Smettiamola di dare un’entità soggettiva personale all’intelligenza artificiale. Non ce l'ha!

La letteratura e la narrazione fantascientifica sono piene di intelligenze non-umane create per mano sapiens che insorgono e distruggono gli esseri creatori. Sebbene consapevole di essere molto lontano da quegli scenari, anche la narrazione informativa ha spesso scelto la paura per prospettare una intelligenza artificiale onnipotente, capace di insorgere e annichilire l’umanità. Al polo opposto, c’è anche una narrazione pervasa di fiducioso ottimismo, quella che attribuisce all’intelligenza artificiale un potere salvifico.

Entrambe le posizioni, in grado di polarizzare la dialettica comune, attribuiscono all’intelligenza artificiale una entità soggettiva personale… che non ha! Troppo spesso si affibbia a soluzioni tecnologiche (indubbiamente molto avanzate) che integrano tecniche di intelligenza artificiale una natura umana, innescando quella polarizzazione tra intelligenza artificiale salvifica e intelligenza artificiale annichilente che non ci consente di vedere e capire con occhio e spirito critico a che punto sono davvero la disciplina di studi, il campo della ricerca, lo sviluppo di soluzioni tecnologiche.

L’intelligenza umana e quella non-umana  

Attribuendo il concetto di intelligenza alle macchine artificiali, abbiamo stabilito che gli esseri umani non sono gli unici ad avere capacità decisionale e di azione autonoma, di realizzare fini complessi e raggiungere obiettivi, di acquisire e applicare conoscenze e competenze attraverso il ragionamento logico e la comprensione.

Ma l’intelligenza non-umana può davvero arrivare allo stato di super-intelligenza artificiale in grado di acquisire una consapevolezza di sé al punto da considerarla una sorta di “persona artificiale”?

Ad oggi, la risposta è no.

Tuttavia, non è con un semplice no che si risolvono alcune delle criticità maggiori che si stanno presentando oggi con l’evolvere della ricerca e la maturità tecnologica.

Oggi utilizziamo quotidianamente servizi digitali basati su tecnologie che utilizzano svariate tecniche di intelligenza artificiale (dal riconoscimento delle immagini ai sistemi di raccomandazione, dal riconoscimento e comprensione del linguaggio naturale alla visione artificiale…). Spesso inconsapevolmente, abbiamo accettato di delegare a sistemi artificiali compiti ed azioni in cambio di una semplificazione della vita quotidiana o di una esperienza più entusiasmante e appagante. Siamo felici quando i nostri desideri vengono soddisfatti e addirittura anticipati. Spesso altrettanto inconsapevolmente, accettiamo di cedere dati e “pezzetti della nostra identità” in cambio di questa nuova “libertà”, senza renderci conto degli impatti.

Eppure, di fronte alla narrativa del tipo “i sistemi artificiali ci rubano il lavoro” la paura si alimenta e si è tutti pronti alla condanna. Di contro, di fronte alla narrativa “l’intelligenza artificiale eliminerà il cancro” le speranze crescono e si invoca da più parti l’arrivo di questa entità soggettiva salvifica.

Dovremmo invece concentrarci – e sentirci a nostro agio – con il progresso tecnologico che possono assicurarci i sistemi di intelligenza non-umana, iniziando davvero a comprendere opportunità ed impatti, allontanandoci una volta per tutte dall’ossessione di rimuovere l’essere umano da tutto.

Verso la riconciliazione empatica

Riconciliarci con l’evoluzione tecnologica e l’avanzamento di soluzioni e sistemi di intelligenza non-umana significa, a mio avviso, provare ad unire i punti di forza delle diverse intelligenze (la nostra, umana, e quella dei sistemi artificiali).

L’intelligenza non-umana è potentissima quando si tratta di analizzare grandissime moli di dati, eseguire rapidamente e ripetutamente un compito. L’intelligenza umana è abilissima quando si tratta di comprensione del contesto e “senso” (percezioni, impressioni, stimoli).

L’intelligenza non-umana sa fornire risposte. L’intelligenza umana sa porre le domande.

E se anche la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto già la conosciamo (è 42!), c’è un enorme potenziale nel dare all’intelligenza non-umana quel “superpotere” ottimale, quello incentrato sull’umanità.

La domanda che dobbiamo iniziare a porci adesso è: cosa vogliamo, noi esseri umani, da un sistema di intelligenza non-umana?

Scritto da:

Nicoletta Boldrini

Futures & Foresight Director | Direttrice Responsabile Tech4Future Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin