Le tecniche chirurgiche minimamente invasive hanno migliorato notevolmente i risultati per i pazienti, riducendo tempi di recupero e rischi post-operatori. L'evoluzione della chirurgia robotica, con dispositivi all'avanguardia come il sistema da Vinci e il suo approccio Single-Port, rappresenta un ulteriore passo avanti, offrendo interventi ancora più mirati e meno impattanti.
“Grande taglio, grande chirurgo”. Un tempo, sicuramente non molti decenni fa, la bravura e la destrezza di un chirurgo venivano misurate in base alla lunghezza del taglio e della cicatrice operati sui pazienti.
Ed è proprio nello smantellamento di quello che oggi possiamo definire un “falso mito” che troviamo una delle conferme più evidenti di come le tecniche chirurgiche siano evolute negli anni e di come la chirurgia minimamente invasiva rappresenti un obiettivo sul quale si stanno concentrando le ricerche e gli sviluppi nell’ambito biomedicale.
La chirurgia minimamente invasiva, dalla laparoscopia alla robotica, comporta la realizzazione di incisioni più piccole rispetto alla chirurgia aperta tradizionale. Questo approccio offre diversi benefici per il paziente, tra cui riduzione dei tempi di degenza ospedaliera, tempi di recupero più rapidi, minori cicatrici e diminuito rischio di infezioni.
Takeaway
Chirurgia minimamente invasiva: l’evoluzione delle tecnologie
Va detto che l’interesse dei medici a “guardare negli organi interni” ha radici antiche. Alcuni studiosi attribuiscono l’invenzione della tecnica endoscopica addirittura a Ippocrate (460-377 BC), che effettuò un’esplorazione rettale attraverso una sorta di speculum.
Il merito dello sviluppo dell’endoscopia moderna va a Philipp Bozzini, che inventò un conduttore di lucechiamato “Lichleiter“, che consentiva di ispezionare l’orecchio, l’uretra, il retto, la vescica femminile, la cervice, la bocca, la cavità nasale o le ferite, superando il problema della scarsa illuminazione degli organi osservati.
Nel 1853, Antonin Jean Desormeaux fu il primo a introdurre il “Lichtleiter” di Bozzini in un paziente. Ulteriori sviluppi, verificatisi anche in modo indipendente gli uni dagli altri, se pure quasi simultaneamente sulla linea temporale, hanno portato a importanti evoluzioni nell’endoscopia e nella laparoscopia, ponendo le basi per gli strumenti attualmente utilizzati nelle sale operatore.
Nel 1901, Georg Kelling coniò il termine “coelioskope”, “celioscopio”, per descrivere la tecnica che utilizzava un cistoscopio per esaminare la cavità addominale dei cani. E fu nel 1910, che il medico svedese Hans Christian Jacobaeus usò per la prima volta il termine “laparotorakoskopie“.
Nel 1938, l’internista ungherese János Veress sviluppò l’ago a molla per drenare l’ascite ed evacuare fluidi e aria dal torace. Le modifiche apportate negli anni allo strumento rendono oggi l’ago “Veress” uno strumento perfetto per ottenere un pneumoperitoneo durante la chirurgia laparoscopica
Nel 1970, Harrith Hasson sviluppò una tecnica per eseguire la laparoscopia attraverso una piccola incisione leparotomica. La prima telecamera a stato solido fu introdotta nel 1982, segnando l’inizio della “video-laparoscopia“. Nel 1981, Kurt Semm eseguì la prima appendicectomia laparoscopica. Entro un anno, tutte le procedure chirurgiche standard venivano eseguite laparoscopicamente.
Non solo una questione di tecnica o di strumenti
Va detto che l’evoluzione della chirurgia e il cambiamento nei rapporti tra medici e pazienti nel corso dei secoli sono stati profondamente influenzati da innovazioni tecnologiche e cambiamenti culturali.
In particolare, l’introduzione della colecistectomia laparoscopica negli anni ’80 e ’90 ha segnato un punto di svolta, prendendo in giusta considerazione le comprensibili preferenze dei pazienti per procedure meno invasive.
Le nuove tecniche sono state accolte con grande entusiasmo sia dai pazienti che cercavano opzioni chirurgiche con minori tempi di recupero e meno dolore, sia dai chirurghi che vedevano nelle nuove metodologie un modo per ridurre i rischi senza compromettere i risultati.
La chirurgia minimamente invasiva è diventata simbolo di un approccio più centrato sul paziente, contrapponendosi alle pratiche più invasive del passato, che spesso riflettevano un approccio più autoritario alla cura. Anche in questo caso non siamo di fronte a un fenomeno nuovo.
La storia della chirurgia mostra anche che il desiderio dei pazienti di influenzare il proprio trattamento non è un fenomeno moderno. Già nel XVIII secolo, i pazienti istruiti negoziavano trattamenti con i loro medici, mantenendo un certo grado di potere decisionale.
Questo potere si ridusse nel XIX secolo con l’ascesa della medicina ospedaliera, quando i medici iniziarono ad avere quasi il monopolio dell’espertizzazione scientifica. Nonostante ciò, i pazienti e le loro famiglie hanno continuato a giocare un ruolo cruciale nel processo decisionale chirurgico.
La tensione tra l’autorità medica e le preferenze dei pazienti è rimasta una costante: una dicotomia che si riflette nelle controversie storiche, nelle quali le decisioni dovevano bilanciare la scienza emergente con le esigenze e i desideri dei pazienti.
La chirurgia robotica
L’uso dei robot chirurgici fu ipotizzato per la prima volta nel 1967, ma ci vollero quasi trent’anni di collaborazione tra il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, startup innovative e agenzie di ricerca stabilite per sviluppare il primo robot chirurgico multipurpose completamente funzionante.
I prototipi iniziali di robot chirurgici erano specializzati e orientati a interventi specifici, soprattutto per chirurgie a distanza su traumi in contesti bellici. Il motore di questa innovazione fu la necessità del Dipartimento della Difesa di ridurre le vittime in campo di battaglia, con la DARPA che giocò un ruolo chiave nella ricerca e sviluppo di alto rischio.
Va detto che le operazioni a distanza, negli anni ’80 e ’90, erano problematiche a causa delle imprecisioni nella trasmissione dei segnali da remoto Tuttavia, si è poi scoperto che potevano essere estremamente utili anche nei contesti civili: l’uso dei bracci robotici poteva rappresentare un significativo vantaggio per affinare la precisione e l’efficienza delle mani del chirurgo.
Negli anni, tecniche e obiettivi si sono evoluti: negli anni Ottanta dello scorso secolo fu sviluppato, all’ospedale Sutter General di Sacramento, Robodoc, primo sistema ortopedico guidato da immagini per la sostituzione dell’anca.
Poi fu la volta di PUMA 200, il primo robot a essere mai stato usato in neurochirurgia nel 1985, e via via di altri sistemi sviluppati nel campo della neurochirurgia e dell’otorinolaringoiatria.
È, dunque, un percorso lungo più di 40 anni quello che ha portato allo sviluppo di sistemi robotici teleoperati multipurpose, che sono diventati oggi uno standard di cura.
Come funziona la chirurgia robotica
Di fatto, la chirurgia robotica è una forma di chirurgia minimamente invasiva che utilizza un sistema chirurgico comprendente uno o più bracci robotici specializzati che manipolano gli strumenti chirurgici e una telecamera.
La telecamera fornisce una vista ingrandita del sito chirurgico su uno schermo, mentre il chirurgo opera da una console.
Il sistema chirurgico robotico consente movimenti più precisi, cruciali in operazioni delicate o complesse. I chirurghi controllano i bracci robotici da una console, muovendo gli strumenti miniaturizzati e unatelecamera tridimensionale ad alta definizione all’interno del corpo del paziente. Questa configurazione non solo migliora l’accuratezza del chirurgo, ma aumenta anche il suo raggio di movimento e la sua destrezza durante le procedure.
Uno degli aspetti più significativi della chirurgia robotica è che è completamente controllata dal chirurgo. Il sistema robotico non agisce autonomamente: traduce i movimenti manuali del chirurgo in azioni più precise eseguite dagli strumenti robotici. Ciò assicura che il chirurgo mantenga il controllo dell’operazione, beneficiando delle capacità potenziate del sistema robotico.
L’uso della robotica in chirurgia è stato associato a minori complicazioni, riduzione della perdita di sangue e un ritorno più rapido alle attività normali per i pazienti.
La chirurgia robotica può essere applicata a una varietà di condizioni mediche e sta diventando sempre più comune in campi come l’urologia, la ginecologia e la cardiochirurgia toracica.
Tuttavia, non tutti i chirurghi sono formati per usare i sistemi robotici. E la sicurezza e l’efficacia della tecnologia dipendono significativamente dall’esperienza del chirurgo e dalle circostanze specifiche di ogni singolo caso trattato.
Da Vinci: dal robot a 4 bracci al single port
Tra i sistemi che negli anni hanno ricevuto maggiore riconoscimento (e adozione) nel campo della chirurgia assistita da robot, troviamo i robot da Vinci, sviluppati inizialmente da Intuitive Surgical, in California, nel 1995 e basati sul concetto di telepresenza chirurgica, sviluppato originariamente da Phil Green di SRI (già Stanford Research Institute). Il sistema da Vinci è composto da tre componenti principali:
- la console del chirurgo, dotata di un sistema di visione stereoscopica binoculare che trasmette le immagini in 3D del campo operatorio, permettendo una percezione immersiva
- il carrello del paziente (robot), che supporta bracci articolati dotati di giunture (Endowrist) che replicano i movimenti del polso umano con sette gradi di libertà, migliorando la precisione degli strumenti chirurgici
- il sistema di imaging, che include una fonte di luce, un insufflatore e una doppia camera per trasmettere le immagini agli osservatori e al personale accanto al paziente
Da Vinci era stato originariamente progettato per la chirurgia cardiovascolare e nel tempo ha trovato applicazione in diverse altre aree, come la ginecologia, l’urologia, la chirurgia colorettale e bariatrica. La facilità di manipolazione e l’ampia ampiezza di movimento dei bracci e degli strumenti lo rendono particolarmente efficace in interventi che richiedono l’accesso a più quadranti dell’addome.
Il riconoscimento delle autorità sanitarie è un passo cruciale per l’implementazione di qualsiasi nuovo dispositivo medico. Per questo è importante ricordare che il sistema chirurgico da Vinci ha ottenuto l’approvazione della FDA (Food and Drug Administration) americana nel luglio del 2000, cosa che gli ha aperto la possibilità di essere utilizzato negli Stati Uniti. In Europa, il sistema è stato disponibile a partire dal gennaio 1999, ricevendo la certificazione CE che ne attestava la conformità agli standard europei per i dispositivi medici.
Il riconoscimento da parte di queste importanti autorità sanitarie non solo ha legittimato l’uso del sistema da Vinci nella pratica medica, ma ha anche aperto la strada a ulteriori innovazioni e sviluppi nel campo della chirurgia robotica.
Interessante, a tal proposito, è stata anche l’introduzione di una seconda console, che permette a un chirurgo novizio di essere guidato da un mentore durante l’operazione, incrementando la sicurezza e facilitando la curva di apprendimento.
Da Vinci SP: un passo ulteriore verso la mininvasività
La novità più recente nell’ambito della chirurgia robotica è rappresentata da da Vinci SP, nuovo dispositivo che completa la quarta generazione di sistemi robotici da Vinci, aggiungendosi ai modelli Multiport X e Xi.
Da Vinci SP offre al chirurgo la possibilità di trattare un numero maggiore di pazienti, adattando l’intervento alle caratteristiche personali del paziente e minimizzando l’infiammazione derivante dalle incisioni chirurgiche.
Dotato di un singolo braccio robotico, il da Vinci SP permette al chirurgo di realizzare interventi chirurgici complessi robot-assistiti attraverso un unico punto di accesso, utilizzando gli orifizi naturali per raggiungere gli organi senza incidere la parete muscolare.
Il da Vinci SP integra tecnologia robotica avanzata con un endoscopio flessibile che fornisce immagini 3D ad alta definizione, permettendo di visualizzare sopra, sotto e intorno alle strutture anatomiche durante l’intervento. Inoltre, gli strumenti avanzati offrono sette gradi di mobilità, superando la flessibilità e capacità di manovra della mano umana e migliorando la precisione dell’intervento.
«Con da Vinci SP – spiega ab medica, che da 25 anni porta in Italia i sistemi da Vinci – con un unico accesso, un’unica incisione da 25-35 mm, si porta all’interno del paziente lo stesso numero di strumenti chirurgici di un sistema a più bracci. C’è una riduzione del 30% dell’invasività».
I vantaggi di single port e NOTES
La chirurgia single-port, eseguita attraverso un’unica incisione, e la NOTES, ovvero la chirurgia tramite accessi naturali, rappresentano due grandi innovazioni nella chirurgia minimamente invasiva.
La chirurgia single-port è un tipo di intervento eseguito attraverso una sola incisione, spesso localizzata all’ombelico o nell’addome, che utilizza un robot appositamente progettato per questa tecnica. Questo metodo è stato adottato per la prima volta clinicamente nel settembre 2018 e da allora è stato ampiamente utilizzato in molti centri medici internazionali per vari tipi di procedure, specialmente in ambito urologico e otorinolaringoiatrico. L’intervento viene eseguito sotto anestesia generale; il chirurgo effettua un’incisione attraverso la quale viene inserito il robot che porterà a termine la procedura.
I vantaggi della chirurgia single-port includono meno dolore, assenza di necessità di narcotici per il controllo del dolore, una rapida ripresa delle attività quotidiane e cicatrici quasi invisibili, riducendo così anche le complicazioni post-operatorie comuni nelle chirurgie aperte e laparoscopiche tradizionali.
La Natural orifice translumenal endoscopic surgery, ovvero chirurgia endoscopica transluminale attraverso orifizi naturali (N.O.T.E.S.) è una tecnica che consente di accedere alla cavità peritoneale attraverso gli orifizi naturali (orale, rettale, vaginale, vescicale), senza passare attraverso la parete addominale anteriore.
Con questa tecnica si evita qualsiasi incisione della parete addominale. Pertanto, dal punto di vista cosmetico, la procedura è ideale, non lasciando cicatrici. Vengono anche eliminate complicazioni comuni derivanti dalle incisioni della parete addominale, come ernie o infezioni della ferita.
La procedura NOTES si esegue allo stesso modo di una procedura endoscopica, utilizzando un endoscopio superiore o un colonoscopio. Una volta che l’endoscopio è nella cavità peritoneale, qualsiasi intervento che un chirurgo potrebbe fare con un laparoscopio o attraverso chirurgia aperta può teoricamente essere eseguito.
Questa metodologia ha visto rapidi progressi, soprattutto nei modelli animali, mentre si procede anche con le sperimentazioni sull’uomo.
La chirurgia robotica in Italia
In Italia. i robot chirurgici da Vinci sono arrivati con ab medica, azienda con sede alle porte di Milano e con 40 anni di storia alle spalle, attiva nel settore delle tecnologie e dei dispositivi biomedicali, che ha scelto di avere un ruolo di pioniere proprio nell’ambito della chirurgia robotica. Perché, spiega la CEO Francesca Cerruti, «siamo nati e ci siamo sviluppati sul caposaldo del minimo efficace, vale a dire la ricerca del trattamento che crei il minor danno possibile alla qualità di vita del paziente, mantenendo piena efficacia contro la malattia».
Dal 1999, anno in cui il primo sistema da Vinci è arrivato in Italia, la chirurgia robotica ha subito un’importante evoluzione. Oggi, in Italia si contano 200 sistemi attivi in 168 strutture ospedaliere, di cui 130 nel sistema pubblico, e più di 300 mila pazienti trattati.
L’80% degli interventi riguarda l’urologia, la chirurgia generale e la ginecologia, mentre il rimanente 20% copre la chirurgia toracica, la cardiochirurgia, l’otorinolaringoiatria e la chirurgia pediatrica.
«Il sistema Single-Port – spiega ancora in ab medica – consente di ampliare la tipologia di pazienti trattati. Di fatto, garantisce una riduzione dei processi infiammatori legati alle incisioni e rappresenta un ulteriore livello di mininvasività in una pratica già di per sé mininvasiva. Non è un caso che tra le applicazioni alle quali si guarda con maggiore interesse, vi sia il trattamento chirurgico dei tumori al seno. L’approccio single port garantisce, infatti, un accesso completamente mini-invasivo in senologia, con effetti sicuramente positivi, anche dal punto di vista psicologico, per le pazienti».
Glimpses of Futures
Alla luce di queste premesse, ci sono molte osservazioni da fare sull’evoluzione della chirurgia robotica e sulle sue applicazioni anche nel nostro Paese. Con l’obiettivo di anticipare possibili scenari futuri, proviamo ora a delineare – avvalendoci della matrice STEPS – gli impatti che queste potrebbero avere su più fronti.
S – SOCIAL: la robotica chirurgica ha un impatto significativo sulla società, migliorando i risultati degli interventi e riducendo le complicazioni associate alle procedure, il che comporta un notevole beneficio economico oltre al risparmio dei costi grazie alla riduzione delle cure post-operatorie e della durata della degenza ospedaliera. Finora, a livello mondiale, solo una minima parte delle procedure chirurgiche è eseguito con assistenza robotica. Pertanto, è essenziale continuare a sviluppare e a implementare sistemi robotici nelle procedure mediche, per ampliare la copertura degli ambiti di intervento e garantire un accesso più ampio, democratizzando essenzialmente la chirurgia e riducendo i costi generali di cura.
T – TECHNOLOGY: da un punto di vista tecnico, la ricerca dovrebbe concentrarsi sul miglioramento dell’esperienza del chirurgo e del suo team e dei risultati per i pazienti. Vanno in questa direzione gli sviluppi attesi negli ambiti della visualizzazione, inclusa una migliore integrazione delle immagini pre-operatorie e intraoperatorie (ad esempio, radiografie), della sensoristica e delle interfacce di realtà aumentata, che renderanno la chirurgia assistita da robot più naturale e intuitiva, permettendo ai chirurghi di eseguire i piani chirurgici con maggiore precisione ed efficienza. Si attendono anche miglioramenti nell’ambito della componentistica elettronica, soprattutto in termini di miniaturizzazione, integrazione, intelligenza incorporata, comunicazione. Parimenti, si attendono miglioramenti nell’ambito della tecnica NOTES, al momento utilizzata soprattutto in ambito animale.
E – ECONOMIC: la sostenibilità economica della chirurgia robotica è direttamente correlata al suo utilizzo. Spiega ab medica: «Dal 1999 a oggi, in Italia, sono stati trattati 300.000 pazienti. Per il 2024, prevediamo siano effettuati 50.000 interventi. Questo dà la misura della crescita nell’utilizzo di questa tecnica, tenendo anche conto che siamo arrivati a 200 sistemi installati sul territorio. Un sistema da Vinci si ripaga con 200 interventi l’anno. Se si supera questa soglia, addirittura si produce risparmio. Possiamo dire che un sistema può essere utilizzato su 400 casi clinici all’anno e che la media italiana è già al di sopra della soglia di utilizzo per essere considerata sostenibile. Oltre all’innegabile vantaggio clinico, possiamo oggi parlare anche di sostenibilità economica, tenendo conto che, secondo il Ministero della Sanità, un giorno di ricovero costa allo Stato 800 euro».
P – POLITICAL: uno degli aspetti sui quali più si deve lavorare è il riconoscimento della chirurgia robotica nei tariffari dei Servizi Sanitari regionali. «La Germania ha il doppio dei sistemi installati rispetto all’Italia e anche Francia e Inghilterra ne hanno un numero superiore ai nostri – spiegano in ab medica – In Italia, Lombardia, Veneto Toscana ed Emilia Romagna sono le regioni che hanno maggiormente investito in questo ambito, inserendo e incentivando nei tariffari la chirurgia robotica. È una tendenza sulla quale è importante continuare a lavorare».
S – SUSTAINABILITY: dal punto di vista della sostenibilità ambientale, la chirurgia robotica è un’attività a maggiore impatto rispetto alla chirurgia tradizionale. Uno studio pubblicato sul British Journal fo Surgery nel 2022 parla di incrementi significativi sia in termini di produzione di gas serra, sia in termini di produzione di rifiuti. Resta da valutare quanto questo maggiore impatto possa essere compensato dai benefici riscontrati in termini di efficacia degli interventi e riduzione delle ospedalizzazioni, o dalla maggiore consapevolezza del personale medico e sanitario dovuta a una maggiore pratica nell’utilizzo della tecnica e degli strumenti.