Video intervista a Marco Giordani, professore a contratto presso il Dipartimento di Ingegneria dell’informazione dell’Università di Padova e membro del Gruppo di ricerca SIGNET dello stesso Ateneo.


6G e comunicazione mobile sono già al centro di studi e ricerche volti a gettare le basi di quella che sarà la sesta generazione di reti wireless, pronta – secondo le stime degli esperti – per il 2030.

E intanto di rincorrono notizie e anticipazioni, che annunciano – tra le molteplici novità – una connettività allargata, ancora più veloce e affidabile, degna di una società nel vivo della sua trasformazione digitale.

Per poter supportare le nuove esigenze di connessione, si deve innanzitutto prevedere uno sviluppo tecnologico che superi il 5G, in primis sul piano della velocità di connessione, elevando la frequenza in cui operano attualmente i dispositivi.

In tema di 6G e comunicazione mobile, rincorrere frequenze sempre più alte non è, però, privo di conseguenze, in quanto implica la diminuzione del raggio di copertura di ogni cella radio che, lo ricordiamo, all’interno di una rete ditelefonia mobile, rappresenta l’elemento unitario.

In particolare, la diminuzione del raggio di copertura di ogni cella significa dover prevedere la presenza di molteplici celle per densità di area, fattore – questo – che, a sua volta, va a incidere negativamente sul trasferimento da una cella all’altra.

Da qui, l’idea di caratterizzare i dispositivi 6G con tecnologie di multi-connettività, in grado di estendere gli attuali confini delle celle, consentendo agli utenti di connettersi alla “rete” – anziché a una singola cella – attraverso più tecnologie.

Ma, quando si parla di 6G e comunicazione mobile del futuro, si fa riferimento anche alle tecniche che fanno capo all’ambito di studi sull’intelligenza artificiale che, con la nuova rete wireless, avranno un ruolo ancora più nodale, andando oltre i compiti di classificazione dei dati e di previsione.

In particolare, saranno le tecniche di machine learning ad essere maggiormente impiegate. Ma non tanto quelle tradizionali, quanto quelle che attengono a una nuova branca dell’apprendimento automatico, nota come apprendimento federato, che permette di addestrare un algoritmo attraverso l’utilizzo di dispositivi decentralizzati (o server), che mantengono i dati senza la necessità di scambiarli.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin