Nel percorso di trasformazione digitale delle aziende, il dato rappresenta un elemento centrale. Ma anche una sfida, in quanto bisogna saperlo “lavorare”, proprio come si fa con i metalli preziosi. Sfida ancora più impegnativa quando il dato è protagonista di progetti che vedono al centro l’intelligenza artificiale. Se ne parlerà il prossimo 18 maggio durante l’evento “Data & AI Forum Italia”, organizzato da IBM, attraverso casi concreti, testimonianze dei clienti e approfondimenti in sessioni parallele.
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In tema di dati e intelligenza artificiale – e, più in particolare, del rapporto a doppio filo che lega le due sfere – negli ultimi anni, si è focalizzata l’attenzione degli analisti.
Il principio che guida la riflessione è, in apparenza, assai chiaro, eppure sottende un intreccio di fondo: la bontà di un sistema di intelligenza artificiale è direttamente proporzionale alla bontà dei dati utilizzati per addestrarlo.
“La verità è che l’IA non è magia. È un lavoro duro”, sottolineano Robert D. Thomas e Paul C. Zikopoulos – rispettivamente senior vice president Cloud and Data Platform e vice president Cognitive Big Data System di IBM – nel loro libro intitolato “The AI Ladder: Accelerate Your Journey to AI” all’interno del quale spiegano alle aziende come poter ottenere i maggiori benefici dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
Rappresenta un’enorme opportunità per le imprese di ogni dimensione e settore, di cui, in futuro, sarà in grado di plasmare i risultati, automatizzando decisioni, processi e flussi di lavoro e consentendo di reinventare i modelli di business. Ma a un patto, ovvero quello di possedere gli strumenti, le metodologie e l’abito mentale adatti a superare le sfide che pone, tra cui la complessità dei dati, elementi centrali, preziosi nel dare forma e sostanza agli algoritmi AI.
Nell’ambito di un’indagine condotta da Forrester Consulting su 518 responsabili IT con decisionalità in materia di dati e intelligenza artificiale, meno del 50% degli intervistati ritiene di riuscire a sfruttare al meglio i dati in loro possesso per iniziative AI. E, addirittura, il 12% ammette di non avere alcun successo a tale riguardo.
Senza dati di valore, accuratamente raccolti, organizzati, analizzati e protetti, i progetti che vedono al centro l’intelligenza artificiale sono destinati a fallire, commenta Forrester.
Vediamo, allora, come lavorare affinché accada l’esatto contrario, soffermandoci, in particolare, sulle quattro azioni chiave – Collect, Organize, Analyze e Infuse – prese in esame da Thomas e Zikopoulos nel loro libro.
Collect your data
Rendere accessibili a tutti i reparti dell’azienda i dati provenienti da diversi tipi di fonti (che si tratti di dispositivi periferici, sensori IoT, telecamere del traffico o qualsiasi altra sorgente) è uno degli imperativi per intraprendere progetti e iniziative in materia di AI.
L’obiettivo è abbattere i silos che spesso tengono i dati “prigionieri” – a cominciare proprio da quelli interni all’organizzazione, spesso custoditi in database diversi, che non comunicano tra loro – per favorire l’interazione tra le informazioni e la circolazione di idee e intuizioni derivate da queste.
Importante, però, è che tale accessibilità e condivisione avvengano nel rispetto delle normative sulla privacy, al fine di garantire che i dati non vengano utilizzati in modo improprio.
Oltre a rendere accessibili quelli che si possiedono, uno dei primi passaggi della fase Collect è determinare “quali” dati è necessario raccogliere, ricordando – come precisano Thomas e Zikopoulos – che più sorgenti di dati collegate sono più potenti dei singoli set di dati. È fondamentale, poi, acquisire dati coerentemente con quelli che sono gli obiettivi dell’azienda e la tipologia di attività.
Organize your data
Capire come poter migliorare i processi tramite i quale catalogare i dati, organizzandoli per assicurarsi che siano adatti all’utilizzo nelle applicazioni AI, rappresenta un passaggio di rilievo in materia di dati e intelligenza artificiale.
E per un motivo preciso: quando parliamo di dati da utilizzare nelle applicazioni di artificial intelligence, gli standard richiesti sono superiori rispetto a quelli ai quali sono abituate la maggior parte delle organizzazioni. Dati di scarsa qualità si traducono in modelli di intelligenza artificiale di scarsa qualità: è questo il principio cardine da seguire.
Sebbene, a livello globale, il dibattito attorno all’equità, alla correttezza e all’assenza di pregiudizi nei modelli AI sia piuttosto acceso, la questione – puntualizzano Thomas e Zikopoulos – non riguarda affatto gli algoritmi.
Una rete neurale da 600 nodi e sette livelli non si preoccupa minimamente se addebita la giusta quantità di prodotto o se il cliente è nero, bianco, ispanico o asiatico. La verità l’algoritmo non la conosce. Tutto quello che sa, sono i numeri. E se i dati su cui viene addestrato quel modello sono errati, distorti o ingiusti, tali effetti tenderanno a essere amplificati.
Analyze your data
Dopo avere raccolto i propri dati e averli organizzati, l’azienda è, in teoria, pronta per attingervi e sviluppare modelli di intelligenza artificiale. Ma, prima di procedere, è fondamentale analizzare i dati in modo sistematico, al fine di accertarsi che siano affidabili e che, tramite questi, si possa costruire e addestrare un sistema AI i cui risultati possano essere attendibili, “spiegati” e documentati. Di cui ci si possa fidare, insomma.
Il consiglio di Thomas e Zikopoulos è quello di mettere a punto i propri modelli in base al “ciclo di vita” dell’AI, fatto di tre fasi: costruzione del modello (Build), distribuzione (Run) e gestione (Manage) della sua esecuzione. Ecco allora che il momento dell’analisi dei dati prevede, per l’azienda, l’inclusione di queste tre fasi nei suoi processi.
Nella prima fase, in particolare, è fondamentale che l’organizzazione utilizzi gli algoritmi idonei alla costruzione di modelli di intelligenza artificiale atti a fare previsioni e a prendere decisioni, considerando gli strumenti e le tecniche che verranno utilizzate non solo per preparare i dati e le funzionalità di ingegneria, ma anche per addestrare i sistemi.
Infuse AI
Nel loro libro, gli autori incoraggiano le aziende a “infondere” l’intelligenza artificiale in tutta l’organizzazione. Se si intende trarre vantaggio dall’AI – spiegano- la si deve inserire in ogni reparto, in ogni processo aziendale e attività.
Cominciando, ad esempio, con molti piccoli progetti oppure iniziando dal gradino più alto, spingendo l’AI nelle dinamiche dell’organizzazione aziendale, per poi tornare a lavorare sulla raccolta, l’organizzazione e l’analisi dei dati.
Il lavoro che Robert D. Thomas e Paul C. Zikopoulos hanno svolto con alcuni clienti a proposito di dati e intelligenza artificiale, li ha portati a identificare, in particolare, cinque domini aziendali chiave a cui i C-level stanno applicando l’AI per trasformare i flussi di lavoro, ovvero Customer service, Financial operations, Risk and compliance, IT operations e Business operations.
E – ricordando che lo scopo dell’intelligenza artificiale è risolvere i problemi concreti delle aziende, prevedendo, ottimizzando e automatizzando i processi e rendendo le organizzazioni e le persone che vi lavorano più efficienti – concludono che l’AI non sostituirà i manager ma, piuttosto, i manager che la utilizzano sostituiranno quelli che non lo fanno.
Di questi temi, si parlerà il 18 maggio 2021 durante l’evento “Data & AI Forum Italia”, organizzato da IBM e dedicato alla centralità del dato nel percorso di trasformazione digitale delle aziende italiane.
Nel dettaglio, attraverso casi concreti, testimonianze dei clienti e approfondimenti in sessioni parallele specifiche, si guarderà al dato nei vari domini di pertinenza, dalla gestione alle applicazioni, dalla sua protezione, al process mining e AI infusion.