Gli squilibri dell’ecosistema, la perdita di biodiversità e i cambiamenti climatici propri dell’attuale era geologica hanno conseguenze ancora più gravi su quelle aree del pianeta già oppresse da problematiche di natura socio-economica. Se rispondere a tale condizione di “ingiustizia sistemica” è un dovere etico, farlo per mezzo dell’intelligenza artificiale è necessario.

TAKEAWAY

  • Per “giustizia ambientale”, secondo l’Environmental Protection Agency, si intende il trattamento equo e il coinvolgimento di tutte le persone – indipendentemente da etnia, origine nazionale o reddito – nell’applicazione di leggi e politiche ambientali.
  • Sul tema, particolare interesse ha suscitato un articolo del Journal of Multicultural Counseling and Development, in cui si discute di come il degrado ecologico correlato all’Antropocene (l’era geologica caratterizzata dal dominio dell’essere umano sulla natura) abbia maggiori impatti sulle comunità socialmente ed economicamente emarginate.
  • L’intelligenza artificiale ancora una volta si pone quale arma benefica a servizio dell’umanità, in grado di supportare anche la giustizia ambientale. Lo dimostra il numero di studi e ricerche che, già da diversi anni, nel mondo, si stanno occupando della tematica sfruttando le potenzialità dell’AI.

Trattare, oggi, di come le nuove tecnologie – e, in più in particolare, l’intelligenza artificiale – rappresentino un mezzo per la giustizia ambientale, significa fare riferimento all’attuazione, grazie all’AI, delle politiche in tema di clima e ambiente nelle comunità socialmente ed economicamente emarginate, come quelle di alcune aree dell’Africa, dell’India e del Sudamerica.

A tale riguardo, ha suscitato particolare interesse, all’interno della comunità scientifica americana, un articolo pubblicato a luglio 2021 sulla rivista Journal of Multicultural Counseling and Development – facente capo all’Associazione USA per il Multicultural Counselling and Development – in cui si discute su come promuovere la giustizia ambientale durante quella che viene definita l’era geologica dell’Antropocene, dove, per “giustizia ambientale”, secondo l’Environmental Protection Agency, si intende «il trattamento equo e il coinvolgimento significativo di tutte le persone, indipendentemente da razza, colore della pelle, origine nazionale o reddito, rispetto allo sviluppo, all’attuazione e all’applicazione di leggi, regolamenti e politiche ambientali».

Nel dettaglio, nell’articolo si parla di come i cambiamenti climatici e il degrado ecologico correlati all’Antropocene abbiano i maggiori impatti proprio sulle comunità già oppresse da gravi problematiche di natura socio-economica e di come sia un dovere etico rispondere a tale condizione di “ingiustizia sistemica”.

Sebbene, relativamente al termine, non esista ancora la conferma ufficiale da parte dell’Unione Internazionale delle Scienze Geologiche, per “Antropocene” si intende l’era in cui le attività umane hanno incominciato ad avere ripercussioni importanti sull’equilibrio dell’ecosistema dell’intero pianeta, causando, nel tempo, inquinamento di aria e acqua, cambiamenti climatici, riscaldamento dei mari, scomparsa di specie animali, desertificazione, allevamenti intensivi e altri fenomeni che, nel corso dei decenni, hanno danneggiato l’ambiente e la biodioversità.

Su quando, precisamente, ha avuto inizio questa nuova era geologica, sono state avanzate diverse tesi, tra cui quella che vuole coincida con la prima rivoluzione industriale (ossia con l’inizio dello sfruttamento dei combustibili fossili) e quella che, invece, la associa ai primi esperimenti nucleari. Quello che, invece, è certo, è che tale dominio dell’uomo sulla natura perdura e continuerà a farlo anche in futuro.

Intelligenza artificiale per la giustizia ambientale: il monitoraggio della deforestazione nelle aree più povere

La perdita della biodiversità, tratto distintivo negativo dell’attuale era geologica – è correlata anche alla riduzione della superficie forestale, col grave rischio, a livello globale, di perdita della sicurezza alimentare, nonché di squilibrio dell’ecosistema ambientale.

In particolare, la perdita della sicurezza alimentare va a colpire soprattutto le popolazioni rurali delle aree più povere e maggiormente prive di strumenti per fare fronte al fenomeno. È in queste che occorre intervenire più rapidamente, come sottolineato nell’articolo del Journal of Multicultural Counseling. E va in questa direzione anche l’Obiettivo 15 dell’Agenda 2030, focalizzato «sulla protezione, sul ripristino e sulla promozione dell’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestendo in modo sostenibile le foreste, contrastando la desertificazione, arrestando e invertendo il degrado dei suoli e fermando la perdita di biodiversità».

Le tecniche che fanno capo all’ambito di studi dell’intelligenza artificiale sono in grado di supportare la giustizia ambientale. Lo dimostra il numero di studi e ricerche che, già da diversi anni, nel mondo, si stanno occupando della tematica sfruttando le potenzialità dell’AI. A cominciare dal progetto che vede al centro l’applicazione della Computer Vision e del deep learning per l’analisi delle immagini satellitari relative alle condizioni delle foreste e la mappatura delle piantagioni di olio di palma in Malesia, Indonesia, Cambogia e Colombia, a cura dell’organizzazione USA no profit World Resources Institute (WRI) e della società californiana di analisi geospaziale Orbital Insight.

Il sistema di analisi messo a punto, anziché basarsi sulla sola rilevazione dei pixel verdi presenti all’interno delle immagini satellitari, si basa su tecniche di deep learning in grado di prendere in esame più elementi della scena contemporaneamente (colore, dimensione, forma e modello delle piantagioni). L’algoritmo è stato addestrato per mezzo di oltre 600.000 immagini satellitari relative a piantagioni. E, per quanto riguarda, nello specifico, l’identificazione di piantagioni industriali di palme da olio, il team di studio si è avvalso dell’apprendimento automatico supervisionato, il cui modello è stato allenato mediante la somministrazione di immagini satellitari di piantagioni di palme da olio poste accanto, ad esempio, ad aree urbane o a foreste naturali.

Un altro progetto in tema di intelligenza artificiale per la giustizia ambientale – frutto del lavoro congiunto dell’International Center for Tropical Agriculture, in Colombia, dell’organizzazione USA senza fini di lucro The Nature Conservancy, la School of Business and Engineering e il King’s College di Londra – rileva, invece (quasi in tempo reale), i cambiamenti di copertura del suolo prodotti dall’uomo nel mondo, con l’obiettivo di “cogliere” la deforestazione nel momento stesso in cui viene “innescata”.

Il sistema prende in esame le immagini satellitari provenienti dai sensori MODIS (Moderate Resolution Imaging-Spectrometer) e TRMM (Tropical Rainfall Measuring Mission) della NASA e, servendosi di un algoritmo computazionale – sviluppato per individuare, nel tempo, i cambiamenti di verde in determinate aree e porli in relazione con le precipitazioni – identifica la perdita di copertura degli alberi. Inoltre, una rete neurale è deputata ad analizzare la tipologia di verde in base alle condizioni del terreno e alle precipitazioni [per approfondimenti sull’AI, consigliamo la lettura della nostra guida all’intelligenza artificiale che spiega cos’è, a cosa serve e quali sono gli esempi applicativi – ndr].

Intelligenza artificiale per la giustizia ambientale: la mappatura della fauna selvatica e della salute dei mari

Proteggere la biodiversità significa anche mettere in atto politiche a tutela delle specie animali in via di estinzione a causa del degrado degli habitat (terrestri e marini), dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento diffuso. In tema di intelligenza artificiale per la giustizia ambientale, sono in essere, a livello globale, progetti di conservazione della fauna selvatica, tra cui Wildbook, realizzato dall’Organizzazione senza fini di lucro Wild Me, in collaborazione con l’Università dell’Illinois-Chicago, il Rensselaer Polytechnic Institute (RPI) e l’Università di Princeton.

Il sistema messo a punto si basa su tecniche di Computer Vision e di artificial intelligence, per rilevare e identificare, nel tempo, i singoli animali sulla base di immagini raccolte grazie ai contributi dell’attività di semplici cittadini. Più nello specifico, il rilevamento avviene grazie a una rete neurale convoluzionale profonda, che lavora classificando le immagini per intero (esaminandole alla ricerca di determinate specie animali) e localizzando nello spazio gli animali rilevati. Infine, c’è il passaggio dell’identificazione – col quale il sistema di visione artificiale identifica e dà un nome (un’etichetta) a ogni rilevamento effettuato – e di post-elaborazione, che verifica le corrispondenze nello spazio.

Sul fronte del monitoraggio degli habitat marini – fondamentale a contenere l’inquinamento e l’acidificazione delle acque e a gestire in modo sostenibile la protezione degli ecosistemi – la già citata organizzazione USA senza fini di lucro, The Nature Conservancy, insieme a ESRI e a Microsoft, ha dato vita a due progetti che sfruttano le tecniche AI per mappare la fauna oceanica e il grado di protezione delle costiere. In particolare, il primo consiste in un’app Web capace – per mezzo di un algoritmo di machine learning – di esaminare nel dettaglio le immagini subacquee pubblicate sul portale Flickr. Grazie a tale app, ad esempio, è stato possibile – correlando la quantità di immagini relative alla barriera corallina a una serie di altri dati – “misurare” lo stato di salute delle barriere coralline, chilometro per chilometro.

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