A Torino, un team multidisciplinare ha messo a punto un metodo di analisi che ha impiegato tecniche di Machine Learning per una terapia post infarto accurata ed efficace. Del team fa parte il professor Umberto Morbiducci, che evidenzia il grande valore della ricerca e prospetta le opportunità che si aprono con l’intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale in medicina si traduce nell’aprire a nuove prospettive per terapie sempre più mirate, precise ed efficaci. Uno dei capitoli più significativi, in questa storia recente e in divenire, l’ha scritto un team multidisciplinare italiano e riguarda la creazione di un nuovo sistema di classificazione del rischio di morte nei pazienti affetti da sindrome coronarica acuta, capace di ridurre statisticamente la possibilità di una diagnosi non corretta.
La ricerca è stata coordinata dalla Cardiologia universitaria dell’ospedale Molinette della Città della Salute (diretta dal professor Gaetano Maria De Ferrari) assieme al Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino (in particolare al professor Marco Aldinucci) e a quello di Meccanica e Aerospaziale del Politecnico torinese.
Il risultato è divenuto materia di studio e un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista di medicina The Lancet. Ha messo al centro l’intelligenza artificiale, anzi tecniche di Machine Learning per analizzare dati clinici di 23mila pazienti per un fine considerevole: fornire la terapia più mirata ed efficace a pazienti con infarto miocardico acuto, che nei primi due anni dall’evento sono ad altissimo rischio di recidiva, ma anche soggetti a sanguinamenti dovuti ai farmaci anticoagulanti.
La decisione sulla terapia migliore deve bilanciare questi due rischi. Finora il medico specializzato può puntare sulla sua competenza, esperienza e intuito, oltre che dai punteggi di rischio, relativamente precisi.
L’adozione di un metodo analitico basato sull’intelligenza artificiale ha permesso di elevare il tasso di precisione per identificare la possibilità di un evento come un nuovo infarto o un sanguinamento dal 70% con tecniche tradizionali al 90%.
In tutto questo lavoro è stato coinvolto attivamente anche il Gruppo di Biomeccanica Computazionale (Biomeccanica dei Solidi e dei Fluidi) del Politecnico di Torino, in cui sono attivi i professori Marco Deriu e Umberto Morbiducci. Con quest’ultimo abbiamo voluto comprendere meglio il valore della ricerca svolta e le potenzialità d’impiego dell’AI per la medicina, in particolare per la cardiologia.
Intelligenza artificiale in medicina e patologie cardiache
Perché sia importante l’uso dell’Intelligenza artificiale per lo studio del cuore è presto detto: le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte nel mondo occidentale, con più di 4,3 milioni di morti in Europa e causa del 48% di tutti i decessi.
Oltre all’ictus, la principale forma di patologia cardiovascolare sono le malattie cardiache coronariche. Solo in Italia sono circa 100 mila i pazienti affetti ogni anno da una Sindrome Coronarica Acuta, che comprende l’infarto acuto del miocardio. Da qui è partito il team multidisciplinare torinese, di cui fa parte il gruppo di Biomeccanica computazionale.
“Siamo intervenuti in collaborazione con il team di ingegneria informatica dell’Università di Torino per mettere a punto gli algoritmi di Machine Learning e poi valutando i risultati, dal punto di vista ingegneristico” spiega Morbiducci.
Il team di Biomeccanica dei Solidi e dei Fluidi collabora da tempo col professor Gaetano Maria De Ferrari, direttore di Cardiologia universitaria dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino e con il coordinatore dello studio, Fabrizio D’Ascenzo, con diverse linee di ricerca finalizzate a predire il rischio di infarto miocardico collegato a disturbi di flusso nelle arterie coronariche.
“Abbiamo deciso di riunire forze e dati clinici riguardanti 23mila pazienti che presentavano una sintomatologia analoga. L’approccio principe è stato l’impiego di Machine learning per tentare di far emergere correlazioni nascoste in una gran quantità di variabili in un dataset piuttosto ampio e rappresentativo di una popolazione affetta da sindrome coronarica acuta. Applicando tecniche di AI si è quindi voluto ricavare da questa correlazione e combinazione di variabili la capacità di predire il profilo di rischio futuro per il singolo paziente”
Questo approccio ha un impatto notevole sulla medicina attuale, alle prese oggi con i Big Data: si stima, infatti, che il settore medico nei prossimi anni sarà in grado di produrre una quantità di dati attorno a un zettabyte, ovvero un triliardo di byte.
È impensabile analizzare una mole di dati di questo volume con gli approcci dei modelli statistici classici. Per cui l’avvento dell’intelligenza artificiale in medicina è scontato. Tuttavia, siamo agli albori per quanto riguarda l’uso di tecniche di Artificial Intelligence collegate a dataset su grandi quantità di dati clinici.
La stessa importanza del metodo messo a punto a Torino è frutto di un lavoro immane, in termine di risorse umane e tecniche. “Richiedono un grandissimo sforzo collaborativo non solo dal punto di vista clinico, ma anche in termini di collaborazione multidisciplinare, senza la quale non si sarebbero riusciti a cogliere risultati così rilevanti”.
Professor Morbiducci, è possibile, nei prossimi anni, portare su un piano pratico questa metodologia sperimentale di analisi?
Certamente sì, a patto però che si faccia uno sforzo nella direzione di una Explainable Artificial Intelligence, ovvero la possibilità di elevare il livello di comprensione di come viene generato il dato in uscita. Tutto ciò ha svariati risvolti positivi e vantaggi notevoli perché amplificare la comprensibilità dei modelli basati su Machine learning è fondamentale per riuscire a capire i risultati ottenuti e cercare di interpretare il potenziale impatto delle singole variabili usate nell’ottenimento. In poche parole, il mio auspicio è che strumenti così complessi di analisi possano produrre informazioni comprensibili non solo al tecnico, ma al medico generico.
Cosa manca per riuscire a far fare il salto di qualità alla ricerca che vede l’applicazione delle tecniche di intelligenza artificiale?
La lacuna da colmare è nella cosiddetta explainability, che è in carico alla ricerca. L’intelligenza artificiale in medicina, e non solo, riesce a fare emergere le correlazioni nascoste e difficilmente identificabili con altre metodologie su una grandissima quantità di dati. Tuttavia nulla dice sulla relazione causa-effetto, determinante per comprendere il nesso tra ciò che emerge e ciò che diviene comprensibile. In questo senso, si stanno compiendo grossi sforzi nell’ambito della modellazione computazionale, attraverso modelli computazionali biomeccanici appropriati.
Come Gruppo di Biomeccanica Computazionale del Politecnico avevate già sperimentato l’intelligenza artificiale in medicina. Per quali esigenze e con quali risultati?
L’impiego dell’intelligenza artificiale in medicina e, più nello specifico, in ambito biomeccanico, seppure cominciato da pochi anni, è ormai presente in vari campi e con lusinghieri risultati. Per esempio, interviene nel minimizzare i tempi di calcolo per rendere compatibili le simulazioni dei flussi sanguigni nell’aorta, nel miocardio o nei distretti coronarici. Tutto ciò può fornire indicazioni molto utili per prendere una decisione in ambito clinico medico. In questo senso si stanno applicando tecniche di deep learning, utilizzando reti neurali addestrate impiegando leggi della fisica per risolvere più velocemente le equazioni che governano il moto dei fluidi, per esempio. Ciò spinge fortemente la simulazione, a vantaggio di modelli computazionali sempre più focalizzati sul singolo paziente. Quindi da una parte c’è l’uso di tecniche di AI come acceleratore di soluzioni nei campi di moto nelle simulazioni dei distretti cardiovascolari, dall’altra si va verso la medicina in silico, ovvero l’utilizzo diretto della simulazione al computer nella diagnosi, nel trattamento o nella prevenzione di una malattia. Prende così piede l’adozione di trial clinici che invece di essere svolti sulla persona, possono essere effettuati su “pazienti virtuali”, che possono essere generati, utilizzando metodi di AI a partire da una piccola popolazione di pazienti reali che sulla base di determinate condizioni si possono moltiplicare.
Quindi si sta facendo sempre più spazio all’impiego del digital twin, è così?
Proprio così, una delle applicazioni è proprio quella del gemello digitale che non rientra strettamente, almeno al momento, nel campo di applicazioni di AI, ma prima o poi accadrà. Ma ancora, l’intelligenza artificiale in medicina può essere applicata, ad esempio, per studiare in modo più rapido ed efficace, tramite tecniche di modellazione, gli stati conformazionali delle proteine, molto utili per comprendere lo sviluppo delle patologie neurodegenerative.