Un team di accademici scozzesi ha scoperto come allungare la durata d’impiego della plastica, facendo addirittura un ingrediente da cucina. La chiave sta in un batterio, l’Escherichia coli, che sarebbe alla base del processo che porta alla produzione della vanillina, attraverso il prezioso contributo delle biotecnologie.
TAKEAWAY
- L’inquinamento da plastica sta raggiungendo proporzioni enormi, riempendo oceani e continenti di una materia difficilmente smaltibile.
- La biotecnologia, in quanto disciplina che attinge all’immenso universo della vita, può rappresentare la via d’uscita da uno dei maggiori disastri del XXI secolo.
- All’Università di Edimburgo un pool di ricercatori, partendo da un batterio dell’intestino umano, ha trasformato delle resine artificiali in una molecola aromatizzante.
Sulle biotecnologie e riciclo plastica si concentra la sfida che coinvolge le menti più brillanti del pianeta nel partorire delle best practices per un avvenire migliore. La plastica è un insieme di macromolecole ottenute dalla raffinazione del petrolio e perciò ha un lasso lunghissimo di decomposizione. Basti pensare che un sacchetto di tale fattura, se disperso, può scomparire solamente dopo cento anni, una bottiglia dopo mille.
Bisognerebbe rivedere un sistema complesso che va dagli imballaggi agli oggetti monouso, i quali a partire dal 3 luglio 2021 saranno vietati all’interno dei confini dell’Unione Europea. Decisione che si affianca ad una tassa, dell’entità di 0,45 centesimi di euro, stabilita per ogni kg di manufatti di questo tipo lungo la penisola italiana.
Saranno a breve ritirati dalla vendita sia piatti che posate e bicchieri usa e getta, come anticipato nel 2019 da una direttiva comunitaria che aveva lasciato ai singoli stati il tempo necessario per adeguarsi al cambiamento.
Esclusi dalla faccenda, al momento, mascherine e guanti, mentre spariranno sicuramente cannucce, cotton fioc, palloncini. Potranno essere distribuiti, e acquistati, solo se riutilizzabili o, meglio ancora, se concepiti in carta o con procedimenti all’insegna della sostenibilità.
Un modus operandi che, sul territorio nazionale, è confermato dal credito d’imposta, pari al 10%, per chi si dirige verso la gamma del compostabile, aggettivo indicante ciò che, una volta divenuto rifiuto, si riduce a concime per il terreno.
Sulla scia appena descritta, si pone una scoperta che giunge dalla Gran Bretagna, dove è stata trovata una destinazione innovativa per la spazzatura costituita dalla plastica che, altrimenti, andrebbe incenerita o accumulata in discarica. Scopriamo di che cosa si tratta.
Biotecnologie e riciclo plastica: dal polietilene ereftalato (PET) alla vanillina
Il punto di partenza da tenere presente è il Polietilene Tereftalato (PET), polimero molto utilizzato nel comparto alimentare per la sua resistenza al caldo e al freddo, una caratteristica essenziale per proteggere i cibi. Annualmente se ne buttano milioni e milioni di chili, con un impatto impressionante sull’ecosistema che potrebbe essere evitato. Come?
Per contrastarne l’espansione, la dott.ssa Joanna C. Sadler e il dott. Stephen Wallace dell’Università di Edinburgo hanno portato a termine una pubblicazione intitolata “Microbial synthesis of vanillin from waste poly(ethylene terephthalate”, diffusa l’11 giugno 2021 sulla rivista Green Chemistry.
Il fulcro è nel binomio biotecnologie e riciclo plastica: poiché, nel corso delle sperimentazioni, è stato preso in considerazione l’Escherichia Coli, batterio che si trova normalmente nella flora intestinale dell’uomo, precisamente nel colon, ultimo tratto dell’apparato digerente.
Attraverso procedure di ingegnerizzazione, i due esperti, insieme ad alcuni collaboratori, ne hanno mutato il DNA al fine di renderlo protagonista di un interessante fenomeno.
Le sue cellule si sono rivelate in grado di sintetizzare l’acido tereftalico, componente del PET, una notizia che apre uno spiraglio importante nella fase successiva al consumo. C’è da chiedersi ora in che direzione è stata modificato il composto in questione.
La risposta si chiama vanillina, sostanza che si ottiene dal trattamento della polpa di legno e che serve come aromatizzante in bibite e gelati, ma anche in profumi e oli lubrificanti. Per completezza d’informazione, bisogna aggiungere che non va confusa con l’estratto di vaniglia, spezia usata comunemente in creme e torte, e ricavata da un’orchidea coltivata soprattutto in Messico e Madagascar. La dott.ssa Sadler, BBRSC Discovery Fellow dell’ateneo edimburghese e firma principale dell’articolo, ha dichiarato:
“Abbiamo trovato un metodo per trasformare qualcosa di apparentemente inutile in una sostanza chimica con implicazioni nella cosmetica e nell’industria dolciaria. I risultati raccolti sono la dimostrazione che le biotecnologie possono essere determinanti nella difesa dell’ambiente”
L’intervento dal punto di vista genetico ha portato ad una conversione pari al 79%, dunque con pochissimi residui che, per il futuro, gli scienziati puntano ad annullare del tutto.
Tra le biotecnologie e riciclo plastica non è il primo incontro. Nell’aprile 2020 sulle pagine di Nature uno studio dell’Università di Tolosa spiegava che, tramite un enzima, si potevano riciclare contenitori e imballi in poliestere in appena dieci ore.
Le prospettive della ricerca
In tema di biotecnologie e riciclo plastica, la scelta del team è stata vincente. “L’impresa – ha commentato il dott. Wallace – è una sfida che porta, all’attenzione della comunità, sviluppi sorprendenti per risorse appartenenti alla famiglia del carbonio”.
D’ora in avanti, l’impegno degli studiosi consisterà nell’intensificare e ottimizzare il lavoro svolto sinora, al fine di estendere eventualmente la prassi ad altri elementi che fanno parte del nostro metabolismo.
Un parametro su cui essi si concentreranno ancora è la temperatura, che, durante la reazione, è stata abbassata 30 °C a 22 °C, uno sbalzo che ha fatto in modo di migliorarne la resa di cinque volte, cosa che non è avvenuta tuttavia diminuendo ulteriormente fino a 16 gradi. Così come ha avuto un ruolo fondamentale la sovrapposizione di solventi, cioè di liquidi che riescono a sciogliere conformazioni a loro vicine.
A livello pratico, le conclusioni del team, come possiamo notare, hanno una doppia valenza. Da un lato partecipano attivamente al riciclo dei rifiuti, dall’altro allargano le vedute dell’attuale mercato della vanillina sintetica, in continua crescita per soddisfare una domanda che si aggira intorno alle 40mila tonnellate.
Numeri che, di recente, hanno superato quella proveniente da fonti naturali, ma ben venga se da un grande problema può nascere un’opportunità. Gli snack, e non solo, potranno avere adesso un buon sapore che sia, al contempo, green e indice di un mondo più pulito.