Sohail Inayatullah ha incontrato i Futures Studies alle Hawaii, a diciassette anni. All’università ha seguito i primi corsi di studi sul futuro, non si è fermato e ha continuato a studiare anche altro: diritto, storia, filosofia; ha conseguito un dottorato in Macro-History e poi, in Australia, ha cominciato a fare ricerca e lavorare per l’università e le organizzazioni internazionali, ottenendo infine l’UNESCO Chair on Futures Studies [la Cattedra UNESCO sugli Studi sul Futuro è un’iniziativa istituita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura – UNESCO – per promuovere la ricerca, l’istruzione e lo sviluppo di capacità nel campo degli studi sul futuro – ndr]. Sohail Inayatullah è stato insignito della prima Cattedra UNESCO in Futures Studies nel 2016, oggi detiene tale cattedra presso il Sejahtera Center for Sustainability and Humanity, in Malaysia, ed è professore alla Tamkang University, a Taipei (Graduate Institute of Futures Studies) e Associate Professor presso la Melbourne Business School all’Università di Melbourne. È anche editor del Journal of Futures Studies, la più importante pubblicazione del settore.
Di grande ispirazione per i futuristi di tutto il mondo, Sohail Inayatullah è l’ideatore della Causal Layered Analysis (CLA), framework metodologico per la comprensione e l’analisi di questioni e problemi sociali complessi, oggi considerato uno strumento fondamentale nella pianificazione strategica, negli studi sul futuro e nella previsione per modellare più efficacemente il futuro.
È tutto sommato facile riassumere così, in un paragrafo, la traiettoria di uno dei più autorevoli e importanti futuristi del nostro tempo. Al tempo stesso, il farlo non rende giustizia all’uomo e al suo lavoro che, nell’arco di alcuni decenni, ha definito le metodologie, ha creato i principali quadri di riferimento e i contesti con i quali riflettere sul futuro, e che oggi si muove costantemente, una settimana dopo l’altra, attraverso il pianeta, partecipando a conferenze, incontrando persone in aziende, comunità e organizzazioni di vario genere, come ad esempio poche settimane fa il senior staff dell’Interpool nella sede di Singapore.
Questa intervista è stata scritta con lo stesso spirito con cui è nata, cioè con un senso di immediatezza e di urgenza, partendo dal modo di Sohail Inayatullah di proporsi: la sua mail di risposta al nostro invito per una videocall diceva semplicemente: “Sono libero adesso, se lo è anche lei: devo uscire entro un’ora ma adesso andrebbe bene. Questo è il mio numero per Whatsapp”. Una apertura ed una disponibilità senza eguali. Pochi secondi dopo, il tempo di connettere Milano e Vienna via smartphone, è stato come entrare nella stanza serena e accogliente, come è Sohail Inayatullah, dei futuri. Una parola che, ci tiene a precisare subito, va usata sempre al plurale.
Il futuro dell’insegnamento
Futuri, allora: molto diversi e più ricchi, articolati, interessanti di come possiamo immaginare.
Innanzitutto, perché siamo arrivati a un momento particolare in cui va a sintesi qualcosa che si preparava da decenni: sin dal dopoguerra, a essere precisi. Infatti, le innovazioni tecnologiche degli ultimi sessant’anni sono arrivate a maturazione più o meno adesso e pian piano ce ne stiamo tutti rendendo conto, anno dopo anno, soprattutto per via della velocità vertiginosa con cui cambiano strumenti e paradigmi. Ma quel che succede adesso, spiega Sohail Inayatullah, ha a che fare con le persone, le organizzazioni e le aziende, non con i microchip.
«Il futurismo è lo studio di cose future, alternative tra loro e in alcuni casi da preferire e in altri no. Il futurismo non guarda solo le cose ma il mondo che c’è dietro: non un solo futuro ma i tanti che sono possibili e i modi per andare verso l’uno o l’altro. Oggi però sta succedendo una cosa nuova: molto di quel che diceva il futurismo è diventato vero perché sta accadendo, e questo sta cambiando tante altre cose, soprattutto dalla pandemia in avanti. Ad esempio, se parliamo di educazione, adesso è arrivato ChatGPT: c’è ancora bisogno di insegnanti in un mondo con ChatGPT? No, non ce n’è più bisogno, se pensiamo a quelli che fanno una lezione frontale. Non servono proprio più. Quelli che servono invece sono i co-creatori, le persone che supportano le emozioni degli studenti; servono le persone che sono guide, consiglieri, alleati. Oggi, in un attimo, è chiaro che il ruolo degli insegnanti è completamente cambiato: dall’essere i vettori per trasferire i contenuti dai libri alla mente degli studenti, adesso gli insegnanti sono diventate guide e facilitatori. Ne parlavamo da più di vent’anni, ma con la pandemia è successo e con ChatGPT ancora di più».
Prima le lezioni da casa, con i video e un modo differente di pensare la didattica, adesso l’intelligenza artificiale che pone un approccio completamente diverso. È il primo dei tre cambiamenti di cui Sohail Inayatullah parla in questa intervista. E il più profondo, anche se il meno compreso sino a questo momento, perché il futuro dell’insegnamento per tutti i gradi di scuola, che dobbiamo decidere ora, volenti o nolenti, avrà ripercussioni per moltissimo tempo ma ne vedremo le conseguenze solo tra una decina o più anni.
«Le cose di cui parliamo da tempo, come ad esempio il calo demografico nel vostro Paese, adesso stanno diventando reali. Del calo demografico si parlava da decenni, è una previsione fatta da tempo. Intanto, mentre il dibattito era centrato solo sulla sovrappopolazione, è iniziato numeri alla mano il processo di diminuzione della popolazione a seguito del calo delle nascite. Solo ora la conversazione si sta spostando su questo argomento, e i futuristi si sono trovati nella posizione di contribuire a definire un’agenda che oggi diventa all’improvviso molto urgente e viene cercata dai politici e dalla pubblica opinione».
I futuri possibili ed il ruolo dei futuristi
È un esempio del ruolo dei futuristi e dei possibili usi del futurismo e dei futuri previsti o prevedibili. I cambiamenti che Sohail Inayatullah porta come esempi in questa intervista sono all’inizio tre: il cibo, la sicurezza e l’insegnamento. La pandemia, argomento del quale si era parlato in scenari futuri da molto tempo prima dell’arrivo del Covid, ha in qualche modo funzionato anche da sveglia sociale: ha dimostrato a chi crede solo quando tocca con mano che in effetti le cose possono succedere e che gli scenari e le previsioni hanno senso. Da qui, la fame di futuristi che c’è in questo periodo. Anche se non è certamente universale.
«Non tutti vogliono cambiare: ci sono figure e professionalità che si oppongono, remano contro, oppure vogliono semplicemente arrivare a fine carriera. Un direttore di giornale mi ha detto: “Cambia tutto e la stampa affonda? Allora io andrò a fondo con la nave!”. Non tutti vogliono cambiare. Ad esempio, il cambiamento relativo ai generi e al modo con il quale interagiscono nella società, passando dall’egemonia di un genere alle pari opportunità e ai cambiamenti più profondi in corso oggi, provoca quotidianamente resistenze e ripensamenti».
Sohail Inayatullah, le scuole devono accettare le nuove sfide
Il senso dell’intelligenza artificiale, della quale si sono riempiti i nostri giornali (e non solo), secondo Sohail Inayatullah è però più sfumato e complesso di come lo stiamo raccontando. Finita la fase di ricerca di base, ora stiamo in realtà modellando i prodotti e le applicazioni.
«Usiamo la AI, ma non perdiamo il lavoro per via dell’intelligenza artificiale. Le aziende non assumono i computer, invece assumono le persone che sanno usarli. Viene assunto chi sa dare valore alla tecnologia: i laureati in economia non hanno perso il lavoro quando è arrivata la calcolatrice e poi Excel, ma solo a condizione che sapessero usarli. Ho intervistato ChatGPT per chiedergli qual è la sua metafora individuale e quali sono gli scenari per il suo futuro da tracciare basandosi sulla Causal Layered Analysis come approccio ai futuri alternativi. La conversazione è stata interessante e ricca. Ma il punto è capire come usare la AI, non spaventarsi o lasciarsi prendere dall’entusiasmo di determinati prodotti rispetto ad altri. Non sappiamo ancora quale modello e quale paradigma vincerà. Tuttavia, il senso dei possibili cambiamenti è chiaro. La sfida nella scuola è accettarla, non scoprire se esiste, perché esiste. È capire che deve essere integrata e che anzi, cambia tutto e libera molte energie. Nelle scuole degli Emirati Arabi Uniti tutti possono usare l’intelligenza artificiale: non c’è un giudizio negativo, però gli esami sono fatti in modo tale che non si possano trovare le risposte usando ChatGTP».
«In generale, la sfida per la scuola è cambiare modo di lavorare e cominciare a insegnare altre cose: il pensiero critico, la filosofia, le competenze emozionali. La scuola deve cambiare molto velocemente, cominciando subito, e deve insegnare delle cose che siano strumenti utili per il modo con il quale prende forma non solo l’insegnamento ma anche i bisogni successivi per operare nella società. Strumenti utili per operare nel mondo. Quel che cambia in maniera straordinaria dovrà innanzitutto essere il ruolo dell’insegnante, che deve diventare consulente, curatore, guida, consigliere, supporto emozionale. Questo è il momento migliore per gli insegnanti: potranno fare quel che amano di più e non dovranno più perdersi nella burocrazia o negli aspetti meccanici del lavoro. Dovranno invece aiutare a fare la differenza e far crescere gli studenti insegnando loro i modi per pensare, non quello che devono ricordare».
Il cambiamento è legato alle narrazioni
Il cambiamento però è legato anche e soprattutto al cambiamento delle narrazioni e delle metafore che utilizziamo per definirci o per “vedere” i contesti in cui ci muoviamo. Le forze dell’ordine sono un esempio perfetto, secondo Sohail Inayatullah. A Singapore l’Interpol dal 2014 ha il suo terzo centro di controllo e coordinamento (dopo il primo di Lione e poi quello aperto a Buenos Aires nel 2011). È a Singapore che è possibile spiegare qual è la differenza tra i bisogni di sicurezza della società e le strategie per rispondervi da parte dell’organizzazione internazionale delle polizie criminali di 195 paesi e il mondo reale. Cioè il Dark Web.
«Durante un incontro con i dirigenti è bastato far vedere che in cinque minuti era possibile entrare nel Dark Web, identificare un venditore di armi e comprare uno stock di fucili automatici, fissando pagamento e consegna, per fargli capire che il mondo è effettivamente diverso da parte dei loro schemi e delle loro narrazioni. Questo è stato necessario per dare un esempio concreto di com’è fatto il mondo, di quali sono stati i cambiamenti e di qual è la portata delle sfide che devono essere affrontate. Se i temi oggi sono l’ambiente, il digitale, l’innovazione tecnologica, le domande allora diventano: abbiamo una idea di cosa sia la corruzione per l’ambito del green? E per il mondo digitale? Per il settore della privacy e della proprietà intellettuale? Ci sono le categorie per pensare questo tipo di reati e i modi per contrastarli? Come facciamo a immaginare tutto ciò?».
«Deve essere ridefinita la narrazione ma l’obiettivo, cioè assicurarsi che il mondo vada avanti in modo sicuro, nel caso dell’Interpol rimane lo stesso. Ma per altre organizzazioni non è necessario che rimanga lo stesso. Per l’Interpol quello che c’è di sicuro è che adesso è diventato molto più difficile di prima o comunque diverso perseguire l’obiettivo della sicurezza mondiale. Saperlo consente però di modellare il futuro nel modo che si vuole. È come il problema del cambiamento climatico, del quale i governi non volevano parlare per vari motivi ma, dopo che la pandemia che ha mostrato che possono succedere cose previste ma considerate “impossibili”, è diventato un’altra cosa. Il covid, tra l’altro, è stato una tragedia in molti paesi, tra i quali da voi in Italia, ma è stato anche molto altro. Ad esempio, è stato un modo per rallentare e ripensare a come fare tantissime cose diverse. Senza poter viaggiare abbiamo cominciato a usare la tecnologia in maniera differente e questo ha offerto l’opportunità di analizzare alcuni possibili futuri dell’uso della tecnologia per l’insegnamento, come dicevamo. Ma la pandemia e il lockdown hanno permesso di ripensare anche il modo con il quale si viaggia, una volta riaperte le frontiere. Oppure come si lavora, con lo smart working».
Qui il cambiamento è più profondo e sta accadendo adesso. È un cambiamento vicino a quello dell’alimentazione. La carne che viene prodotta in laboratorio o la carne vegetale sono diventate un elemento fondante un cambiamento di sensibilità causato dal riscaldamento climatico. Ma sono anche un cambiamento culturale perché il modello di alimentazione basato sulla carne animale – e quindi gli allevamenti intensivi e tutto quello che c’è di collegato – è una narrativa di stampo prettamente occidentale (sono le culture occidentali i principali consumatori di carne animale) che ha tenuto indietro invece visioni alternative dell’alimentazione e di tutta la filiera che c’è dietro.
«In questo momento modellare un differente modo di mangiare – dice Sohail Inayatullah – porta con sé anche delle scelte differenti: l’uso della tecnologia o di altri tipi di risorse e approcci naturali? Quali relazioni – non solo tecnologiche, economiche o culturali ma anche spirituali ed esistenziali – a identificare i futuri alternativi per sceglierne uno? Si comincia assaggiando le carni sintetiche e vegetali, e da lì si costruisce il percorso cercando insieme, pensando, parlando, scoprendo».
C’è divergenza tra il lavoro e la realtà sociale
La tecnologia e il lockdown, ad esempio, per quanto riguarda il lavoro in Europa e negli Usa, hanno messo in evidenza che le aziende si muovono su una direttrice divergente rispetto a ciò che succede davvero nella realtà sociale sottostante.
«C’è bisogno di connessione, ma il punto è che il lavoro viene immaginato ancora come un lavoro in fabbrica, dove c’è una catena di montaggio, un controllo sulla presenza e le attività degli operai, una retribuzione basata sulla fatica moltiplicata per il tempo con cui questa viene eseguita. Invece, siamo entrati in un’epoca di lavoro profondamente diverso, la cui base non deve essere il controllo e il tempo ma la fiducia e il risultato. Un tempo in cui per i lavoratori della conoscenza un progetto che richiedeva un mese può essere fatto in 35 minuti con ChatGPT. Bisogna disimparare e imparare di nuovo a fare le cose: sia per chi le fa che per chi paga per farle fare. C’è uno spazio enorme per portare lo spirito delle persone in un’altra modalità di funzionamento. Dobbiamo trovare delle storie che permettano di rendere tutte le persone felici, passando dal lavoro “duro” al lavoro “smart” con un’attitudine positiva. Questo spostamento di mentalità e narrazione cambierà anche le fabbriche, che sono diventate più piccole e hanno i robot che fanno molte cose e quindi anche qui il modo legato al controllo e alla fatica cambia completamente. La narrazione che sta emergendo è che le persone vogliono un lavoro completamente diverso nel bilanciamento tra tempo di fatica e tempo di vita: vogliono vivere, viaggiare, vedere altri posti, prendersi cura di sé stessi, avere tempo e andare piano, non sempre più veloce. Questo ha cambiato anche il modo con cui si viaggia».
Pensare e agire da futurista (non basta parlare di futuro per fare il futurista)
Il lavoro di futurista è stimolante anche e perché è un lavoro che lega assieme competenze e ambiti del sapere completamente diversi: onnicomprensivo. Ma è anche un lavoro che permette di incontrare molte persone diverse, partecipare attivamente nei processi di cambiamento e comprensione. Sohail Inayatullah è entusiasta di incontrare ogni settimana gruppi di persone diversi in paesi differenti con problemi e bisogni i più vari che sia dato immaginare. Il cambiamento, il lavoro del futurista, passa attraverso l’incontro con i bisogni delle persone e i modi che hanno per vederli e immaginarli. Occorre avere dei luoghi in cui essere faccia a faccia, connessi in maniera interattiva. Passa attraverso un confronto che non si basa e soprattutto non si esaurisce con una presentazione fatta su PowerPoint o con un talk a cui segue una corsa in taxi verso l’aeroporto e un’altra destinazione il giorno dopo.
«Non siamo qui per spaventare o per dare falsi sogni. Questo lavoro mi porta in situazioni che non conosco, in stanze dove non sono la persona più intelligente, e il mio scopo è avere un metodo che consenta di facilitare chi è presente. Il mio scopo è lavorare con gli altri: in questa attività c’è una intelligenza emotiva e una parte spirituale perché è necessario essere connessi in maniera più profonda. Quando le persone vogliono andare avanti, guardare al futuro, non vogliono essere preoccupate o agitate. Vogliono essere sicure del fatto di poter andare avanti. Quindi bisogna lavorare anche per i traumi e il dolore che impediscono di andare avanti: devono essere accolti, curati e guariti. E poi occorre aver letto filosofi e storici, oltre che scienziati ed economisti, per cogliere il senso di situazioni complesse, ricche, difficili. Bisogna capire cosa cambia e cosa non sta cambiando, e chi sono i gruppi che cambiano. Di solito solo quelli che vivono fuori dal castello delle certezze, ma non tutti vogliono il cambiamento per il bene: alcuni cercano di cambiare le regole per trarne un vantaggio personale anziché un bene collettivo. Tutti disegnano e desiderano futuri possibili. Ritengo che siano da preferire i futuri in cui a migliorare siamo tutti e non solo alcuni: ci sono corsi e ricorsi della storia che bisogna conoscere e quindi aver letto ad esempio il vostro Giambattista Vico. Alla base c’è un’idea: quella della connessione, che è il modo con il quale le persone hanno le idee».
In un mondo in cui green ed energia diventano sempre più rilevanti, il salto culturale ad esempio di una utility dell’energia è costruire una nuova metafora e forma di narrazione per rappresentare il suo valore in un contesto che cambia radicalmente. Questo passaggio è essenziale.
«Pensare da futurista vuol dire chiedersi quale sia la vera storia di quel che sta succedendo. Con grande onestà il Financial Times all’epoca della crisi dei subprime aveva scritto “Non sappiamo quale sia la vera storia di questa crisi: è una crisi delle banche? Dei regolatori? Del mercato dei mutui? Del reddito della classe media?”. È il tipo di domande che bisogna porsi per trovare delle risposte. Occorre aprirsi a guardare questo tipo di domande per l’opportunità che offrono nell’identificare la narrazione in cui siamo e capire come possa essere cambiata verso un futuro che trasforma radicalmente il mondo sottostante».
«Ad esempio, una compagnia elettrica, la cui idea di se stessa è quella di un’azienda che fornisce l’energia, come si trasforma e cambia narrativa in un mondo in cui sono le case degli utenti a produrre energia con le rinnovabili, come il fotovoltaico? L’idea per loro è quella di diventare soggetti che guidano gli utenti verso nuove avventure, facendogli scegliere l’avventura che vogliono per la “loro” energia, dell’energia che hanno prodotto con i loro pannelli solari».
«Bisogna cambiare il punto di vista, come ho fatto con un gruppo di atleti olimpici del nuovo che avevano imparato fin da bambini ad essere super-competitivi cercando il “golden second”, la frazione di tempo che trasforma una vita di sacrifici e sforzi in una medaglia d’oro. A queste persone, che fuori dalla piscina, a carriera finita, non riescono ad adattarsi a un mondo in cui i valori sono altri rispetto a quello della competizione a tutti i costi, ho proposto ad esempio l’idea della “golden life”, fatta di cooperazione per vivere una vita di valore collaborando con gli altri: sul lavoro, in famiglia, nel privato, nella società. È il cambiamento delle narrazioni, che poi sono il modo con il quale funzioniamo come individui, società e gruppi».
I futuri, alla fine, sono i racconti che ci facciamo.