelligenza artificiale e machine learning. Tra queste, va ricordato il progetto di digital twin per l’osservazione della Terra e dello spazio, che sta mettendo a punto la National Oceanic and Atmospheric Administration, insieme a Nvidia e Lockheed Martin. 

Glimpses of Futures

Le soluzioni ideate, progettate e in parte realizzate per tentare di ridurre lo scioglimento del ghiaccio marino estivo artico, dall’impiego di droni subacquei per ispessire la copertura di ghiaccio alle altre idee al vaglio, richiedono fondi e ulteriori approfondimenti per valutare la loro reale concretizzazione. L’obiettivo è virtuoso: tutelare quanto più possibile un bene di rilevanza globale. Si tratta di compiti e di responsabilità che vanno assunti anche a livello politico e istituzionale, perché l’ulteriore riduzione dei ghiacci polari apre scenari drammatici.  Come ricorda il WWF, l’Artico e l’Antartico sono il frigorifero del mondo:

«Poiché sono ricoperti di neve bianca e ghiaccio che riflettono il calore nello spazio, bilanciano le altre parti del mondo che assorbono calore. Meno ghiaccio significa meno calore riflesso, il che significa ondate di caldo più intense in tutto il mondo»

È bene, ora, anticipare i possibili scenari futuri analizzando – per mezzo della matrice STEPS – gli impatti a livello sociale, tecnologico, economico, politico e in termini di sostenibilità.

S – SOCIAL: lo scioglimento del ghiaccio dell’oceano Artico provocherà un ulteriore inasprimento del riscaldamento globale e l’innalzamento del livello dei mari, con effetti a catena importanti, a partire da chi vive lungo le coste. Attualmente, circa il 40% della popolazione mondiale vive a 100 chilometri dalle zone costiere [fonte: ONU] e più di 600 milioni risiedono in aree costiere con un’altitudine inferiore a 10 metri sul livello del mare [fonte: “Assessing population exposure to coastal flooding due to sea level rise” – Nature].

T – TECHNOLOGICAL: le soluzioni al vaglio della comunità scientifica in grado di ridurre o ritardare lo scioglimento del ghiaccio artico sono, in parte, teoriche e vanno studiate con molta attenzione per evitare che possano essere non solo inefficaci, ma possano anche avere un impatto negativo a livello ambientale. Già oggi, però, grazie alla combinazione di strumenti vari (satelliti, Lidar, droni) con sistemi di intelligenza artificiale, è possibile contare su previsioni meteo-climatiche sempre più accurate, per comprendere meglio anche la situazione del ghiaccio marino artico.

E – ECONOMIC: il costo necessario a trasformare alcuni dei progetti e delle soluzioni in grado di preservare il ghiaccio nell’Artide non è “lieve”. Abbiamo detto del progetto di ice thickening; nel caso invece del Seabed Curtains, gli autori del progetto per l’installazione delle tende stimano una spesa che varia dai 40 agli 80 miliardi di dollari, cui vanno aggiunti due miliardi di dollari all’anno per la manutenzione. Ma vanno anche previsti i costi derivanti dalle conseguenze dello scioglimento dei ghiacci. Si pensi all’innalzamento del livello dei mari: si prevede che la costruzione e il mantenimento della protezione costiera costeranno circa 40 miliardi di dollari all’anno per ogni metro di innalzamento del livello del mare [fonte: Artic Centre].

P – POLITICAL: lo scioglimento dei ghiacci polari è un problema di portata enorme, che riguarda tutti i Paesi nel mondo. Tuttavia, alcuni fattori condizionano le possibilità di intervenire prontamente. Un esempio è l’Arctic Council, il principale forum intergovernativo che promuove la cooperazione nell’Artico. L’invasione dell’Ucraina operata dalla Russia (tra i Paesi membri del Consiglio) ha profondamente influenzato la geopolitica artica e le dinamiche di sicurezza, come ha evidenziato l’Arctic Institute.

S – SUSTAINABILITY: la scomparsa del ghiaccio artico ha svariati effetti e impatti rilevanti a livello ambientale, incidendo sull’innalzamento della temperatura e sui conseguenti effetti potenziati del global warming. Non solo: sotto il permafrost sottomarino artico sono immagazzinati importanti quantitativi di metano e idrati di metano. Lo scioglimento di questo strato comporta il loro rilascio in ambiente e in atmosfera, peggiorando ulteriormente il riscaldamento globale. [fonte: “Groundwater springs formed during glacial retreat are a large source of methane in the high Arctic” – Nature Geoscience].

Scritto da:

Andrea Ballocchi

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