Il progetto Argonaut, avviato dal laboratorio statunitense FermiLab di fisica delle particelle, intende realizzare un sistema robotico capace di operare immerso in argon liquido (-193 °C). Ecco da dove parte e le opportunità che apre.

TAKEAWAY

  • Creare un sistema robotico operativo a -193 °C è l’obiettivo del progetto Argonaut avviato dal laboratorio statunitense FermiLab.
  • Il robot dovrà fornire informazioni all’interno di un rivelatore di neutrini, immerso in argon liquido.
  • Questa ricerca apre a robot capaci di operare nello spazio profondo, caratterizzati da temperature estremamente rigide.

Realizzare robot per temperature estreme destinati ad ambienti particolarmente complessi come un rivelatore di neutrini ad argon liquido, mantenuto a -193 °C. Su questo sta lavorando il progetto Argonaut, che intende realizzare un sistema robotico operativo a queste temperature, le stesse che si toccano in alcune delle lune di Giove e di Saturno.

Su Argonaut è attivo il team del FermiLab, il laboratorio americano di fisica delle particelle e degli acceleratori. Lo gestisce il consorzio di ricerca Fermi Research Alliance, per conto del DOE – il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti.

Il robot è stato pensato per monitorare gli interni dei rivelatori di particelle ad argon liquido, come il ProtoDUNE al CERN, il più grande mai realizzato e che impiega telecamere interne fisse per rilevare problemi in presenza del gas liquido.

Robot per temperature estreme, a partire dall’argon

Prima di pensare di creare robot per temperature estreme, occorre partire dal progettare un sistema robotico in grado di operare in un ambiente totalmente pieno di argon liquido.

L’argon è un gas nobile che costituisce circa l’1% dell’atmosfera terrestre. Inodore e incolore, è particolarmente versatile ed è per questo che è impiegato in svariati settori industriali. Particolarmente importante per l’industria metallurgica, essendo usato come “schermo” nella saldatura ad arco e nel taglio, trova spazio anche nel comparto aeronautico, aerospaziale e automobilistico.

Inoltre, è un ingrediente prezioso per gli scienziati. Nella sua forma liquida, l’argon è usato in diversi esperimenti del FermiLab, tra cui MicroBooNE, ICARUS, SBND e DUNE (Deep Underground Neutrino) per studiare i neutrini, tra le particelle più abbondanti dell’Universo, il cui studio può fornire informazioni assai preziose in molti campi della fisica, dalla struttura della materia a quella stellare fino alla cosmologia.

L’argon liquido presenta molti vantaggi. È denso, il che aumenta la possibilità di interazione dei neutrini e, tra l’altro, anche relativamente economico: questo è un enorme vantaggio, dato che se ne devono usare quantitativi ingenti. Per esempio, nel caso di ProtoDUNE si parla di 800 tonnellate utilizzate per riempire l’ambiente.

Tuttavia, i rivelatori ad argon liquido presentano molte complessità. Per produrre dati di qualità, l’argon liquido deve essere mantenuto a temperature estreme e in purezza. Ciò significa che i rivelatori devono essere isolati dal mondo esterno per evitare che l’argon evapori o si contamini.

Con l’accesso limitato, diagnosticare o affrontare i problemi all’interno di un rivelatore può essere difficile. Alcuni rivelatori ad argon liquido hanno telecamere montate all’interno per scoprire eventuali criticità. Resta però la questione di realizzare una telecamera robotica in un ambiente notevolmente freddo.

Componenti elettronici a parte, quando si parla di robot per temperature estreme c’è anche da considerare – sottolinea il FermiLab – che tutti i materiali devono resistere a temperature estreme e tutte le parti in movimento devono farlo senza impiegare lubrificanti, che contaminerebbero il rivelatore.

Da qui parte la ricerca del team coordinato da Bill Pellico, ingegnere e capo dipartimento Proton Source, che comprende anche lo scienziato italiano Flavio Cavanna, docente di Fisica presso l’Università degli Studi dell’Aquila. La prima fase dell’attività sarà focalizzata sulla valutazione dei componenti e degli aspetti di base del design della telecamera robotica, per dimostrare che è possibile muovere, ma anche comunicare con un robot in un ambiente criogenico.

L’idea è alimentare Argonaut attraverso un cavo a fibre ottiche in modo da non interferire con l’elettronica del rivelatore. Il robot, delle dimensioni di circa 10 cm, potrà contare solo su 5-10 watt di potenza per muoversi e comunicare con il mondo esterno.

Il motore che muoverà Argonaut lungo un binario sul lato del rivelatore sarà situato all’esterno dell’ambiente, ma la telecamera, immersa nel liquido freddo, si muoverà molto lentamente in modo da non creare problemi all’argon.

Robot per temperature estreme: impatti e benefici

In futuro, è possibile prevedere che la soluzione robotica possa contare su sonde di temperatura o su braccia estensibili, con strumenti per piccole riparazioni elettroniche. Questa evoluzione apre alla creazione di robot per temperature estreme, ma anche a diverse prospettive per altri contesti.

Nel complesso, la ricerca condotta dal FermiLab, in prospettiva, avrà benefici anche in altri ambiti. Le soluzioni tecnologiche di Argonaut, infatti, potrebbero essere applicabili ad altri ambienti criogenici, tra cui quelli che riguardano l’esplorazione dello spazio. Il progetto ha già suscitato l’interesse della NASA. Come afferma lo stesso Pellico:

I robot per lo spazio profondo andranno in luoghi remoti, dove hanno pochissima potenza – dove la durata deve essere di oltre 20 anni, proprio come nei nostri rivelatori – e devono operare a temperature criogeniche

Nello spazio si possono toccare temperature estremamente rigide: per esempio, sulla superficie di Marte si raggiungono mediamente i -63 °C, ma con punte nelle regioni polari in inverno di -133 °C; su Saturno si arriva a -191 °C; su Europa, una delle lune di Giove si toccano i -223 °C.

Per questo, l’esperienza del team Argonaut può giocare un ruolo importante, potendo combinare la profonda conoscenza della robotica con la conoscenza dei sistemi criogenici.

Scritto da:

Andrea Ballocchi

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