Gli studi di futuro, noti anche come Futures Studies (la cui traduzione corretta dovrebbe essere studi sui futuri, mantenendo il plurale di entrambi), rappresentano una disciplina e un campo di indagine che, con metodo, sfrutta il pensiero sistemico, l’immaginazione e la creatività per l’esplorazione e la creazione di diversi possibili futuri. L’obiettivo è sviluppare e allenare pensiero e abilità di anticipazione (“usare” il futuro come strumento) per elaborare scenari e analizzarne gli impatti, in modo da fronteggiare, per tempo, i grandi e veloci cambiamenti sociali, tecnologici, economici, politici, culturali…
Jennifer Gidley, futurista di fama internazionale, psicologa e in passato presidentessa della World Futures Studies Federation, nel suo libro “The Future: a very short introduction”, definisce il futuro come «né unico né statico, ma molteplice e in evoluzione», fotografando quella che, oggi, è l’anima dei Futures Studies e il pensiero di fondo che li contraddistingue.
Anche Roberto Paura, Direttore dell’Italian Institute For The Future, al quale si deve l’edizione italiana del testo di Gidley (2021), in un’interessante intervista – “Roberto Paura, l’approccio moderno ai Futures Studies” – nel delineare l’ambito degli Studi di Futuro fa riferimento ai «futuri plurimi» che, proprio perché tali, «non possono essere previsti in modo deterministico, ma anticipati».
Secondo questa visione, “il” futuro, dunque, non esiste.
Esistono “i” futuri (o i “futuribili”, come amava chiamarli Bertrand de Jouvenel, uno dei fondatori di questa disciplina), dai quali i futuristi cercano di cogliere «le grandi tendenze, ossia i cosiddetti “megatrend”, le incognite responsabili di discontinuità radicali, i fenomeni emergenti e gli scenari più probabili», afferma Paura.
Cosa sono i Futures Studies (o Studi di Futuro)
L’americano Walter Warren Wagar, storico e studioso di Futures Studies, nel secolo scorso indicò lo scrittore inglese Herbert George Wells quale fondatore degli Studi di Futuro. Al di là di questo riconoscimento, è interessante comprendere la motivazione che lo ha guidato, perché essa contiene il significato profondo degli studi di futuro.
Wells, nel libro “Anticipations of the Reaction of Mechanical and Scientific Progress Upon Human Life and Thought: An Experiment in Prophecy”, pubblicato nel 1901 su The Fortnightly Review, fece qualcosa di mai tentato prima: anticipò come sarebbe stato il mondo nel 2000, immaginando cambiamenti socio-politici, economici, tecnologici e scientifici.
Addirittura, in “The World Set Free”, opera del 1914, arrivò ad anticipare l’invenzione della bomba atomica e una ventina di anni dopo a sostenere l’istituzione di una “scienza del futuro”, anticipando di circa quarant’anni l’avvio dei moderni studi accademici in materia.
Nell’anticipare i cambiamenti risiede il cuore degli Studi di Futuro.
A caratterizzare questo ambito di studi è l’approccio sistematico e interdisciplinare col quale i futuristi, identificando le tendenze emergenti e in evoluzione nella società, nell’economia, nella politica e nel tessuto culturale, sviluppano processi anticipatori relativi a nuovi modi di vivere, di organizzare le aziende e di lavorare, che a loro volta condurranno a realtà alternative.
La già citata World Futures Studies Federation – organizzazione internazionale no-profit e partner UNESCO, che riunisce i futuristi di tutto il mondo – fin dal suo esordio, nel 1973, ha fatto proprio l’uso del plurale, sostenendo l’espressione “Studi sui Futuri”, prendendo così le distanze dalle teorie del passato sul futuro unico, predeterminato e prevedibile e da tutte quelle figure professionali che, a vario titolo, si occupano del futuro senza, tuttavia, anticiparlo.
Secondo la WFSF, fra i tratti distintivi dei Futures Studies c’è innanzitutto un processo anticipatorio dagli orizzonti temporali medio-lunghi, che si proietta verso un arco di tempo compreso tra i cinque e i dieci anni (e oltre) e che, anziché esplorare cambiamenti limitati ad ambiti specifici e riferiti a determinate aree, possiede uno sguardo assai ampio che abbraccia tutte le componenti della società, della tecnologia, della politica, dell’ambiente e dell’economia a livello globale.
Gli studi sui futuri (più comunemente chiamati anche con il nome della disciplina “futurologia”) sono tesi a individuare sia le “grandi forze”, i megatrend, i macro-fenomeni capaci di cambiare gli assetti sia tutti quei segnali non immediatamente percepibili e talora celati (segnali deboli) che possono però fornire utili “suggerimenti” nell’esplorazione dei futuri possibili e alternativi. E, proprio perché in aperta contrapposizione a un futuro già noto e determinato, gli studi di futuro incoraggiano le persone, le organizzazioni e le aziende a realizzare le proprie visioni di futuro arrivando ai futuri desiderabili.
Ai futuri desiderabili rimanda anche il futurista Sohail Inayatullah – UNESCO Chair in Futures Studies presso l’Universiti Sains Islam Malaysia e docente al Graduate Institute of Futures Studies della Tamkang University di Taipei, a Taiwan – sintetizzando il passaggio, a partire dalla metà degli anni Sessanta, cioè da quando i Futures Studies hanno iniziato a imporsi quale disciplina accademica, «da un approccio basato sulla previsione del futuro, alla mappatura di futuri alternativi e alla creazione di futuri desiderati, sia a livello collettivo che a livello individuale».
Nel corso dei decenni – sottolinea Inayatullah nel suo testo “Futures Studies: Theories and Methods” – il susseguirsi di eventi che hanno portato a discontinuità e a rotture degli equilibri, come crisi economiche, crisi energetiche, guerre e tensioni geopolitiche, ha costretto le organizzazioni a modificare più volte le proprie strategie, al punto da indurle a guardare all’incertezza come a un cambiamento da accogliere (e non da rigettare) e dal quale ripartire per costruire percorsi alternativi.
L’impatto dell’anticipazione del futuro
Da diversi decenni ormai, nell’ambito dei Futures Studies / Studi di futuro – osserva il Direttore dell’Italian Institute For The Future, Roberto Paura – esistono think tank che si occupano di consulenza in tema di corporate foresight (o foresight strategico), ovvero di previsione strategica orientata alle aziende, il cui impiego è di aiuto nel prendere decisioni sulla base dell’analisi degli scenari di futuro alternativi.
«Sebbene non sempre ne siano consapevoli, tutte le organizzazioni, al proprio interno, svolgono studi previsionali. Il solo fatto di definire una strategia per il prossimo anno è un esercizio di previsione» fa notare Roberto Paura.
Rispetto, però, a queste attività previsionali a breve termine, il metodo del foresight strategico amplia l’arco temporale per costruire scenari a medio e lungo termine il cui obiettivo è anticipare quelle trasformazioni socio-economiche che richiedono alle cambiamenti radicali oppure anticipare le conseguenze di potenziali crisi o capire quali sono gli elementi più vulnerabili per la propria organizzazione (intesa sia come azienda, privata o pubblica, ma anche come organizzazione sociale, politica, economica…), arrivando a mettere a punto strategie più robuste sul lungo periodo.
Quali sono i benefici degli studi di futuro? In primis, le organizzazioni che possiedono maggiori capacità di anticipazione, sono quelle con una maggiore sostenibilità sul lungo periodo. E questo perché sviluppano una forte consapevolezza riguardo a quelle tendenze e a quei fenomeni capaci di avere un impatto, positivo o negativo, sul futuro della propria realtà, oltre alla predisposizione verso eventuali azioni correttive.
L’atteggiamento proattivo è un’altra conquista dell’anticipazione del futuro, perché volto a monitorare gli orizzonti col fine di individuare sia le opportunità sia le minacce che potrebbero impattare sulle attività future, col vantaggio di intervenire per tempo.
Guardando alle aziende, uno dei casi maggiormente citati dai futuristi impegnati in attività di corporate foresight, è quello della multinazionale britannica attiva nel settore petrolifero – Shell – che, tra gli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta introdusse all’intero dell’azienda il metodo del foresight per meglio comprendere le dinamiche del proprio mercato, riuscendo così ad anticipare, prima delle altre aziende del settore, le conseguenze della crisi energetica del 1973 e, dunque, a prepararsi per affrontarle mettendo in campo decisioni importanti.
L’abitudine a mappare i futuri e la consuetudine alla pianificazione strategica tesa a indirizzare il corso degli eventi verso gli scenari desiderati sono in grado di cambiare il modo in cui le organizzazioni operano (ancora un volta siano esse aziende privati o pubbliche oppure organizzazioni sociali, politiche, ecc.), guidandole verso un processo di trasformazione più profondo rispetto alla risposta reattiva agli avvenimenti o all’innovazione fondata sul mero sviluppo di nuovi prodotti e servizi o di nuove tecnologie.