Gli ecosistemi digitali africani crescono all’interno di condizioni e contesti non pacifici ma l’innovazione non manca e potrebbe attrarre gli interessi del mondo occidentale
È in contesti di crisi, emergenze e guerre che nascono e crescono, anche con successo, gli ecosistemi digitali africani. In Africa, una cosa che non manca mai è l’amplia disponibilità di conflitti. Triste e cinico a dirsi ma il grande continente è regolarmente bagnato dal sangue dei nativi a cui si aggiungono, di tanto in tanto, i coloniali occidentali (ultimamente pure gli euroasiatici). I conflitti in Africa sono di norma generati per motivi etnici/tribali sui quali si innestano interessi legati alle materie prime minerali, acqua, territori di pascolo, etc. Con l’evoluzione di un futuro multilaterale, dove i centri del potere saranno più o meno suddivisi in differenti capitali (Occidente, blocco euroasiatico, governi africani) i conflitti andranno ad aumentare.
Bene ricordare che la maggioranza dei conflitti sono a bassa intensità. Il concetto non ci confonda. I morti e i feriti ci sono sempre, ma gli armamenti utilizzati sono di norma armi leggere automatiche o armi pesanti usate generalmente dalla fanteria leggera. Di solito, l’utilizzo di armamenti pesanti (artiglieria, mezzi blindati aviazione) sono appannaggio dell’esercito regolare di uno Stato. Una notevole novità è rappresentata dai droni: kamikaze, da ricognizione, bombardieri tattici, soluzioni recenti, spesso civili militarizzati alla buona, sono il futuro delle guerre a bassa intensità.
I conflitti in Africa ovviamente creano numerose migrazioni, di solito interne al continente. Per quanto potrebbe sembrare improbabile, gli ecosistemi digitali africani stanno espandendosi anche in questo scenario convulso e critico.
Esistono molte realtà, startup e scaleup, che stanno permeando la vita dei cittadini africani, sia che siano in pace o in guerra. Comprendere come e chi sono queste realtà, e come operano, è un’opportunità per mappare un futuro mercato estremamente fluido, che difficilmente il mondo digitale occidentale può valorizzare con i suoi strumenti nativi, generati nelle società pacifiche del primo mondo.
Ecosistemi digitali africani, l’evoluzione digitale sudanese pre-guerra
Per avere un caso storico, ancora in divenire, consideriamo il Sudan. Prima della guerra, il Sudan aveva un ecosistema di startup piuttosto florido che attraeva investitori. Alsoug, che possiede Cashi, aveva raccolto 5 milioni di dollari nel 2021 e nel 2022 un altro milione da altri investitori continentali come Fawry (fintech egiziana), OneDayYes (gestito da un board femminile) e EQ2 Ventures (medio orientali).
Un’altra fintech africana, Bloom, aveva raccolto 6,5$ milioni nel 2022, con investimenti da parte di Y Combinator e personaggi Vip quali Blaise Matuidi (dirigente sportivo, ex calciatore francese) e Kieran Gibbs (ex calciatore inglese). Questi nomi rappresentano alcune delle realtà con maggior raccolta nell’ultimo anno.
La crisi che ha investito la nazione ha bloccato ogni raccolta ma, contemporaneamente, ha dimostrato la resilienza di alcune startup che, invece di chiudere o abbandonare il paese, hanno creato progetti specifici per supportare e aiutare i cittadini sudanesi.
Le startup sudanesi attive anche durante la guerra
Con la guerra civile i servizi finanziari al cittadino sono stati colpiti: la capacità di accedere a bancomat o altri circuiti di pagamento è limitata.
Le startup locali si sono attivate. Cashi si è distinta sin da subito come un’alternativa per avere fondi. La piattaforma opera come una normale fintech occidentale. Una volta accreditati i soldi sul proprio account digitale si possono ritirare presso i numerosi “cashi kiosk” distribuiti in modo capillare nella nazione.
Durante la crisi sudanese Cashi ha lanciato una soluzione di transazioni peer-to-peer che evita di legarsi al sistema di e-banking della banca centrale, al momento disfunzionale. Questa soluzione è utile anche per ricaricare il credito telefonico del cellulare che, in un momento di crisi, è l’unico collegamento con i propri familiari e amici. Cashi non è l’unica tech startup nazionale che si è riscoperta vitale per i cittadini.
DataQ, Tirhal e KhartouMap hanno creato specifiche soluzioni per supportare le necessità delle persone durante l’attuale crisi.
Nel primo mese dallo scoppio della guerra, DataQ ha lanciato una piattaforma chiamata Nidaa (“chiamata di aiuto” in lingua locale): permette alle persone che hanno necessità urgente di medicine, cibo, una corsa sicura, di ricevere un aiuto dai volontari che si sono registrati sulla piattaforma. Stante i dati forniti da Nidaa, sono oltre 8000 le richieste ricevute, da oltre 12 località differenti e circa 600 le utenze registrate che hanno fornito supporto ai bisognosi.
La startup di mobilità sudanese Tirhal ha deciso, dopo lo scoppio della guerra, di ridurre le fee per chi la utilizza; in più gli autisti possono usarla gratis. Certo. Avrebbero potuto fare di più ma meglio di nulla.
Un approccio più operativo, in ambito di mobilità, viene daSudan Safe Passages, un gruppo di volontari ed emigrati sudanesi che hanno creato una app chiamata Amen. Il software una volta caricato su un cellulare permette di acquisire dati in tempo reale sulla disponibilità di percorsi sicuri e la disponibilità di posti letto in ospedale.
Le app che aiutano le persone in difficoltà, in momenti di crisi, emergenze e guerre
Il caso delle app sudanesi autoctone non è isolato. La crescente complessità del mondo, l’affacciarsi di crisi generate dall’uomo (guerre per lo più o carestie) e dalla natura, portano una crescente parte della popolazione mondiale a dover gestire scenari estremi.
La penetrazione del mondo digitale nella vita di tutti i giorni permette di poter far leva sulla disponibilità di reti e cellulari per alleviare, specialmente a inizio crisi, i problemi dei cittadini colpiti da una tragedia. Ovviamente non si dimentichi che queste app, se valorizzate in chiave di Big Data possono divenire, sul medio termine, anche opportunità per estrarre valore e dati dagli utenti, nella miglior tradizione di internet che recita “non ci sono pasti gratis: se una cosa è gratis la paghi in natura”. Tra le altre app che meritano una menzione possiamo ricordarne alcune che hanno già evoluto modelli di business e approcci diffusi.
What3Words è una app di geocodifica. In occidente è un gioco divertente ma è in scenari di crisi che si rivela utile: si possono identificare aree specifiche di 3 metri per 3 grazie ad un singolo nome. In pratica la app traduce in nomi la localizzazione geospaziale di un individuo o una specifica area circoscritta. Disponibile in 12 lingue è uno strumento ideale in caso di tragedie per comunicare la propria posizione in modo veloce anche al telefono, in caso non vi fosse la possibilità di geolocalizzarsi tramite banda larga / Wi-Fi.
My Plan è un’app che educa le donne a comprendere scenari di violenza domestica e abusi sessuali. A questa prima linea di servizi si aggiungono la capacità di comunicare con le reti locali di emergenza. Utile nelle tragedie in cui, brutto a dirsi, spesso si registrano violenze a beni e individui deboli da parte di approfittatori o vandali che, valorizzando il disordine temporaneo, cercano di sfruttare ogni situazione.
No Food Waste è una app nata e diffusa in India e Pakistan. Permette a ristoratori, scuole e altri prodotti di rimanenza alimentari di segnalare il cibo avanzato, in questo modo dei volontari possono recuperare e redistribuirlo ap più poveri. Tuttavia, in caso di emergenza questa app può essere un ulteriore supporto per raccogliere cibo in caso di alluvioni o altri eventi climatici estremi che possono colpire quelle aree.
Cheetah, per lo più diffuso nell’Africa occidentale, è un’app che permette a coltivatori, trasportatori di cibo e mercanti di avere informazioni in tempo reale per i mercati che cercano i prodotti alimentari che possiede l’utente, percorsi stradali più veloci, condizioni meteo. In ambito di crisi è un’ottima soluzione per rimanere collegati ai centri di logistica. Al momento è operativo in Ghana.
Headspace è una app un po’ particolare, diciamo psicologica. La app permette agli utenti, generalmente operatori di Ong, di riprendersi da eventi traumatici. È bene ricordare che l’impatto emotivo delle crisi è devastante e gli umani che li affrontano acquisiscono un debito negativo pesante da gestire. Questa app mira a cercare di affrontare un poco questo scenario.
Con la crescente alfabetizzazione digitale dei cittadini del continente africano e di altri paesi oggi in via di sviluppo è logico immaginare che questi tipi di app continueranno a crescere. Gli ecosistemi digitali africani (e quelli di altri paesi in crescita) potrebbero poi catturare l’attenzione dei grandi fornitori di servizi occidentali, pensiamo al mondo del credito al consumo o assicurativo, che vorranno farsi largo in questi segmenti della società; il passaggio obbligatorio sarà la penetrazione o acquisizione di app locali, forgiate sulle necessità degli abitanti di queste nazioni.