La robotica è da sempre una delle tecnologie più affascinanti in assoluto, per ragioni che vanno ben al di là dei presupposti puramente funzionali. L’obiettivo di ricreare artificialmente l’uomo si fonda su basi in primo luogo umanistiche, ancor prima che tecnologiche, e lo dimostrano i continui dibattiti legati alla potenziale minaccia che l’implementazione massiva della robotica potrebbe comportare per l’uomo stesso, a partire dalla potenziale riduzione dell’occupazione per tutte quelle mansioni che gli automi sono in grado di svolgere in maniera più efficiente.

Ancor prima di addentrarci nel rapporto tra etica e robotica, che anima ogni giorno moltissimi studi e ricerche, parlare di robot evoca immediatamente emozioni molto contrastanti nell’immaginario collettivo, che spaziano dalla pura meraviglia al timore nei confronti di qualcosa di incredibilmente potente, di cui non si conoscono oltretutto i limiti. Questo incredibile range percettivo deriva soprattutto dal fatto che la robotica vanta una serie di applicazioni reali e potenziali incredibilmente vasta.

Parlare di robotica comporta infatti una considerazione molto ampia della sua applicazione tecnologica, che spazia dal più semplice assistente domestico ad enormi impianti industriali. Vediamo pertanto quali sono i principi di base della robotica, del suo funzionamento e delle sue principali applicazioni, con un occhio costantemente rivolto alla prospettiva data dal potenziale ancora in gran parte inesplorato delle intelligenze artificiali.

Cos’è la robotica, definizioni e origini

Il nostro viaggio alla scoperta della robotica consiste nel delineare un quadro di definizione, oltre a selezionare alcuni tra i punti cardinali del suo percorso storico, prima di enunciare con Isaac Asimov le tre leggi della robotica. 

Cosa vuol dire robotica

Cercare una definizione univoca per la robotica può aver senso a patto di rinunciare a pretese dogmatiche, prendendo piuttosto atto dell’incredibile varietà di argomenti connotabile ad una tecnologia il cui status di emergente sta diventando in qualche modo perenne, se intesa nella sua totalità. In tal senso, la definizione di Wikipedia serve esattamente il suo scopo:

La robotica è la disciplina che studia e sviluppa metodi che permettano a un robot di eseguire dei compiti specifici, riproducendo in modo automatico il lavoro umano. Anche se la robotica è una branca dell’ingegneria, più precisamente della meccatronica, in essa confluiscono approcci di molte discipline sia di natura umanistica, come la linguistica, sia scientifica: biologia, fisiologia, psicologia, elettronica, fisica, informatica, matematica e meccanica

Il fatto che si renda necessaria una tale multidisciplinarità esprime anche la complessità evolutiva della robotica intesa quale disciplina che mira a simulare il lavoro umano, ed in termini più generali il suo comportamento. Il quadro di riferimento è per molti versi simile a quello dell’intelligenza artificiale, non a caso l’anima di molte tipologie di robot, cui vanno aggiunti tutti gli aspetti meccanici che contribuiscono a generare la fisicità dell’automa.

Il risultato degli sforzi della robotica sono dunque i robot, che secondo Wikipedia possiamo definire come “[…] una qualsiasi macchina (più o meno antropomorfa) in grado di svolgere più o meno indipendentemente un lavoro al posto dell’uomo”.

Storia della robotica, le origini

Il termine robot ha da poco compiuto il primo secolo di vita, avendo esordito nel 1920 nei testi del dramma letterario R.U.R. (I robot universali di Rossum), scritti dal drammaturgo ceco Karel Capek, in collaborazione con il fratello Josef, pittore cubista. L’allora neologismo derivava dal termine ceco robota, cui risponde il significato di lavoro pesante o lavoro forzato. Particolamente significativo, in tal senso, è il seguente passo di R.U.R. :

Quale operaio è migliore dal punto di vista pratico? È quello che costa meno. Quello che ha meno bisogni. Il giovane Rossum inventò l’operaio con il minor numero di bisogni. Dovette semplificarlo. Eliminò tutto quello che non serviva direttamente al lavoro. Insomma, eliminò l’uomo e fabbricò il Robot

La nascita del termine robot viene infatti riferita alla creazione di Capek per quanto riguarda l’associazione al significato con cui intendiamo il robot nei giorni nostri, ma il termine in sé era già stato utilizzato in altre circostanze nei secoli che hanno preceduto la pubblicazione di R.U.R. pur con altre declinazioni.

Nell’europa centro-orientale, come le regioni corrispondenti all’attuale Repubblica Ceca, il termine era appunto in uso già in precedenza e se ne ritrovano tracce in diverse lingue slave (robota e robotnik in polacco, rabota in russo, ecc.). Nelle opere letterarie anglosassoni dell’Ottocento ritroviamo robot in varie circostanze, tra cui Il caso dell’uomo deforme, di Sir Arthur Conan Doyle (1893). Nel racconto Storia filosofica dei secoli futuri (1860) Ippolito Nievo ha invece citato espressamente l’invenzione degli “omuncoli” quale l’invenzione più notevole della storia dell’umanità. Inutile sottolineare come gli omuncoli, altrimenti definiti “esseri ausiliari”, fossero dei robot antropomorfi deputati alle funzioni di servizio.

Il primato etimologico di Capek non rappresenta pertanto il nocciolo della questione, in quanto il concetto e la manifestazione dei robot, pur con termini differenti, hanno radici ben più antiche. Già Aristotele introdusse gli automi con quali organismi artificiali da utilizzare per svolgere i compiti pesanti, con una finalità peraltro molto nobile, ossia affrancare l’uomo dalla schiavitù.

Anche se è a noi arrivata soltanto la documentazione testuale, è facile presumere come l’inventore Erone d’Alessandria (primo secolo A.C) avesse almeno progettato dei robot, tra cui un meccanismo capace di parlare ed un braccio meccanico. Nei testi di Erone ritroviamo nuovamente il termine automa.

Nel medioevo abbiamo diverse manifestazioni di automi, soprattutto nelle culture orientali (arabe e cinesi), tra cui l’orologio meccanico di Su Song e i musicisti robotici di Al-Jazari, mentre per avere una manifestazione compiuta del primo robot umanoide dobbiamo attendere l’Automa Cavaliere di Leonardo da Vinci, documentato nel Codice Atlantico (1493-1495) e in altri appunti riscoperti soltanto nel corso del Novecento.

Non è ad oggi noto sapere se Leonardo abbia o meno tentato di fabbricare il suo cavaliere meccanico, come avvenuto nel caso di molte celebri macchine, ma la documentazione progettuale riporta una figura antropomorfa in grado di alzarsi in piedi, muovere la testa, la mascella e le braccia. È molto probabile che l’esito degli studi sull’automa derivasse dalle conoscenze maturate durante le ricerche anatomiche effettuate per l’Uomo Vitruviano.

Per assistere alle prime manifestazioni concrete degli automi è dunque necessario fare un ulteriore salto nel tempo, quando nel 1738 Jacques de Vauncason fabbricò un androide capace di suonare un flauto, mentre nel 1774 l’inventore dell’orologio da polso, Pierre Jacquet-Droz, fabbricò The Scribe, un robot antropomorfo ispirato ad un bambino di tre anni che seppe sorprendere per il fatto di saper seguire con lo sguardo un testo durante la sua scrittura.

Nel corso del Novecento le applicazioni robotiche si sono fatte via via sempre più frequenti, diventando i grandi protagonisti delle esposizioni universali, fino ad arrivare ai giorni nostri, attraverso varie fasi evolutive fondamentali. Curioso è il caso di Eric, inventato da Williams Richards e Alan Reffell per rimpiazzare il forfait del duca di York, Giorgio VI, all’inaugurazione di una mostra presso la Society of Model Engineers di Londra. Era il 1928 quando Eric accolse la folla con un discorso di benvenuto di circa quattro minuti.

Fondamentale è anche il contributo di Unimate, il robot programmabile con cui George Devol, nel 1954 ha di fatto inaugurato la stagione della robotica industriale modernamente intesa: la sua prima implementazione è avvenuta nelle linee di montaggio di General Motors.

Negli ultimi anni sono arrivati i robot che tuttora conosciamo in ambito commerciale e domestico, come i celebri aspirapolveri della Roomba, piuttosto che le applicazioni aerospaziali, come i rover della Nasa protagonisti nell’esplorazione di Marte. Particolarmente noto anche il braccio robotico Canadarm2, ancora oggi operativo nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS), mentre più di recente hanno fatto la loro comparsa sulla scena i sorprendenti robot della Boston Dynamics, derivati da ricerche compiute in ambito militare. Gli esempi di robot, in moltissimi settori applicativi, si contano ormai a migliaia.

Notevole l’influenza della robotica anche nel cinema e nella letteratura, da cui il grande schermo ha spesso tratto le sceneggiature per titoli indimenticabili. Lo stesso Frankenstein (1823) di Mary Shelley viene da molti identificata quale prima opera di fantascienza, inaugurando la fortunata stagione degli scienziati pazzi alle prese con creazioni antropomorfe dotate di vita propria, un vero cliché di un genere da sempre capace di appassionare e stimolare la fantasia di milioni di lettori.

Nel Novecento le opere di autori come Philip K. Dick o Isaac Asimov, cui tra poche righe dedicheremo un approfondimento specifico, non hanno condizionato soltanto la versione artistica della robotica, ma sono stati capaci di ispirare anche diversi casi di produzione tecnologica. 

Nel cinema, come nella letteratura, contiamo oggi migliaia di opere in cui i robot assumono un ruolo più o meno centrale. È doveroso citare almeno quattro pietre miliari: Metropolis (di Fritz Lang, 1927), Guerre Stellari (di George Lucas, 1977), Blade Runner (di Ridley Scott, 1982) e Terminator (di James Cameron, 1984), titoli capaci di ottenere uno straordinario successo al botteghino, oltre ad esercitare una profonda influenza sia nell’immaginario collettivo che nelle produzioni artistiche successivamente ispirate.

Anche il mondo dei videogiochi vanta ormai una quantità innumerevole di titoli che coinvolgono in varia misura i robot, tra cui merita una particolare citazione Detroit: Become Human (2018), sviluppato da Quantic Dream e pubblicato da Sony sia per PS4 che per PC. Capace di ottenere un notevole successo di critica e di pubblico, Detroit presenta un’avventura a bivii narrativi, in cui il giocatore è chiamato a seguire le storie di tre androidi, venduti dalla multinazionale Cyberlife quali robot di servizio, ma capaci di sviluppare, piuttosto che a convincersi di possedere una coscienza autonoma, quella che li porterà, secondo le intenzioni del giocatore, a dare luogo a vicende dal forte impatto socio-culturale.

Il tema, di grande attualità dal punto di vista etico e tecnologico, costituisce una costante del dibattito legato alla sostenibilità di una disciplina come la robotica e all’enorme complessità che si lega alla sua regolamentazione.

Dalle storie di fantascienza: Isaac Asimov e le tre leggi della robotica

Nel percorso della robotica, un capitolo a parte va senza dubbio dedicato alla figura di Isaac Asimov (1920-1992), scienziato, autore e divulgatore nato in Russia ma di fatto cresciuto negli Stati Uniti, dove i suoi genitori emigrarono quando aveva soltanto tre anni. Ad Asimov si deve innanzitutto il contributo delle tre leggi della robotica, utili a governare il suo robot positronico:

  1. Un robot non può recare danno agli esseri umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno
  2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, tranne nel caso che tali ordini contrastino con la Prima Legge
  3. Un robot deve salvaguardare la propria esistenza, purché ciò non contrasti con la Prima e la Seconda Legge

Al di là della grande fortuna di pubblico e critica legato alla sua produzione letteraria, con le tre leggi, Asimov segna un punto di svolta nell’immaginario collettivo. Se in precedenza i robot venivano prevalentemente relegati a ruoli di minaccia o antagonismo, Asimov introduce nel genere di fantascienza una visione positiva, dove i robot positronici sono programmati per essere subordinati ed utili all’uomo. Nate nel contesto della fantascienza, le tre leggi sono diventate una linea guida generale per la robotica in senso più ampio.

Inizialmente note come le tre regole (in Bugiardo!, 1941), le tre leggi della robotica hanno fatto la loro prima comparsa scritta in Circolo Vizioso (Runaround), un racconto pubblicato per la prima volta nel 1942 sulla rivista Astounding Science Fiction e successivamente ripreso nell’antologia Io, Robot, da cui è stato successivamente tratto l’omonimo film di Alex Proyas (2004), che vede quale protagonista Will Smith.

La vicenda di Circolo Vizioso narra di un robot, Speedy, programmato per recuperare del selenio su Mercurio. Tutto bene, fino a quando alcune esalazioni tossiche ne mandano il loop il sistema, a causa di un contrasto tra la seconda (obbedire agli ordini) e la terza legge (salvaguardare la propria esistenza). Uno dei protagonisti umani, Powell, risolve il problema, ma rimane esposto troppo a lungo in un ambiente molto caldo, mettendo a rischio la propria incolumità. Tornato perfettamente operativo, è proprio Speedy a salvarlo, in virtù della prima legge (non mancato intervento) avviando il racconto verso il lieto fine.

Soltanto nel 1985, ad oltre quarant’anni dalla prima formulazione, Asimov aggiunse una quarta legge, che si configura a capo della gerarchia, dunque come una Legge Zero, esprimendo una condizione più generalizzata della prima legge:

  • Un robot non può recare danno all’Umanità, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, l’Umanità riceva un danno

Il robot cui fa riferimento Asimov è deterministico, programmato per svolgere certe operazioni ed obbedire senza eccezioni, se non quelle utili a confermare la regola. Si tratta di un impianto ormai superato quando si parla, come oggi, di un robot che diventa autoprogrammabile e capace di decidere in autonomia come comportarsi in relazione al contesto, ma l’influenza che ancora oggi gli enunciati di Asimov sono in grado di generare è tutt’altro che trascurabile, a prescindere dalle pretese di carattere scientifico e tecnologico.

A livello di dibattito sull’argomento, su RoboHub, uno dei principali portali di discussione dedicati alla robotica, si è di recente parlato di un possibile aggiornamento delle tre leggi, con una reinterpretazione che tenga conto di tutti gli aspetti che nel 1942 la visione di Asimov non poteva ovviamente contemplare. In tale circostanza, alcuni esperti hanno fatto notare come le contraddizioni emerse in questi ottant’anni, più che da una riscrittura del testo, potrebbero essere risolte direttamente da una ulteriore evoluzione della tecnologia della robotica.

robotica cosa è definizione
Il termine “robot” ha da poco compiuto il primo secolo di vita, avendo esordito nel 1920 nei testi del dramma letterario R.U.R. (I robot universali di Rossum) del drammaturgo ceco Karel Capek. L’allora neologismo derivava dal termine ceco “robota”, cui risponde il significato di “lavoro pesante o lavoro forzato”.

Robot, come funzionano

I robot attuali si dividono essenzialmente in due tipologie: i robot non autonomi e i robot autonomi, con tutte le relative sfumature nel mezzo. Vediamo in cosa differiscono, prima di scoprire quante e quali sono le generazioni evolutive convenzionalmente intese, esaminando infine le strutture che compongono e regolano il funzionamento dei robot stessi.

  • Robot non autonomi: si tratta di macchine gestite da un software che le istruisce in ogni aspetto riguardante le operazioni da effettuare. Possono essere in alternativa gestiti direttamente dall’uomo mediante sistemi di controllo remoto. Nel primo caso ritroviamo i robot industriali, attivi sulle linee di montaggio, mentre nel secondo caso un esempio classico è costituito dai droni controllabili a distanza, piuttosto che dai robot artificieri impegnati per ispezionare luoghi a rischio e disinnescare eventuali minacce potenzialmente letali per l’uomo.
  • Robot autonomi: si tratta di macchine capaci di percepire, mediante appositi sensori, il contesto ambientale e di prendere decisioni funzionali alla situazione in cui si trovano ad operare. Questo è possibile grazie a vari sistemi di apprendimento, tra cui quelli basati sul machine learning e sulle tecniche di intelligenza artificiale. A differenza dei robot non autonomi, il software di un robot autonomo non agisce in maniera deterministica, ma consente alla macchina di autoapprendere grazie ai dati ambientali rilevati dai suoi sensori, in modo da regolare il suo comportamento in maniera sempre più affinata.

Sulla base di un percorso evolutivo, ad oggi si riconoscono convenzionalmente tre generazioni di robot:

  • robot di prima generazione: macchine non autonome, capaci di svolgere soltanto sequenze di operazioni prestabilite, a prescindere dall’azione di controllo dell’uomo
  • robot di seconda generazione: macchine autonome, capaci di rilevare i dati dall’ambiente e prendere decisioni grazie ai sistemi di apprendimento automatico. Si considera autonomo anche un robot che, pur chiamato a svolgere operazioni prestabilite, è capace di trovare delle soluzioni per portare a termine il proprio incarico qualora emergessero delle situazioni impreviste, tali da mutare le condizioni dello scenario di riferimento
  • robot di terza generazione: macchine autonome dotate di sistemi di intelligenza artificiale che consentono di generare in autonomia algoritmi di apprendimento automatico e di verificare, appunto, in maniera autonoma la loro coerenza rispetto alle operazioni da eseguire in un dato contesto ambientale. Nelle configurazioni più avanzate, i robot autonomi possono infatti agire per raggiungere determinati obiettivi, a prescindere dalle operazioni necessarie per ottenere i risultati previsti

Le strutture e le caratteristiche dei robot

Il livello di autonomia e la generazione di appartenenza costituiscono informazioni utili per identificare una tipologia di robot, ma non per descriverne il funzionamento e, di conseguenza, la relativa utilità nello svolgere determinati scopi.

I robot sono infatti convenzionalmente costituiti da quattro unità funzionali, o strutture, che lavorando in maniera sinergica sono in grado di garantire la corretta operatività di sistemi in grado di raggiungere livelli di complessità molto elevate. Le unità funzionali dei robot sono:

  • struttura meccanica: comprende gli apparati che consentono al robot di compiere operazioni da una postazione fissa, piuttosto che spostandosi nello spazio. È il caso delle sequenze di bracci e nodi che costituiscono il corpo del robot. Uno dei casi più semplici è caratterizzato dal braccio robotico, che ha una base fissa da cui si articolano gli elementi snodabili, in corrispondenza dei quali è collocato uno strumento terminale (end effector) utile a svolgere una determinata operazione
  • struttura sensoriale: comprende un sistema di sensori capace di rilevati dati dal contesto ambientale per trasmetterli ad una struttura di governo dotata di unità computazionali. Esistono molte tipologie di sensori, tra cui i sensori propriocettivi, deputati alla percezione dello stato della propria struttura meccanica, piuttosto che i sensori esterocettivi, che si occupano di percepire l’ambiente esterno circostante
  • struttura di controllo: comprende un sistema di attuatori che attivano il robot affinché le operazioni previste. La struttura di controllo è dunque composta dai componenti capaci di connettere la percezione con l’azione, come i motori e i sistemi pneumatici, oltre agli algoritmi di controllo che si occupano di pilotare gli attuatori stessi
  • struttura di governo: nella sua configurazione minima comprende i sistemi di memorizzazione e computazione dei dati, utili a programmare, calcolare e verificare le attività del robot. La struttura di governo coincide solitamente con la dotazione informatica, composta dall’hardware e dai software necessari al funzionamento della macchina (sistema operativo, driver, ambienti di sviluppo e software applicativi)

I gradi di libertà dei robot

Tra le proprietà del sistema meccanico ritroviamo i gradi di libertà, che esprimono il livello di complessità tecnologica di un robot per quanto concerne i suoi movimenti. Si tratta di un argomento solitamente associato alla cinematica, per il fatto che un robot è definito in fisica come una catena cinematica aperta di corpi rigidi connessi da giunti, che a loro volta possono essere di natura prismatica, quando consentono la traslazione, piuttosto che rotoidali.

Nella loro accezione generica il numero dei gradi di libertà corrisponde al numero di variabili necessarie per determinare la posizione di un punto nello spazio. Nel sistema di coordinate cartesiane la posizione è definita da tre variabili (x, y, z), che diventano sei nel caso in cui considerassimo anche le rotazioni intorno agli assi, apprezzabili nel caso di entità tridimensionali.

Nel caso dei manipolatori semplici, i gradi di libertà possono essere limitati a sei, mentre salgono notevolmente nel caso dei robot antropomorfi, il cui aspetto, pur stilizzato, è dichiaratamente ispirato a quello dell’uomo.

Il computo dei gradi di libertà di un robot considera infatti la somma dei gradi di libertà di ogni suo componente. Nel caso di un manipolatore umanoide è quindi facile immaginare come sia possibile ottenere valori decisamente elevati, se consideriamo che una mano robotica, spesso l’elemento tecnologico più complesso da ingegnerizzare, può superare da sola i 10 gradi di libertà, dal momento che ogni dito è composto da più bracci snodati.

robot di terza generazione
I robot di terza generazione sono macchine autonome dotate di sistemi di intelligenza artificiale che consentono loro di generare in autonomia algoritmi di apprendimento automatico e di verificare, appunto, in maniera autonoma la loro coerenza rispetto alle operazioni da eseguire in un dato contesto ambientale.

I vantaggi delle applicazioni della robotica

Sulla base di vari percorsi di ricerca e sviluppo, nel corso degli anni la robotica si è diffusa in ambiti molto differenti tra loro, trovando percorsi di specializzazione sempre più verticali, al punto da meritare narrazioni specifiche.

La robotica si configura attualmente quale un denominatore comune tecnologico che vede i più importanti produttori attivi in più settori. Le differenze sono spesso invisibili. Sulla base di un hardware simile, se non identico, oggi possiamo ritrovare un braccio robotico sia in ambito industriale che a servire cocktail in un bar di tendenza.

A fare la differenza è molto spesso la componente software, che determina il modo e l’autonomia con cui il robot risolverà l’esigenza di ogni applicazione. Lo stesso braccio robotico, sulla base delle differenti istruzioni ricevute, può infatti rivelarsi funzionale in tantissimi contesti.

Prima della consueta rassegna applicativa, in programma tra alcuni paragrafi, vediamo come la robotica ha influenzato tre mercati di riferimento come la sanità, l’industria manifatturiera e le applicazioni domestiche.

I robot in campo medico

L’ambito sanitario è caratterizzato da tantissime attività che possono essere efficientate dall’automazione. Basterebbe questa considerazione a farne un campo d’azione privilegiato per la robotica. Le sue applicazioni sono infatti in continua crescita, al punto che la robotica medica sta iniziando a fare storia a sé.

Si spazia dalla robotica chirurgica, in grado di assistere i medici nelle procedure che richiedono una precisione molto elevata, fino alla robotica di servizio, utile ad igienizzare ambienti ed apparecchiature in situazioni che potrebbero mettere a rischio l’operatore umano.

Tra i vantaggi della robotica nell’assistenza sanitaria ritroviamo almeno tre filoni fondamentali:

  • interventi chirurgici precisi e poco invasivi: sotto il costante monitoraggio del medico, il robot può utilizzare le proprie tecnologie per operare in maniera estremamente precisa, rilevando oltretutto in tempo reale quelle situazioni che molto probabilmente sfuggirebbero all’occhio umano
  • ambienti di lavoro sicuri: sostanzialmente invulnerabili ai patogeni organici, i robot possono operare in totale sicurezza anche in ambienti dove il rischio infettivo si manifesta particolarmente elevato. L’utilizzo del robot in prima linea, oltre a ridurre i rischi per il personale sanitario, consente a quest’ultimo di dedicarsi con maggior attenzione ad attività ad elevata rilevanza strategica
  • incremento dell’efficienza generale: la capacità del robot di sostituire l’uomo può essere letta in chiave positiva se si considera il costante sottodimensionamento di organico cui la sanità è soggetta, soprattutto per quando riguarda infermieri e Operatori Socio Sanitari. I robot di servizio possono rendere molto più efficienti vari processi in ambito ospedaliero, come l’approvvigionamento delle forniture, la predisposizione delle terapie giornaliere, piuttosto che il supporto all’attività ambulatoriale o le attività di supporto psicologico per i pazienti

Industria 4.0 e robotica

Sin dai tempi della prima rivoluzione industriale, la ricerca ingegneristica è stata impegnata per garantire una progressiva automazione dei processi produttivi, utile a rendere sempre più efficienti le operazioni sulla catena di montaggio. La robotica per l’automazione è un concetto ormai profondamente radicato nella manifattura, dove è presente da molti decenni.

La sfida attuale mira ad un ulteriore livello di evoluzione, all’insegna del paradigma dell’industria 4.0, che vede la robotica quale una delle nove tecnologie abilitanti della fabbrica intelligente, interconnessa, capace di prendere in autonomia quelle decisioni contestuali utili ad ottimizzare l’intera filiera produttiva, per renderla sempre più sicura e sostenibile dal punto di vista economico, energetico ed ambientale.

La robotica industriale da un lato consente sia di sostituire l’uomo nelle operazioni pesanti e ripetitive sulla catena di montaggio, oltre ad assisterlo in maniera collaborativa nei processi che richiedono competenze specialistiche, come quelle legate alla manutenzione degli impianti.

Per comprendere al meglio il ruolo del robot in fabbrica risulta utile la definizione del RIA (Robot Institute of America), diventata nel tempo un vero e proprio punto di riferimento, quando sostiene che: “un robot è uno strumento multi-funzione riprogrammabile, realizzato con il preciso scopo di spostare, aggiungere, rimuovere oggetti come materiali, parti ed attrezzi attraverso movimenti che vengono programmati anteriormente”.

Se questa visione esprime l’azione di un robot non autonomo, attualmente il modello più diffuso nel contesto di fabbrica, va inoltre precisato come l’industria 4.0, grazie alla crescente integrazione con le tecniche di intelligenza artificiale, sta agevolando in maniera significativa anche la diffusione di sistemi di robotica autonoma.

I robot a casa nostra

Il robot domestico è il classico robot che hai in casa e non sai di avere, in quanto la sua diffusione ed il suo utilizzo è ormai talmente comune da identificarlo come un normale elettrodomestico. È il caso dei popolari robot per la pulizia dei pavimenti, come i celebri Roomba, capaci di gestire in autonomia le proprie operazioni, piuttosto che dei tagliaerba o dei robot da cucina.

La progressiva diffusione dei sistemi di domotica IoT (Internet of Things) consente inoltre di avere dei robot interconnessi, capaci di operare in sinergia per svolgere moltissime procedure, come la gestione dei sistemi di illuminazione, riscaldamento, trattamento dell’aria, antifurto, piuttosto che aperture e chiusure di porte ed avvolgibili. Tali sistemi possono agire in maniera autonoma o semi autonoma, tramite la nostra interazione con un assistente vocale e/o semplicissime app mobile.

I robot domestici abitano ormai da tempo intorno a noi. In attesa di avere una androide come colf, come avviene ad esempio nell’iconico videogame Detroit: Become Human, possiamo accontentarci di un meno ambizioso collaboratore domestico in grado di sorvegliare con grande efficienza gli ambienti di casa durante la nostra assenza, avvisandoci nel caso di qualsiasi anomalia.

Un ulteriore tipologia di automa domestico è rappresentato dai cosiddetti social robot: i robot di compagnia. Nomen omen, fanno ciò per cui sono stati progettati. Uno degli esempi più celebri è il mitico AIBO, il cane robot di Sony, il cui comportamento ricorda tantissimo quello di un vero cagnolino, capace di autoapprendere grazie ad un sistema di machine learning integrato.

Rispolverato da Sony dopo diversi anni di inattività, il nuovo modello circa 3000 dollari, quindi non proprio per tutte le tasche, ma è davvero uno spasso. Per intenderci, non il classico aggeggio che si prova un paio di volte e poi si abbandona al proprio destino la prima volta che esaurisce le batterie.

Non mancano tuttavia i robot economici, come nel caso di appbot Riley, una camera di sorveglianza mobile, divertente da utilizzare, oltre al fatto che il suo aspetto, per via dei cingolati, ricordava vagamente Wall-E, il celebre robot della Pixar. La sua gestione era relativamente semplice, coadiuvata dal fatto che Riley poteva ritrovare automaticamente la propria base di ricarica in caso di necessità, senza perdersi in qualche angolo vetusto ed inesplorato della nostra abitazione.

Attualmente appbot Riley risulta fuori produzione, ma le alternative simili non mancano, soprattutto se consideriamo i robot capaci di entrare in casa come giocattoli per i più piccoli e utili collaboratori domestici per chi ha qualche primavera in più sulle spalle.

robot a casa
La progressiva diffusione dei sistemi di domotica IoT consente di avere robot interconnessi, capaci di operare in sinergia per svolgere moltissime procedure, come la gestione dei sistemi di illuminazione, riscaldamento, trattamento dell’aria, antifurto, piuttosto che aperture e chiusure di porte e avvolgibili.

Le diverse tipologie di robot

Sotto il denominatore comune di robot esistono ormai innumerevoli espressioni di macchine che, nei modi più svariati, simulano il comportamento dell’uomo sia nel movimento che nei tratti fisici, cercando molto spesso anche un’affinità a livello di immagine. In base ai modi con cui un robot simula l’essere umano, possiamo identificare alcune tipologie di riferimento.

Robot antropomorfi

Si tratta di sistemi robotici che simulano, con esplicito riferimento nella cinematica, il movimento dell’uomo, in particolare dei suoi arti, senza trascurare la percezione e la capacità di spostarsi negli ambienti fisici.

I robot antropomorfi più celebri e diffusi sono con ogni probabilità i bracci robotici, nati nel comparto industriale ed oggi sempre più diffusi nelle applicazioni collaborative, non per forza legate alla linea di montaggio della manifattura. Il braccio robotico non avanza pretese di analogia nell’immagine con l’uomo, ma pur manifestando con fierezza di essere a tutti gli effetti una macchina, è molto simile nella cinematica al braccio umano.

Robot umanoidi

La struttura di un robot umanoide cita in maniera dichiarata quella dell’uomo, esprimendone le sembianze nelle singole parti, come testa, corpo, braccia, mani, gambe e addirittura particolari accessori, riconducibili a strumenti di uso comune per l’uomo. Nell’immaginario comune della cultura pop potremmo citare i mitici robottoni giapponesi, come Goldrake, Jeeg Robot d’acciaio, Daitarn 3, Gundam e moltissimi altri.

A livello commerciale ritroviamo diversi modelli, molti dei quali provenienti ancora dall’ingegneria del sol levante, come il celebre Asimo, di Honda Robotics, capace addirittura di correre e battere i calci di rigore, piuttosto che Pepper (Aldebaran Robotics per Softbank), uno dei robot domestici più diffusi in assoluto. Tutti gli esempi citati ricordano in maniera stilizzata una persona, anche se il loro look richiama senza indugi quello di una macchina.

Tra le centinaia di modelli di robot umanoidi sin qui sviluppati una citazione la merita sicuramente iCub, prodotto dall’Istituto Italiano di Tecnologia con l’intento di realizzare una macchina molto complessa, relativamente contenuta nei costi, ispirandosi ad un bambino di circa cinque anni. Sulla base della sua esperienza l’IIT ha sviluppato anche R1, un robot domestico molto evoluto soprattutto per quanto riguarda gli arti superiori, dotati di mani prensili ed una pelle artificiale concepita per fornire al robot la percezione tattile. R1 ha capacità di social robot e può essere utilizzato anche per l’assistenza agli anziani, quale badante o infermiere.

Robot androidi

Un ulteriore livello evolutivo nella robotica è costituito dagli androidi. Molti di noi li hanno conosciuti in Blade Runner, con l’esplicito e quanto mai azzeccato appellativo di replicanti. Più che ispirarsi all’uomo, mirano infatti a replicarne le fattezze in ogni dettaglio, al punto che, nel suo livello di evoluzione più avanzato, risulterebbe molto difficile distinguere un androide da un essere umano. Si tratta ovviamente di una tipologia di robot molto difficile da realizzare sia per quanto riguarda le parti meccaniche che per i sistemi di intelligenza artificiale generale che sarebbero necessari ai fini di consentire un’autonomia funzionale assoluta, affidabile per qualsiasi contesto.

Gli androidi non vanno tuttavia confusi con i cyborg, che rappresentano una tipologia più ampia, in cui si fa soprattutto riferimento agli esseri umani potenziati tramite la cibernetica, come il già citato Robocop, piuttosto che i protagonisti di Ghost in the Shell o Cyberpunk 2077, giusto per non scomodare il Darth Vader che, in maniera analoga a Robocop, è dotato di arti cibernetici e di un’armatura tecnologica indispensabile per mantenere Anakin Skywalker in vita, dopo la drammatica perdita della maggior parte del suo corpo originale.

La robotica software

Nel citare le varie tipologie di robot si rende doveroso un cenno ai bot, ossia i robot senza la componente hardware. Si rientra nell’abito della RPA (Robotic Process Automation), sistemi capaci di emulare le attività ripetitive e di routine cui sono tradizionalmente costretti gli esseri umani, soprattutto nelle loro relazioni.

Basti pensare ai processi di front office e back office nel customer care, piuttosto che nelle operazioni finanziarie, giusto per citare due casi ricorrenti che possono essere automatizzati e resi più efficienti grazie a sistemi informatici basati su tecniche di intelligenza artificiale forte come la NLP (Natural Language Processing).

In generale, rispetto all’impiego per analoga mansione di routine effettuata da un essere umano, i bot sono ormai sufficientemente maturi per ridurre il numero degli errori, offrire un servizio più economico e rapido, sia nell’implementazione che nello svolgimento.

I sistemi più evoluti, grazie all’elevata comprensione del linguaggio in tempo reale, riescono a stabilire buoni risultati nella relazione uomo-macchina, generando un promettente livello di empatia tra gli interlocutori reali e virtuali impegnati in una relazione verbale o testuale.

robot umanoide
La struttura di un robot umanoide cita in maniera dichiarata quella dell’uomo, esprimendone le sembianze nelle singole parti, come testa, corpo, braccia, mani, gambe e addirittura particolari accessori, riconducibili a strumenti di uso comune per l’uomo.

Etica e Robotica

La robotica autonoma comporta un contributo essenziale da parte dell’intelligenza artificiale, indispensabile per supportale l’autonomia funzionale delle macchine. Nel contesto in cui il robot si propone di interagire con le azioni che solitamente sono tipiche dell’uomo, la questione non può limitarsi alle sole implicazioni tecnologiche.

La programmazione del robot autonomo, nella misura in cui condiziona la vita dell’uomo, comporta anche la considerazione degli aspetti antropologici, sociologici, psicologici e in generale afferenti alle scienze umane. In altri termini, si obbliga una riflessione etica, che rientra nell’ambito dell’etica delle tecnologie emergenti, tema caldo soprattutto per quanto concerne l’intelligenza artificiale.

Il lavoro etico è mirato sia a connettere le intenzioni con le applicazioni, che a individuare, correggere o denunciare le pratiche ritenute inaccettabili o troppo rischiose per la salvaguardia degli stessi valori morali associabili ai vari ambiti di funzionamento in cui agisce la robotica. Nel caso della robotica ritroviamo almeno due discipline specifiche: la roboetica e l’etica delle macchine.

La roboetica deriva dallo spirito delle tre leggi della robotica di Asimov, più che mai attuali di fronte ai problemi odierni. Si tratta infatti di una disciplina che promuove la produzione di tecnologie robotiche la cui applicazione non risulti ostile agli esseri umani, oltre ad allineare la robotica agli standard sociali e morali più diffusi. Si tratta pertanto di un’etica pensata per indirizzare l’azione di tutti gli stakeholder della robotica: ingegneri, sviluppatori, imprenditori, ecc.

L’etica delle macchine è piuttosto orientata a dotare i sistemi tecnologici della capacità di gestire in totale autonomia le situazioni morali in maniera allineata agli standard più diffusi, con una riflessione incentrata sugli impatti delle azioni dal punto di vista etico, sociale e filosofico.

In questo contesto è possibile coinvolgere nel dibattito anche l’etica dei dati, una disciplina orientata a riflettere sulle questioni etiche derivanti dalla raccolta dei dati e all’analisi da parte dei sistemi di machine learning, entrando nel dettaglio di temi come la privacy, i bias, la proprietà dei dati e le possibili conseguenze discriminatorie.

Per quanto concerne la moralità di un robot è opportuno rilevare come la correttezza decisionale si basi su questioni estremamente difficili da oggettivare o, peggio, su situazioni in cui prevale l’esito di un episodio in un determinato contesto. Un robot poliziotto potrebbe ad esempio decidere o meno di aprire il fuoco quando si trova di fronte ad un comportamento sospetto e minaccioso, in una dinamica che lo assoggetta alla scelta di un collega umano. Entrambe le decisioni possono rivelarsi giuste piuttosto che errate, è l’esito dell’episodio a condizionare il giudizio generale, non certo la sua valenza tecnologica.

Nel caso in cui il robot decidesse di sparare, sarebbe considerato un eroe nel caso in cui riuscisse a sventare la minaccia di un pericoloso criminale, ma andrebbe incontro ad un fallimento clamoroso se mal interpretasse una reazione all’apparenza ostile ma del tutto innocua nelle intenzioni, finendo per ferire o uccidere un innocente. Lo stesso ragionamento vale ovviamente nella situazione diametralmente opposta, nel caso in cui il robot decidesse di non sparare: in tal caso lascerebbe la strada spianata al criminale vero, risparmiando però il cittadino innocente, altrimenti vittima di un comportamento equivoco, ma non pericoloso per la comunità.

Alla base del comportamento autonomo della macchina c’è l’azione di un’intelligenza artificiale, programmata da uno sviluppatore a sua volta dotato di valori propri e soggettivi, il che potrebbe dare luogo a condizionamenti di carattere discriminatorio, anche in totale buona fede. Il nostro solito robot poliziotto potrebbe ad esempio essere condizionato a controllare più intensamente i soggetti provenienti da quartieri più svantaggiati, dove spesso si concentrano determinate etnie.

Perché una persona socialmente più svantaggiata dovrebbe essere trattata con naturale diffidenza, quando nella maggior parte dei casi il suo profilo non corrisponde assolutamente a quello di un criminale? Secondo i dati analizzati da un sistema di machine learning, il suo profilo potrebbe comportare rischi più elevati rispetto ad un individuo appartenente ad un ceto sociale più elevato, dotato di un maggior livello di istruzione, di una miglior posizione professionale e di una zona di residenza quasi certamente più privilegiata. Una condizione che renderebbe quasi del tutto superfluo un semplice controllo di routine.

Al di là di una condizione teoricamente imparziale, imposta dalla deontologia professionale, l’uomo sarebbe naturalmente orientato a ragionare sulla base di alcuni preconcetti, anche senza che vi siano delle consapevoli intenzioni discriminatorie legate alla condizione etnica e sociale. Tutto questo sarebbe accettabile nel comportamento di una macchina? È una domanda non banale, cui le discipline dell’etica devono provare a dare e soprattutto a motivare una serie di risposte condivise.

L’esempio del robot poliziotto che vi abbiamo proposto non è casuale, in quanto ci presenta la connessione con un recente caso di cronaca. La polizia di New York ha infatti dovuto cancellare in corsa il programma sperimentale che vedeva Spot, cane robot della Boston Dynamics, collaborare nell’ambito delle operazioni di polizia sul campo.

Nessun fallimento tecnologico, nessun incidente: sono risultate decisive le forti pressioni della politica locale, preoccupata per il moltiplicarsi delle reazioni avverse delle comunità dei quartieri popolari, che hanno visto Spot quale un nuovo strumento di repressione nelle mani della polizia.

Il “fallimento” di Spot ci ricorda come la tecnologia possa essere efficiente, ma occorre soprattutto un contesto favorevole perché venga accettata e condivisa. Si tratta di un terreno non particolarmente fertile negli Stati Uniti alle prese con il caso Floyd, afroamericano drammaticamente ucciso da un poliziotto nell’ambito di un’operazione di controllo nelle strade di Minneapolis, episodio che ha scatenato innumerevoli manifestazioni di protesta in tutto il Paese, con una eco mediatica di dimensioni globali.

Non è dunque sufficiente un sentimento di fiducia generico nei confronti della tecnologia, che nel suo emergere è abituata a scontarsi contro numerose barriere, serve che il contesto di applicazione risulti favorevole e il più possibile sgombero da fuorvianti preconcetti.

In tal senso è indispensabile che gli studi etici riescano a determinare il contributo concreto nell’ambito delle normative che occorrerà delineare per stabilire dei punti fermi nello sviluppo e nell’implementazione della robotica, man mano che questa riuscirà ad introdurre sul mercato prodotti sempre più evoluti dal punto di vista dell’intelligenza artificiale.

In tal senso, risulta incoraggiante il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, con la sua prima proposta, pubblicata dalla Commissione Europea il 21 aprile 2021. Un primo passo, sicuramente perfettibile, nella direzione di individuare una fiducia nei confronti delle applicazioni delle AI, tra cui rientrano a pieno titolo i robot.

Un aspetto interessante del regolamento consiste nell’individuazione di quattro categorie di rischio legate ai sistemi di intelligenza artificiale: inaccettabile, elevato, limitato e minimo, che riflettono delle tematiche già estremamente attuali nella loro applicazione, soprattutto considerando la fervente diffusione che queste tecnologie stanno avendo sul mercato.

La categorizzazione del rischio esprime in maniera evidente anche le differenze a livello geopolitico. Se alcuni governi, come quello cinese, puntano a creare sistemi massivi per classificare la reputazione dei cittadini sulla base di informazioni riguardanti la loro condizione economica e sociale, la Commissione Europea ha classificato come inaccettabile questo tipo di atteggiamento, così come tutte le pratiche che possono minare in maniera evidente la sicurezza delle persone e delle comunità.

Per completare il quadro delle proposte normative inerenti alle applicazioni della robotica, la Commissione Europea ha presentato anche il nuovo Regolamento Macchine, che va a sostituire la precedente Direttiva Macchine. Si tratta di un aggiornamento essenziale per tenere in considerazione la notevole evoluzione dei dispositivi introdotti sul mercato negli ultimi anni, tra cui spiccano naturalmente i robot.

Tra i vari aspetti del Regolamento Macchine spiccano i riferimenti all’integrazione sicura dei sistemi di intelligenza artificiale nella macchina, uno dei temi centrali delle applicazioni robotiche. Un aspetto essenziale, che, una volta condiviso, consentirà finalmente di avere un quadro giuridico unitario almeno all’interno dei paesi membri dell’Unione.

Gli ambiti applicativi della robotica

Definire un campo di applicazione della robotica è un’impresa ardua, per il fatto che esistono moltissime tipologie di robot, in grado di offrire un contributo funzionale quasi a tutte le applicazioni che prevedono un impegno da parte dell’uomo, per assisterlo o sostituirlo nello svolgimento delle mansioni più gravose.

L’introduzione della robotica consente generalmente di aumentare il livello di efficienza dei processi, grazie all’elevato livello di performance delle macchine, ormai sempre più capaci di agire in modo responsabile all’interno del contesto in cui sono inserite. Pur consapevoli che quanto segue non è che una lista assolutamente parziale di un fenomeno ben più esteso, vediamo quali sono attualmente le principali applicazioni della robotica.

Robotica industriale

Da sempre in un ambito di applicazione privilegiato, le applicazioni industriali sono per molti versi i principali fattori trainanti del mercato della robotica. La robotica industriale rappresenta l’essenza del nobile automa ipotizzato da Aristostele, colui che avrebbe dovuto affrancare l’uomo dalla schiavitù del lavoro pesante e logorante.

A differenza di altri ambiti di applicazione, la robotica industriale non costituisce affatto una novità, in quanto le sue manifestazioni su ampia scala risalgono ormai agli anni settanta, dopo che nel decennio precedente il celebre robot Unimate aveva fatto la sua comparsa sulle linee di montaggio della General Motors. Attualmente la robotica industriale sta vivendo una fase di profonda trasformazione.

Se i robot attualmente più diffusi sono orientati ad automatizzare un processo ripetitivo, sostituendo l’uomo in quel particolare frangente, i robot di nuova concezione adottano le logiche della industry 4.0, la fabbrica intelligente, che vede i dispositivi interconnessi e funzionalmente autonomi. Tra gli obiettivi del paradigma 5.0, ulteriore evoluzione prevista per l’attuale modello 4.0, vi è la diffusione dei cosiddetti robot di terzo livello, capaci di apprendere e decidere in maniera autonoma grazie alla presenza di reti neurali ed alla capacità di scrivere in proprio gli algoritmi necessari per supportare le loro operazioni.

In termini più generali, la robotica 4.0 è sempre più diffusa nelle operazioni di monitoraggio, acquisizione e analisi dei dati, simulazione, diagnostica e manutenzione predittiva.

Robotica collaborativa

Un ambito particolarmente trasversale, peraltro molto frequente nelle applicazioni industriali, è dato dalla robotica collaborativa. I cobot (collaborative robot) nascono per soddisfare la precisa esigenza di collaborazione con l’uomo (human-machine), piuttosto che con altri robot (machine-machine) in un contesto definito.

L’industria 4.0 vede nel cobot uno strumento strategicamente molto utile per adottare delle pipeline flessibili, che non sono esclusivamente basate nell’esecuzione veloce e precisa della medesima operazione, preoccupandosi piuttosto di sfruttare la sensoristica ed i sistemi di visione artificiale per svolgere funzioni di carattere qualitativo, con la possibilità di decidere in autonomia cosa fare in una determinata situazione. Tale condizione presuppone l’integrazione di sistemi di intelligenza artificiale, capaci di analizzare i dati raccolti nell’ambiente operativo.

I cobot sono sempre più diffusi anche al di fuori dell’ambito puramente manifatturiero, dove i bracci robotici sono ormai capaci di soddisfare le esigenze provenienti da molte industrie: alimentare, elettronica, arredamento, automobilistica, chimico-farmaceutica, ricerca scientifica, ecc.

Tra i principali fattori di diffusione dei cobot ritroviamo la loro integrazione con i robot mobili, che consente di configurare sistemi estremamente flessibili, in cui un braccio robotico non è vincolato ad una posizione unica, ma può spostarsi liberamente nello spazio operativo per eseguire le operazioni previste. Tale ibridazione tecnologica consente di configurare sistemi più flessibili ed economici, riducendo molto spesso il numero complessivo dei robot necessari.

Robotica chirurgica

Nell’ambito delle moltissime applicazioni robotiche riscontrabili in ambito sanitario, una particolare considerazione va riservata alla chirurgia robotica (Robotic Assisted Surgery), in cui il medico si colloca in una posizione più remota rispetto al campo operatorio, per controllare i bracci robotici che agiscono direttamente sul paziente. I primi robot chirurghi sono stati ZRSS (ZEUS Robotic Surgical System) e il popolare da Vinci, che dal 2000 ad oggi ha vissuto oltre dieci evoluzioni, all’insegna della chirurgia mininvasiva, che rinuncia alla classica incisione per mezzo di un bisturi a favore di metodi endoscopici.

La chirurgia robotica vede una diffusione crescente all’interno delle sale operatorie, dove i medici la impiegano correntemente nella chirurgia urologica (dove ha visto le sue prime applicazioni), toracica, cardiologica, ginecologica e ortopedica.

Il principale valore aggiunto di questo approccio chirurgico risiede nell’elaborazione delle immagini. L’endoscopio di un robot si avvale infatti delle più moderne tecnologie di visualizzazione 3D per effettuare una scansione in tempo reale delle zone interessate, con un livello di dettaglio che consente ad esempio la rimozione delle tracce tumorali in maniera molto più accurata di quanto sarebbe possibile effettuare ricorrendo ad una metodologia tradizionale.

Analoghi vantaggi si riscontrano durante le fasi ricostruttive, dove la simulazione tridimensionale consente di previsualizzare gli effetti dell’operazione, la cui coerenza viene assicurata grazie alla visione 3D in tempo reale dell’endoscopio, capace di guidare il chirurgo in ogni minimo dettaglio, riducendo al minimo la possibilità di errore.

Grazie alla minor invasività, la chirurgia robotica consente tempi di recupero mediamente più rapidi ed un dolore post operatorio più limitato. In riferimento ai casi oncologici, la maggior precisione nelle fasi chirurgiche consente inoltre di accelerare anche i cicli chemioterapici necessari per completare la terapia. I vantaggi sono parsi evidenti sin dalle prime applicazioni e indicano chiaramente quale sia la strada da percorrere in futuro.

Tra le attuali limitazioni, destinate ad essere superate grazie all’evoluzione delle attuali tecnologie, vi è l’assenza della componente tattile, che isola in qualche modo il chirurgo rispetto all’oggetto dell’intervento, al di là di distanziarlo fisicamente. Un altro fattore limitante, in termini di diffusione, è certamente rappresentato dal costo dei robot chirurgici, sia per quanto riguarda l’acquisto che per quanto concerne la manutenzione e l’elaborazione delle immagini 3D. Al maggior impegno economico corrisponde un miglior rapporto costi-benefici, determinato dalla miglior resa rispetto al paziente della tecnica non invasiva, anche in termini di riduzione del periodo di ospedalizzazione.

robotica chirurgica
Il principale valore aggiunto della robotica chirurgica risiede nell’elaborazione delle immagini: l’endoscopio di un robot si avvale delle più moderne tecnologie di visualizzazione 3D per effettuare una scansione in tempo reale delle zone interessate.

Robotica educativa

Si tratta di una delle applicazioni più coinvolgenti e stimolanti della robotica e consiste nel fornire un vero e proprio strumento didattico, attraverso il quale gli studenti possono sviluppare determinate competenze. La robotica educativa è basata, come altre forme di insegnamento, sul cosiddetto metodo learning by doing, per cui l’apprendimento legato ad una serie di azioni effettuata direttamente risulterebbe più efficace rispetto ad un procedimento learning by book, che prevede l’acquisizione delle basi teoriche ed eventualmente la successiva applicazione pratica.

La robotica educativa risulta particolarmente indicata per l’apprendimento scolare, quale mezzo pedagogico utile all’insegnamento delle materie tecnico-scientifiche, come le STEM e più in generale quelle basate sul pensiero computazionale. Attraverso la differente complessità delle macchine programmabili, è infatti possibile graduare dei progetti educativi rivolte a differenti fasce di età.

Le tipologie di robot educativi attualmente esistenti sono incredibilmente varie, e prevedono dei kit spesso open source (es. Arduino, Raspberry Pi, ecc.) con cui è possibile programmare praticamente di tutto, piuttosto che dei veri e propri umanoidi concepiti per un determinato scopo didattico. Un celebre robot educativo è Poppy, utile a comprendere il funzionamento del corpo umano, i processi che segnano il suo sviluppo, ai fini di realizzare delle macchine intelligenti capaci di simularli con le stesse logiche.

Robotica di servizio

Si riferisce in senso ampio ai robot intelligenti capaci di implementare determinati servizi, tra cui quelli legati alla logistica. La gestione automatizzata di un magazzino prevede lo spostamento di una enorme quantità di merci, che devono essere identificate, stoccate e trasferite durante cicli molto precisi. Un robot può ormai gestire praticamente in autonomia quasi tutte queste fasi, riducendo al minimo l’intervento dell’uomo, spesso demandato a ruoli di pura supervisione.

Tra le altre applicazioni della robotica di servizio ritroviamo ad esempio quelle agricole, come i droni che, grazie a specifici sensori, consentono di supportare le aziende impegnate nell’agricoltura di precisione nell’acquisizione e nell’analisi dei dati necessari a rendere più efficiente la redditività dei terreni occupati dalle colture e a ridurre l’impatto ambientale grazie ad un utilizzo più razionale delle risorse. 

Robotica domestica

Comprende tutti i robot che danno vita alla cosiddetta Smart Home, le applicazioni della domotica intelligente. L’automazione domestica prevede sistemi IoT con dispositivi interconnessi, in cui rientrano i classici robot aspirapolvere / lavapavimenti, i robot da cucina, i robot tosaerba, i robot pulitori e i robot sorveglianti, giusto per citare quelli con funzione elettrodomestica, già ampiamenti diffusi nelle nostre case.

I robot domestici sono attualmente molto diffusi sul mercato e non a caso anche il loro prezzo di vendita risulta decisamente più accessibile rispetto a quello di sistemi dotati di un livello di complessità simile, ma settorializzati in altri ambiti. Tra i robot attivi nello spazio domestico ma orientati alla relazione con le persone e gli animali rientra una categoria più specifica, quella dei robot di intrattenimento, o dei social robot.

Robotica di intrattenimento (social robot)

Un particolare ambito della robotica di servizio è caratterizzato dalle macchine concepite per interagire direttamente con l’uomo. È il caso dei robot di compagnia, o social robot, che possono relazionarsi sia con un pubblico generico, ad esempio all’interno di una abitazione, piuttosto che assistere determinate categorie di persone, come nel caso degli anziani o dei bambini.

Nel caso dell’assistenza degli anziani, i robot sono destinati ad assumere un ruolo sempre più centrale, per aumentare la qualità del servizio, riducendo al tempo stesso la spesa generale. I care robot affiancano o sostituiscono i tradizionali caregiver umani almeno in tre ambiti fondamentali: l’attività fisiologica (moto, riabilitazione, nutrizione, igiene personale, ecc.), l’attività sociale (compagnia e comunicazione) e attività legate alla salute mentale (gestione stress, emotività e trattamento dei casi di demenza e deficit cognitivi).

I social robot risultano utili anche all’assistenza e all’educazione dei bambini, oltre che alla loro sorveglianza nei periodi e nei luoghi in cui un adulto non è fisicamente presente negli stessi spazi. La capacità del robot di risultare attivo per 24 ore su 24 risulta inoltre fondamentale nei contesti ospedalieri, per le terapie di supporto psicologico dei pazienti ricoverati nei reparti pediatrici. A domicilio un robot può risultare altrettanto utile nell’assistenza ai bambini autistici.

Il rapporto uomo-macchina è da sempre al centro dei riflettori per le considerazioni di carattere etico, ma le soluzioni che stanno progressivamente arrivando sul mercato sono decisamente incoraggianti, soprattutto considerando l’enorme margine di miglioramento che questi robot umanoidi presentano. Il social robot oggi più popolare è probabilmente Pepper, un umanoide alto circa 120 cm, sviluppato da Softbank Robotics utilizzando le tecnologie AI di IBM Watson. Essendo supportato da un sistema di intelligenza artificiale, Pepper è capace di apprendere in automatico, migliorando progressivamente il proprio livello di interazione con le persone.

Pepper viene utilizzato come receptionist, così come un vero e proprio maggiordomo, particolarmente apprezzato dai bambini. Le sue funzionalità sono fortemente orientate alla relazione sociale, con sistemi di riconoscimento facciale capaci di percepire anche le espressioni e le emozioni delle persone che il robot si ritrova davanti. Le sue proprietà di assistente virtuale gli consentono di individuare su internet i contenuti necessari per conversare, ad esempio raccontando una storia o una favola ad un bambino, piuttosto che istruire una casalinga con una dettagliata ricetta culinaria, oltre che a sorvegliare in maniera scrupolosa gli ambienti domestici e gli animali presenti al loro interno.

Robotica militare

L’industria della difesa è da sempre una fonte di grande ricerca e sviluppo per nuovi sistemi robotici, capaci di evolversi successivamente anche verso obiettivi civili. Di recente l’attenzione si è concentrata particolarmente sui droni aerei e terresti, capaci di effettuare operazioni a rischio elevato senza compromettere l’incolumità dei militari.

Tale condizione permette di effettuare operazioni che i limiti umani renderebbero altrimenti impossibili, come la permanenza in un ambiente ostile per ore e giorni consecutivi, piuttosto che in tutte quelle situazioni in cui non è in alcun modo conveniente mettere a repentaglio la sicurezza dell’uomo, che può trarre maggior giovamento pilotando remotamente il drone. Non parliamo soltanto dei velivoli armati, ma di tante applicazioni capaci di risolvere in sicurezza un’esigenza molto spesso dedicata al disarmo. È il caso dei noti robot artificieri, capaci di identificare un esplosivo e neutralizzarlo, grazie al comando in remoto e alla supervisione dei militari, che in questo modo non sono direttamente esposti alle gravi conseguenze che il più piccolo errore di valutazione potrebbe comportare. Nella peggiore delle ipotesi, il danno verrebbe assorbito esclusivamente dal robot.

Robotica aerospaziale

Un ambito di azione privilegiato, per quanto elitario, della robotica, è da sempre quello dell’ingegneria aerospaziale. L’azione in ambienti per natura decisamente ostili all’azione dell’uomo, privilegia l’azione delle macchine per svolgere il maggior numero di compiti possibile, a bordo delle stazioni spaziali, piuttosto che nell’esplorazione dei pianeti e dei satelliti del sistema solare.

La stazione spaziale internazionale ospita ad esempio molti robot, entrati in azione in periodi differenti. In tempi relativamente recenti sono stati introdotti i Robonaut R1 e R2, piuttosto che i CIMON, robot dotati di intelligenza artificiale capaci di affiancare l’equipaggio degli astronauti nella conduzione degli esperimenti scientifici che caratterizzano la maggior parte della giornata in orbita.

Nel campo dell’esplorazione sono da tempo attivi i rover spaziali, come il celebre Curiosity, inviato dalla NASA su Marte. Nonostante l’ambiente remoto e piuttosto inospitale del pianeta rosso, Curiosity non soffre tuttavia di solitudine, dal momento che su Marte sono attualmente attivi diversi rover e droni, tra cui Opportunity, Perserverance o il drone elicottero Ingenuity, a cui si è di recente aggiunto il rover cinese Zhurong. Una flotta destinata ad espandersi in attesa della prima missione con equipaggio umano.

Robotica e fabbricazione additiva

La stampa 3D ha introdotto nuovi concetti di produzione, capaci di sfruttare la fabbricazione additiva per realizzare manufatti con libertà di forma. Questa rivoluzione nel paradigma produttivo ha innescato una vera e propria rivoluzione creativa, nei settori che vanno dal design di prodotto fino alla costruzione di interi edifici, piuttosto che opere di ingegneria civile.

Per costruire prodotti di grandi dimensioni, si rende necessario un sistema robotico, capace di agire a controllo numerico per orientare l’estrusione della stampante 3D. Nell’ambito dell’industria delle costruzioni, gli approcci attualmente più diffusi sono due: in primo luogo, troviamo la stampante di enormi dimensioni, che replica su grande scala il funzionamento di una stampante desktop: è il caso di WASP, un produttore italiano universalmente riconosciuto quale un pioniere nel suo genere.

Un approccio più flessibile è tuttavia dato dall’impiego di bracci robotici su piattaforme mobili, in grado di spostarsi nello spazio per stampare in qualsiasi posizione. Tale sistema, la cui implementazione risulta piuttosto complessa soprattutto per quanto concerne la sua componente software, è oggetto di varie sperimentazioni e dovrebbe a breve iniziare a produrre risultati tangibili, capaci di rivoluzionare non soltanto il modo di costruire determinati edifici, ma di relazionare in modo nuovo l’uomo con gli spazi dell’abitare.

Tale concetto è alla base di un altro modello produttivo, che supera l’ambito dell’industria delle costruzioni per abbracciare un concetto di fabbricazione più ampio. Parliamo della cosiddetta one point factory, che grazie al concerto di varie tecnologie di robotica, stampa 3D e materiali compositi, prevede di miniaturizzare ciò che abitualmente richiederebbe uno stabilimento di grandi dimensioni.

Robotica e automotive

Il rapporto tra la robotica e il transportation design costituisce uno degli ambiti di maggior potenziale dal punto di vista tecnologico-funzionale. In riferimento al comparto automotive, è opportuno rilevare come i sistemi a guida autonoma si basino su interfacce robotiche, dove un sistema hardware viene controllato, nei suoi livelli più evoluti, da una componente software basata su tecniche di intelligenza artificiale, ed è proprio in queste che risiede la sfida più impegnativa da parte degli sviluppatori.

Per raggiungere il famigerato livello 5 della guida autonoma, che coincide con la guida totalmente automatizzata, non sono ancora pronte le AI in grado di gestire tutte le variabili endogene ed esogene previste, a prescindere dal fatto che la legislazione dei vari paesi non sarebbe al momento pronta nemmeno a recepire il livello 4 (guida completamente automatizzata). Con il raggiungimento del livello 5 (guida autonoma) potrà ritenersi del tutto superato il concetto di conducente del veicolo, estendendo tale concezione a tutti i mezzi di trasporto. 

Il futuro della robotica

Lo scenario evolutivo della robotica è senza dubbio uno dei più interessanti nell’ambito delle tecnologie emergenti e vedrà un impegno sempre maggiore per dare risposte sia dal punto di vista tecnologico che etico.

La strettissima relazione che intercorre tra la robotica e l’intelligenza artificiale pone le basi di discussione per la definizione di un quadro normativo, finalmente capace di delineare delle linee guida condivise a livello internazionale. Per ora siamo ben distanti dal raggiungimento di questo obiettivo, ma la proposta del regolamento europeo per l’intelligenza artificiale costituisce un momento evolutivo che dobbiamo equiparare alla tappa fondamentale di un percorso che si rende necessario affrontare.

Se i robot dovranno evolversi, a decidere le loro sorti, e di riflesso le nostre, sarà il comportamento di chi li programmerà. Per questo è assolutamente necessario che le nuove generazioni siano formate in maniera adeguata.

In questo contesto vanno incoraggiati i laboratori di robotica educativa, dove i ragazzi lavorano su problemi concreti, da risolvere attraverso diverse fasi che li vedono impegnati nel comprendere il funzionamento, l’assemblaggio e la programmazione del robot deputato a svolgere determinate operazioni.

Il problem solving, affrontato con un approccio learning by doing, è fondamentale per formare le nuove generazioni a comprendere le potenzialità delle macchine, a prescindere dal fatto che nel loro futuro ci sia una carriera da progettisti e sviluppatori di robot.

La cultura delle macchine, attraverso la robotica educativa, rientra finalmente nelle attività previste dal decreto 851 del 27/10/2015 – Piano Nazionale per la Scuola Digitale, curato dal Ministero dell’Istruzione e dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Tra gli obiettivi del Piano rientra in maniera dichiarata l’educazione al pensiero computazionale, a partire dalla scuola primaria, come reso evidente dall’iniziativa “Programma il futuro”, curata dal CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica).

La capillare diffusione dei laboratori di robotica educativa nelle scuole italiane costituisce il primo passo per formare una cultura diffusa che dovrà portare le future generazioni ad avere un rapporto naturale con le macchine e l’intelligenza artificiale, allo stesso modo con cui oggi siamo orientati ad interagire con altri dispositivi informatici di comune diffusione.

Dal punto di vista tecnologico, gli spiragli di futuro della robotica sono pressoché infiniti. Dando per scontata la continua evoluzione dei robot già ampiamente diffusi in ambito commerciale e il buon livello di maturità raggiunto dai robot antropomorfi, non soltanto in ambito industriale, la grande sfida sarà quella di realizzare robot umanoidi e androidi sempre più performanti ed economici, ai fini di agevolare la loro diffusione sul mercato, superando l’attuale condizione elitaria.

Notevoli esempi sono attualmente presentati dalle divisioni dedicate alla robotica di Honda e Hyundai, che ha peraltro di recente acquisito la celebre Boston Dynamics, i cui robot dimostrano come già ora sia possibile realizzare delle macchine capaci di muoversi con una rapidità ed una precisione incredibile, eseguendo sul campo operazioni molto complesse anche dal punto di vista logico.

L’autonomia funzionale dei robot, oltre alla qualità nella meccanica e nella sensoristica, è legata in maniera imprescindibile alla componente software, nello specifico allo sviluppo di tecniche di intelligenza artificiale forti e deboli capaci di istruire in tempo reale il robot in relazione al suo comportamento.

La progressiva evoluzione delle AI avvicinerà sempre di più le macchine all’essere umano, superandone le capacità in molte applicazioni e rendendo sempre più attuali gli interrogativi di carattere etico.

La necessaria coesistenza tra uomo e macchina, rende presumibile che nel futuro della robotica risieda la redazione di un quadro normativo che possa finalmente dare delle linee di indirizzo eticamente condivise, sia per sviluppare un senso di accettazione generale, ma soprattutto per offrire punti fermi e garanzie agli investitori chiamati a supportare gli enormi progetti di ricerca e sviluppo che ci attendono per trasformare la robotica da una disciplina suggestiva ad una pratica reale, tangibile, in grado di condizionare, si spera con lo stesso ottimismo professato ante litteram da Asimov, il futuro delle nostre vite.

robotica educativa
La capillare diffusione dei laboratori di robotica educativa nelle scuole italiane costituisce il primo passo per formare una cultura diffusa che dovrà portare le future generazioni ad avere un rapporto naturale con le macchine e l’intelligenza artificiale.
Scritto da:

Francesco La Trofa

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin