In un articolo a cura del Lean Enterprise Institute di Boston, molti anni dopo la pubblicazione, nel 1996, del libro “Lean Thinking”, considerato il manifesto del “pensiero snello”, i suoi autori – James Womack, allora consulente aziendale e oggi fondatore dello stesso Istituto, e Daniel Jones, a quel tempo docente di management presso la Cardiff Business School dell’University of Wales e oggi fondatore della Lean Enterprise Academy nel Regno Unito – ricordano come quel testo sia stato scritto «in un momento in cui sempre più organizzazioni sentivano di aver fallito con i programmi di empowerment e come, a quel punto, il percorso ideale, per le aziende, sembrava essere focalizzato sul cliente e non sui dipendenti o sui titolari e prevedeva un lavoro a ritroso, per creare più valore con meno sprechi».
Cos’è il lean thinking
Il suo contenuto rimanda sempre al cliente, alla conoscenza dei suoi gusti, di ciò che egli apprezza maggiormente e dei problemi che gli preme risolvere.
In particolare, Daniel Jones – oggi mentore per quanto riguarda l’applicazione del pensiero lean a ogni tipo di azienda – a tale proposito parla di “customer focus” e, parallelamente, della necessità di una leadership in grado di supportarlo, in grado di sostenere il lavoro che conduce al raggiungimento del “valore perfetto” per il cliente.
Nelle organizzazioni che adottano il lean thinking, «al contrario di una leadership che, semplicemente, decide un piano e lo consegna a terzi, i leader creano un dialogo con i dipendenti e i collaboratori, al fine di guidarli nello sviluppo di quelle capacità che conducono alla creazione del valore».
Anche relativamente ai problemi del cliente – prosegue Jones – alla leadership viene chiesto di indicare una linea da seguire, un quadro di riferimento «per imparare a risolverli in team e capire come farlo nel contesto dei bisogni della stessa azienda».
L’impresa che applica i principi del pensiero snello possiede un’organizzazione tale da lavorare alla comprensione del cliente e alla soluzione dei suoi problemi nel tempo, con continuità, in un processo continuo, alla ricerca di quel “valore perfetto” conseguibile sviluppando sempre nuovi prodotti e servizi, nonché attraverso il ciclo di utilizzo di questi ultimi, a partire dalla consegna fino alla manutenzione, per arrivare agli aggiornamenti e al riciclaggio.
«Il lean thinking non è dogmatico – fa notare Shook – Non è un insieme rigido e immutabile di credenze e di metodi. Al contrario, progredisce nel contesto di situazioni specifiche. E fino a quando, nelle aziende, verrà generato un valore imperfetto e sussisteranno sprechi, non esisterà, per lui, un punto di arrivo».
I principi fondamentali
L’organizzazione che sposa il lean thinking è, prima di tutto, un’azienda in cui si «impara a lavorare insieme in modo più efficace», in cui tutti, indipendentemente dal ruolo e dalle mansioni, cooperano alla creazione del valore. Non esistono divisioni interne, né compartimenti stagni, ma un gruppo di lavoro coeso, animato dalle medesime finalità.
Il “macro principio” del pensiero lean prevede proprio un diverso approccio al processo decisionale – rimarca Jones – che non procede, tradizionalmente, dall’alto verso il basso, separando le stanze della decisione da quelle della sua concreta attuazione, ma che sceglie la condivisione tra tutti i membri del team.
E tutti i membri – a iniziare dal top management – sono chiamati a seguire un percorso ideale che conduce alla piena realizzazione del lean thinking, scandito da una serie di fasi (cinque, per l’esattezza) che, ripetute nel tempo, portano a compimento i suoi principi e segnano l’evoluzione continua, il miglioramento costante dell’azienda sotto il profilo della sua gestione. Eccole, in breve sintesi:
- definizione del valore che si intende produrre nell’ambito della propria attività, riferito a un prodotto, a un servizio o a un progetto, avendo chiaro che cosa davvero desidera il cliente, di che cosa ha necessità, qual è il problema che intende risolvere
- definizione del flusso di lavoro, individuando eventuali sprechi di risorse, di tempo e di costi, anche in relazione a quei processi e a quelle operazioni abituali, ma utili sono in apparenza, poiché non generano valore. Il focus è su quelle attività che portano a un valore maggiore
- ottimizzazione del flusso agendo sugli sprechi e sulle attività non utili rilevate, riducendo i primi e sostituendo le seconde con operatività che portano risultati concreti
- implementazione di un sistema pull, inquadrando quelle attività che generano maggiore valore all’interno di un sistema in cui è il cliente a fare leva su di esse attraverso la propria “domanda”, esprimendo un’esigenza che trova in loro una risposta effettiva e soddisfacente
- miglioramento continuo, peculiarità dell’approccio lean alla gestione aziendale, per cui non esiste un traguardo raggiunto una volta per sempre, bensì un processo in itinere, un “viaggio” che l’azienda compie alla ricerca della propria evoluzione continua
Per approfondire i principi fondamentali del Lean Thinking, rimandiamo alla lettura dell’articolo “Lean Management: cos’è e le 5 fasi su cui si fonda”.
Applicare il lean thinking
Imprescindibile, nell’applicazione del lean thinking, è – innanzitutto – la sua diffusione, la condivisione dei suoi contenuti e dei suoi principi tra tutti coloro che lavorano all’interno dell’organizzazione.
La pervasività del pensiero agile e l’adesione a quest’ultimo da parte di tutta la forza lavoro è, infatti, la condizione primaria affinché abbia inizio la lean transformation, affinché si attui il cambiamento della gestione aziendale e, correlato a quest’ultimo, il miglioramento di tutta la sua operatività.
E se “cambiamento” e “miglioramento” – secondo il pensiero lean – sono parte di un processo evolutivo senza soste, di un viaggio ideale, tutti, in azienda, devono poter prendervi parte, con un proprio ruolo e proprie responsabilità e, soprattutto, focalizzati sugli obiettivi.
I cinque principi appena riepilogati costituiscono la cassetta degli attrezzi per affrontare questo viaggio, fatto di lavoro quotidiano e costante alla ricerca del valore massimo, del “valore perfetto” (per sé e per il cliente), a zero sprechi.
Al primo traguardo si giunge ascoltando il cliente, capendo il suo mondo, la sua realtà, i suoi obiettivi, captando le criticità che lo ostacolano e cercando di smontarle attraverso il problem solving.
Praticare il controllo degli sprechi significa, invece, guardare all’interno dell’organizzazione, ad esempio alla produzione (intervenendo su quella non utile dal punto di vista della generazione di valore), alla movimentazione delle merci (eliminando quella non necessaria) e, ancora, ai prodotti in giacenza (riducendoli al minimo), all’erogazione dei servizi (concentrandosi solo su quelli maggiormente apprezzati dal cliente) e a determinate competenze del personale, per far sì che non si verifichino ridondanze neanche sotto il profilo delle conoscenze e del capitale umano.
Lean thinking e PMI: accoppiata vincente
Se è vero che le origini del lean thinking si fanno risalire all’imprenditore statunitense Henry Ford, che ne fece le basi del primo modello di lean manufacturing (applicato alla gestione dell’omonima casa automobilistica), successivamente perfezionato dalla multinazionale Toyota, il più volte citato CEO del Lean Enterprise Institute di Boston, John Shook, è attento nel ribadire come il pensiero agile sia aperto a qualsiasi impresa umana, a qualsiasi tipo di contesto lavorativo. Ed è proprio la sua flessibilità, il suo sapersi calare in realtà differenti, a renderlo sempre attuale, nonostante il passare degli anni.
Non esiste un’azienda che sia più adatta di altre a fare proprio il lean thinking. Ed è errato pensare si tratti di una pratica a vantaggio solo di grandi aziende manifatturiere e di multinazionali.
“Fare di più con meno”, lavorare insieme a uno scopo condiviso, concentrarsi solo su progetti che portano risultati tangibili e abbandonare quelle attività poco utili, rappresentano principi che, qualora seguiti in modo sistematico, consentono anche alle PMI di essere competitive sui rispettivi mercati.
Qualcuno di questi principi è addirittura parte del DNA delle piccole e medie imprese, come, ad esempio, la lotta contro qualsiasi forma di spreco, intesa come rifiuto del superfluo nella produzione di valore, per concentrarsi, invece, su una visione pragmatica della gestione aziendale.
Anche l’attenzione alla definizione puntuale degli obiettivi, la tenacia nel conseguirli e la coesione del team sono tratti distintivi dell’operatività delle PMI, nonché contenuti del pensiero lean, così come la cultura del miglioramento continuo, non solo riferito alla produzione e alla generazione di valore, bensì anche ai processi, alle relazioni e alla gestione del gruppo di lavoro.
Tra i fattori che rendono il lean thinking uno “strumento” strategico per le PMI che decidono di applicarne i criteri, ricordiamo, in particolare, l’ottimizzazione di procedure e sistemi, affinché l’azienda possa snellire i propri flussi di lavoro, riducendo tempistiche e razionalizzando l’impiego della forza lavoro.
Strategica è anche la pianificazione coerente delle attività, in molti casi un punto debole delle piccole e medie imprese, la cui organizzazione interna spesso risente di sovrapposizioni e della mancanza di direzioni precise.
Un altro punto debole delle PMI riguarda, infine, la mancanza – talora – di una chiara definizione di ruoli e di mansioni all’interno, da cui ha origine l’assenza di responsabilità dai contorni netti, per cui non è più distinguibile l’azione dal suo autore.
Il metodo ispirato al lean thinking, in questo caso, è utile a coinvolgere in modo più incisivo tutti i componenti del team (nessuno escluso), stimolando, in ognuno, lo sviluppo delle proprie specifiche abilità, la consapevolezza del proprio ruolo e la motivazione a farsi carico delle responsabilità che da questi derivano.