La ricerca lavora sulle nanotecnologie e sul loro impiego nella nanomedicina, sia per la diagnostica sia come alleati per terapie mediche mirate.
TAKEAWAY
- Le nanoparticelle al carbonio trovano impiego nella nanomedicina, in particolare per l’imaging biomedico.
- Tra i filoni di ricerca, uno è focalizzato sui carbon nanodots e sul loro impiego nel trasporto mirato di farmaci, uno degli sviluppi più promettenti nella terapia oncologica.
- Per l’Italia, particolarmente attiva è l’Università degli Studi di Trieste sia per queste finalità che nell’impiego delle nanoparticelle per ripristinare funzionalità motorie.
Le potenzialità delle nanoparticelle per la nanomedicina si stanno delineando grazie a diversi filoni di ricerca che mettono al centro i nanotubi di carbonio e altre più recenti nanotecnologie. Uno dei più promettenti a livello internazionale vede l’Italia, in particolare l’Università degli Studi di Trieste, in collaborazione con il centro di ricerca Elettra Sincrotrone Trieste e lo spagnolo CIC biomaGUNE, lavorare sulle potenzialità dei carbon nanodots, che possono essere impiegati sia nella medicina di precisione sia nella diagnostica per immagini.
L’imaging biomedico è il campo applicativo più promettente. Queste particolari nanoparticelle, debitamente preparate, possono essere utilizzate per sviluppare agenti di contrasto per la risonanza magnetica.
Inoltre possono veicolare i farmaci in modo mirato. “In linea di principio, sarebbe possibile sintetizzare particolari nanoparticelle di carbonio capaci di individuare cellule tumorali e ancorarsi selettivamente solo a esse, senza produrre danni a cellule sane”, specifica lo stesso ateneo triestino.
Anche i nanotubi di carbonio entrano in gioco in medicina. La stessa Università triestina e la SISSA – Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati stanno lavorando sulla possibilità di impiego di queste nanostrutture per ripristinare le funzionalità motorie e intervenire così in caso di lesioni del midollo spinale.
Nanoparticelle per la nanomedicina: focus su nanotubi di carbonio e carbon nanodots
Prima di parlare del ruolo delle nanoparticelle per la nanomedicina è bene chiarire caratteristiche e differenze. Nanotubi di carbonio e nanodots sono entrambi nanoparticelle, ma con differenze marcate.
“Geometricamente parlando, i nanotubi sono lineari mentre i nanodots sono punti; i primi sono analoghi a fibre mentre i secondi sono nanoparticelle unidimensionali di forma pseudo sferica. I nanotubi di carbonio si studiano da trent’anni, i secondi dalla metà degli anni Duemila”, afferma Maurizio Prato, professore ordinario di chimica organica all’Università di Trieste, attivo in E-DOTS e nei progetti di ricerca più avanzati al cui centro ci sono le due particolari nanotecnologie.
La loro stessa natura è profondamente differente: i nanotubi di carbonio sono composti esclusivamente di carbonio, generati attraverso vari processi industriali quali CVD (chemical vapor deposition) e arc discharge deposition (tramite arco elettrico).
I carbon nanodots sono composti da carbonio, ma anche da idrogeno, azoto e ossigeno, prodotti per combustione controllata (a circa 200 °C) utilizzando qualsiasi composto di natura organica, anche di scarto come per esempio bucce di banana.
L’aspetto interessante di queste nanoparticelle per la nanomedicina è che si preparano molto facilmente da materie prime low cost o a costo zero, con un procedimento replicabile su larga scala. “Hanno una caratteristica che li rende interessanti: la luminescenza. Se irradiati con una luce appropriata emettono radiazioni luminose, essendo così facilmente rilevabili all’interno dell’organismo”.
È possibile impiegarli, mediante specifico drogaggio con atomi di gadolinio, metallo delle terre rare oggi indispensabile come mezzo di contrasto per la risonanza magnetica per Immagine. Tuttavia, il gadolinio è tossico e c’è il rischio che a volte riesca a passare la barriera ematoencefalica arrivando al cervello.
“L’idea su cui si lavora è intrappolare il gadolinio in carbon nanodots in modo che si possa evitare che si disperda al di fuori del punto in cui viene veicolato. Utilizzando questa tecnica, è pensabile anche di ridurre il quantitativo di gadolinio mediante l’impiego di ‘agenti direzionali’ (targeting agents) che dirigono questo materiale verso uno specifico organo”
specifica il professor Prato.
Nanodots per la medicina di precisione
Sempre a proposito del ruolo delle nanoparticelle per la nanomedicina, va segnalata un’altra funzione dei carbon nanodots: legare gruppi “targeting” alle nanoparticelle di carbonio contenenti gadolinio, che verrebbero quindi riconosciute dai recettori delle cellule tumorali e che permettono di tracciare con precisione il tumore e, volendo, inserire nella molecola anche il farmaco ad hoc per la cura, svolgere così il trasporto mirato di farmaci. In questo modo è possibile fare medicina di precisione, è uno degli sviluppi più promettenti nella terapia oncologica.
Per spingersi così in là occorre prima capire natura e caratteristiche ed è per questo che è stato avviato da qualche mese E-DOTS. Il progetto, quinquennale, ha da poco ricevuto un ERC (European Research Council) Grant di 2,5 milioni di euro.
“Il primo obiettivo della ricerca è volto a comprendere come si formano i carbon nanodots. Successivamente, sarà possibile modulare le loro proprietà a seconda del processo di trasformazione. Il lavoro da poco uscito su Nature Communications è collegato proprio a questo processo, ovvero come si formano i nanodots a partire da piccole molecole”.
Queste piccole molecole, una volta trattate ad alta temperatura, si uniscono per formare aggregati e poi nuclei centrali per poi arrivare ai nanodots veri e propri, caratterizzati da un nucleo centrale più duro e da una struttura periferica più morbida e flessibile.
Nanoparticelle per la nanomedicina: impatti e prospettive della ricerca
Lo studio dei carbon nanodots può permettere il salto di qualità dell’impiego delle nanoparticelle per la nanomedicina. Ma intanto va sottolineata una loro caratteristica basilare: per la loro realizzazione si possono usare materie prime di scarto, come appunto le bucce di banana, diventando interessante anche in una logica di economia circolare.
Anche i nanotubi di carbonio sono particolarmente utili in nanomedicina. È attivo un progetto, avviato da Università di Trieste e SISSA, che vede combinate nanotecnologia e neurobiologia per la progettazione di microsistemi ibridi che, una volta integrati funzionalmente nel tessuto nervoso, potrebbero aiutare nella guarigione del midollo spinale lesionato.
La ricerca in corso, presentata sulla rivista PNAS, si sta affinando con la finalità di creare un metodo non invasivo e alternativo all’intervento chirurgico, per impiantare i nanotubi di carbonio nell’area interessata: “in prospettiva si lavora alla creazione di un gel che, iniettato sulla parte del midollo lesionato, vada a solidificarsi senza intervento chirurgo” conclude Prato.